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Il Mondiale di calcio del 1990 per noi significa soprattutto “Notti Magiche”, gli occhi spiritati di Schillaci dopo il gol, la sfida amara degli azzurri a Napoli contro l’Argentina di Maradona e la vittoria finale della Germania. Ma a rendere il tutto ancora più speciale, è stato certamente un Camerun da favola che non solo arriva ai quarti di finale come nessuna squadra africana era mai riuscita a fare, ma esce anche a testa altissima senza aver perso mai nemmeno una partita nella fase a eliminazione diretta.

Le premesse di quel Mondiale

Prima di parlare dell’epica cavalcata dei Leoni d’Africa però, è bene fare una doverosa premessa. Oggi siamo abituati a vedere le squadre nazionali del continente nero come sempre difficili da affrontare e con qualche grande campione a fare la differenza.

Ma nel 1990 sinceramente, nessuno si aspettava molto da questi colossi vestiti di verde e rosso che offrivano certamente una stazza e una fisicità invidiabile, ma non possedevano certo un tasso tecnico elevato tanto quanto era lontana una organizzazione di gioco di alto livello (e il russo Nepomnyaschy in panchina non godeva nemmeno di particolari apprezzamenti).

In aggiunta, la qualificazione era arrivata un po’ a sorpresa ai danni nella Nigeria (seconda nel girone) e nel pre mondiale, le prestazioni offerte dai camerunensi non si erano rivelate all’altezza (sconfitti persino da una rappresentativa giovanile dell’est europeo). E questo nonostante si stia parlando di una nazionale capace di arrivare per tre volte in finale nella Coppa d’Africa nel decennio degli anni ottanta, vincendo per ben due volte la competizione.

Insomma, quando vennero sorteggiati i gruppi e relativo calendario mondiale, con il Camerun opposto proprio nella gara di apertura contro i campioni in carica dell’Argentina di Maradona, nessuno si sarebbe mai aspettato di vedere quanto poi successo in campo.

L’esordio miracoloso al mondiale

Chi si aspettava un’Argentina arrembante si è presto dovuto ricredere, con un Maradona prima indispettito dai fischi di un Meazza stracolmo e parteggiante per gli africani e poi imbavagliato proprio dalla marcatura assillante di una vecchia volpe come Tataw, capitano dei camerunensi.

Proprio l’esperienza di molti veterani è l’arma in più su cui ha puntato Nepomnyaschy, che ha ribaltato subito le gerarchie tra i pali schierando N’Kono come titolare (probabilmente anche per i malumori espressi da Bell nel pre torneo).

Ne viene fuori una partita dove proprio il Camerun va più vicino alla rete con le sue ripartenze, mentre gli argentini non riescono a venire a capo di questo dinamismo. Forse proprio per questo, Biliardo nell’intervallo opta per una scelta ancora più radicale con Caniggia (attaccante puro) che prende il posto di Ruggeri (difensore puro).

La mossa sembra dare i suoi frutti almeno per quanto riguarda lo spirito offensivo, che costringe gli Indomabili Leoni ad alzare il tasso di aggressività contro gli scatenati palleggi avversari. Anche troppo, visto che al 60° l’arbitro Vautrot estrare un cartellino rosso diretto per il mediano del Camerun Kana-Biyik.

Sembra la resa e invece è la svolta al contrario. Oman-Biyik (che è il fratello del giocatore appena espulso) vola in alto al centro dell’area mandando un pallone non proprio imparabile alle spalle di un incerto Pumido (come il resto della difesa).

L’impossibile, si materializza davanti agli occhi degli increduli argentini, con Biliardo che non ha neppure la forza di fare altri cambi. Li fa invece Nepomnyaschy, che incurante del risultato da mantenere, mette dentro un’altra punta di spessore, niente meno che uno degli eroi dei successi del Camerun in patria, Roger Milla.

L’assedio dei sudamericani però è continuo e la partita diventa sempre più cattiva. A due minuti dalla fine anche Massing deve lasciare il campo per doppia ammonizione, lasciando in nove i suoi. Paradossalmente però, è proprio il Camerun ad avere l’occasione di chiudere la partita al novantesimo su un contropiede. Niente da fare, ma va bene così. L’arbitro fischia la fine e possono partire gli abbracci da una parte e l’incredibile desolazione dall’altra.

Lo storico passaggio del turno

La vittoria contro l’Argentina non serve solo per la classifica, ma anche a dare nuove motivazioni a un gruppo arrivato a dire il vero con qualche problematica interna da risolvere e un timoniere (Nepomnyaschy) apparso spesso avulso dal climax degli spogliatoi (non a caso era il suo secondo a impartire ogni direttiva ai giocatori).

In ogni caso, ora tutti ci credono e la partita contro la Romania (che ha battuto i sovietici all’esordio) diventa un crocevia fondamentale per centrare una storica qualificazione.

La nazionale del Camerun scende in campo a Bari con qualche forzato cambiamento (visti i due espulsi), ma la partita non riserva comunque particolari emozioni. Almeno fino a quando l’infortunio di Kessack, costringe Nepomnyaschy a mettere in campo un quasi quarantenne (ne ha 38 in realtà) che risponde al nome di Roger Milla.

Ed è proprio lui a dare la svolta al match, prendendosi un pallone e bruciando in velocità il difensore rumeno Andone e battendo Lung con un radente imparabile. Milla corre fino alla bandierina dove si cimenterà in quella che sarà una delle immagini più iconiche della sua carriera, con il balletto a suon di Makossa che entrerà nella storia.

La Romania prova a scuotersi, ma è sempre Milla chiudere i giochi a quattro minuti dalla fine, con un missile che si infila sotto l’incrocio per il due a zero. La cronaca racconta del gol di Balint per il definitivo 2-1, ma la partita finisce così, con gli africani in festa per una qualificazione già ottenuta con una gara di anticipo, visto che l’Argentina ha contemporaneamente battuta la Russia.

Nell’ultima giornata, il Camerun perde qualunque motivo di agonismo, ovvero la sua arma più potente, e viene sconfitto pesantemente proprio dall’Unione Sovietica con un secco 4-0, utile solo se nell’altro scontro tra Argentina e Romania ci fosse un vincitore. Invece è un pareggio che regala il passaggio del turno a entrambe le formazioni (con l’Argentina però terza e ripescata solo più tardi).

L’ottavo di finale: ancora nel segno di Milla

E così mentre l’Italia vive le sue notti magiche liquidando l’Uruguay negli ottavi e mentre anche l’Argentina rinasce eliminando a sorpresa il Brasile, dall’altra parte del tabellone gli indomabili leoni d’Africa sono attesi dalla sfida contro la Colombia dell’istrionico portiere Higuita, che fino a quel momento era riuscita a battere solo la cenerentola dell’Arabia Saudita.

La sfida a eliminazione diretta però è sempre un’altra storia, con Nepomnyaschy che deve anche gestire le sue risorse, lasciando in panchina per tutto il primo tempo lo strepitoso Milla. Ne viene fuori una partita molto rognosa, che non regala molto per tutti i novanta minuti in cui non si vedono reti.

C’è bisogno dei supplementari. Nell’extra time è ancora il fuoriclasse camerunense a strappare il match in velocità, insaccando di sinistro. Solito balletto sulla bandierina, che ripeterà poi solo qualche minuto più tardi, approfittando questa volta di una gaffe proprio di Higuita, che tenta un improbabile dribbling sullo stesso Milla, che gli prende la palla e la mette in fondo alla rete senza più alcuna difesa.

Anche in questo caso, il Camerun prende gol nel finale di partita, ma il risultato non cambia l’esito: la squadra di Nepomnyaschy è la prima africana a qualificarsi per i quarti di finale di una Coppa del Mondo!

I Leoni d’Africa contro i Leoni inglesi

A questo punto però, sognare diventa legittimo. Anche perchè l’Inghilterra pur contando sui talenti dei vari Lineker e Gascoigne in attacco, non è sembrata poi così dirompente. Vittorie di misura contro Egitto nel girone e contro il Belgio nei quarti, appena tre gol fatti i tutto il mondiale fino a quel momento (ma anche uno solo subito).

Robson ha però sicuramente dato il giusto rigore tattico agli inglesi, che soprattutto nel primo tempo hanno in mano la partita. Quando poi Platt insacca la rete del vantaggio al 25°, la favola dei Leoni d’Africa sembra destinata a svanire.

Negli spogliatoi però, Nepomnyaschy ancora una volta compie la mossa che aveva dato la svolta ai match precedenti, richiamando Kessack in panchina e gettando Roger Milla nella mischia. Non è un caso se la partita dal quel momento cambia radicalmente.

Proprio l’attaccante si procura il rigore (fallo di Gascoigne in piena area) che poi Kunde trasforma per il pareggio al 61° della ripresa, ed è sempre Milla che un paio di minuti dopo serve a Ekeke il pallone perfetto da mettere alle spalle di Shilton.

Il vantaggio del Camerun è un delirio che coinvolge non solo i 55 mila dell’allora stadio San Paolo di Napoli, ma probabilmente un Continente intero. Il miracolo dura però fino a sette minuti dal termine, quando l’arbitro Codesal è costretto a fischiare un altro rigore, questa volta per un fallo di Massing su Lineker, con lo stesso avanti dell’Inghilterra che si occupa di calciare e segnare dal dischetto il gol del pareggio che porta le squadre ai supplementari.

Ed è innegabile che vedersi sfumare l’occasione di passare il turno quando mancava così poco alla fine, è qualcosa che pesa sul morale degli africani e rinvigorisce invece le consapevolezze dell’Inghilterra. Che in effetti torna a macinare gioco e proprio alla fine del primo tempo supplementare, trova ancora con Lineker un altro rigore.

Gli indomabili leoni sono stati infine domati, ma si portano a casa tutta la gloria che meritano. Il pubblico li saluta festante, con un giro d’onore da standing ovation, mentre in patria tutto è pronto per accogliere i loro eroi.

Gli eroi dell’impresa

Oggi è impossibile scindere quell’incredibile impresa dalle gesta del suo protagonista principe, quel Roger Milla che pur oltre i limiti dell’anagrafe dei tempi (vedere un quasi quarantenne in campo non era certo la norma), si prese in carico la sua squadra proprio nei momenti più difficili, chiudendo con 4 reti quella Coppa del Mondo.

Ci fu poi anche tutta l’esperienza e il carisma di Thomas N’Kono a guidare dai pali dal sua difesa, che aveva certamente in Tataw il suo rappresentante più indomabile. Così come il talento di Oman-Biyik nel reparto più offensivo, o gli ostinati recuperi di Mbouh che ha corso in lungo e in largo sulla mediana.

Insomma quello che davvero successe in quel Mondiale, fu che gli africani presero finalmente coscienza delle proprie immense possibilità, rendendo quel campo da calcio un palcoscenico ambito da tutta una nuova generazione di camerunensi e non solo.

La prestazione altrettanto incredibile del Senegal nel 2002, così come moltissimi dei tanti campioni africani poi saliti alla ribalta anche del grande calcio negli anni a seguire, arrivano in un certo qual modo proprio da questa vetrina. Da questo sogno impossibile che, almeno per un periodo, è sembrato alla portata.