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Il 28 giugno 2021 potrebbe tranquillamente diventare data europea del calcio. Quanto accaduto tra le 18 del pomeriggio (italiane) e le 23.30 inoltrate è stato semplicemente folle. Meravigliosamente folle.

Il ruolo di protagoniste dello show è toccato prima a Spagna vs Croazia – ma a giudicare con lucidità la prestazione delle due squadre, verrebbe quasi da dire Spagna vs Spagna – poi a Francia vs Svizzera.

Non abbiamo semplicemente assistito a due splendide partite, ma a decine di partite diverse all’interno dello stesso incontro. Stargli appresso è stato complicatissimo, figuriamoci per chi era in campo.

La Spagna per lanciarsi definitivamente

Nell’analizzare le Furie Rosse, non si può prescindere dall’uomo simbolo della nazionale spagnola: Luis Enrique. Difficilmente un allenatore, nel percorso di una nazionale, fa parlare di sé più (o almeno quanto) i giocatori. Si badi bene, non tanto alla luce dei risultati – perché quelli stanno arrivando – ma alla gestione delle risorse a disposizione. Il matrimonio europeo tra l’ex tecnico del Barcellona e la stampa spagnola si era consumato su un altare ricco di spine e sguarnito di petali rossi.

La non convocazione di Sergio Ramos come di qualsiasi altro madridista – prima volta nella storia della nazionale spagnola – aveva fatto gridare allo scandalo. Perché se è vero che in Italia siamo 60 milioni di allenatori, la Spagna ci si avvicina decisamente. Qui, più che da noi, il peso di un passato glorioso è aggravato dalla vicinanza temporale di questo passato. Non un trapassato, né un passato remoto, ma prossimo per l’appunto. Qui ha giocato recentemente Iniesta, hanno giocato Xavi, Puyol, Piqué, Sergio Ramos appunto, Torres, Villa, Silva, etc. etc. Due, comunque, sono rimasti: Jordi Alba e Sergio Busquets.

Sul primo, poco da dire. Ha sempre giocato dal primo minuto ad eccezione dell’ultima sfida con la Croazia, che ha comunque disputato alla grande entrando in corsa. Sul secondo, da dire c’è moltissimo. Senza di lui, sono arrivati due tristi pareggi contro Svezia (0-0) e Polonia (1-1). Con lui in campo, manita alla Slovacchia (5-0) e passaggio del turno contro la Croazia (5-3 dopo i tempi supplementari).

Per uno come lui, comunque, parlare attraverso i risultati è quasi una mancanza di rispetto. Con Busquets in mezzo al campo, Pedri è decisamente più incisivo (ricordiamo che è un 2002) e Koke può permettersi qualche succulenta gita di piacere nella trequarti avversaria – sa bene che dietro di lui, il faro Sergi non lo abbandona mai. Di Busquets si parla sempre pochissimo. Era così ai tempi del Barcellona, è così anche per la nazionale. Busquets non avrà il tiro da fuori di Sarabia, né il dribbling di Pedri o la spinta di Jordi Alba. Non ha la forza fisica di Laporte, né la rabbia agonistica di Morata, ma è insieme tutte queste cose. È come il compasso di un disegno ideale, che Luis Enrique può finalmente disegnare con lui in campo.

A proposito di Morata, citato poco fa. Alvarito è stato attaccato veementemente nel corso di tutto l’Europeo, e il suo nervosismo contro la Croazia sembrava essere la goccia che avrebbe fatto traboccare un vaso di rabbia e frustrazione accumulatesi nel tempo. Ma la sua giocata per il gol del 4-3, con stop e mancino indelebili sotto la traversa, hanno dato di lui un’immagine rinnovata. Non è più il Morata sprecone sotto porta, poco coraggioso o audace. Non è più la seconda punta che non sarà mai prima. È entrambe le cose, e per Luis Enrique non rimane che leccarsi i baffi: «Morata ha una grandissima personalità, ha dichiarato il tecnico spagnolo. Ha sopportato situazioni che nessuno di voi vorrebbe sopportare. La sua attitudine è stata encomiabile, sono contentissimo per lui».

Col suo gol, d’altra parte, cadono anche le critiche anche al ct catalano, che su Morata ha scommesso tutto, andando spesso e volentieri contro stampa e tifosi. Il coraggio, in fondo, è proprio dei grandi. Ma ora la Spagna dovrà dimostrare di aver imparato la lezione. Farsi recuperare due gol così è un segnale d’allarme da non sottovalutare. Soprattutto se l’avversario è abituato a rimonte eccezionali.

La Svizzera multiculturale per stupire

Quando si parla di integrazione culturale intelligente, si fanno sempre gli esempi di Francia e Germania. O Inghilterra. Basti guardare l’11 di queste tre squadre per rendersi conto che l’immigrazione ha fatto centro. Nessuno cita però la Svizzera, una squadra che vuoi per ragioni geografiche – confine di nazioni per antonomasia, terra di residenza ma non di conquista – vuoi per tradizione calcistica, non ha mai smesso di approfondire la propria rosa con giovani forestieri di belle speranze.

Basti partire dal capitano Granit Xhaka, probabile nuovo acquisto della Roma targata Mourinho. Ultimo dei non rari casi – vedasi alla voce Pogba per conferme – di giocatori che in nazionale si trasformano. All’Arsenal Xhaka appare spesso troppo lento, impacciato, costantemente in ritardo, tremendamente falloso. Ma in questo europeo è stato fin qui straordinario. Persino contro gli Azzurri di Mancini, quando è stato migliore in campo dei suoi (pur insufficiente) e ha poi affermato, facendo l’eco a Petkovic, che «da quella partita la squadra ha cambiato marcia». È arrivato infatti, dopo il punto ottenuto col Galles, un successo di tutto prestigio contro la Turchia (per 3-1).

Soprattutto, è arrivata la partita più pazza del torneo finora, quella contro la Francia di Didier Deschamps. Il quale, sottovalutando l’Italia, incantevole in un girone di cenerentole, ha così sottovalutato anche la Svizzera di Petkovic, che nel girone degli Azzurri gli Azzurri del Mancio avevano umiliato. Ripetersi, si sa, è sempre la cosa più difficile. Ma nessuno prevede una partita tanto folle da parte degli Svizzeri contro la Spagna. Nessuno può prevedere che, trovato il vantaggio, gli svizzeri sbaglino il rigore, vengano rimontati e surclassati in 15 minuti per poi rimediare negli ultimi 8 minuti di gara. Vincendo ai rigori. Qualcuno però, su quest’ultimo aspetto, avrebbe forse scommesso un nichelino. Gli ormai famosi occhiali giapponesi utilizzati dai portieri svizzeri per allenare e implementare i riflessi tra i pali potrebbero infatti aver giocato un ruolo importante. Probabilmente, più semplicemente, era destino.

Come destino è che Xhaka contro la Spagna non ci sarà per squalifica. Lui, sicuro dei suoi compagni, ha però affermato che «ritornerà in semifinale». La Svizzera, in conclusione, non è una meteora. Certo, per vincere in quel modo contro la Francia le stelle devono allinearsi in un determinato modo. Ma tu devi fare il resto. E il resto lo hanno fatto Seferovic e Gavranovic, di origini bosniache e croate.

Ma soprattutto Vladimir Petkovic, ex tecnico biancoceleste, che in Italia ha lasciato un brutto ricordo ai tifosi della Roma (26 maggio 2013) e un’ottima impressione a tutta la Serie A, che in lui aveva già intravisto doti eccezionali – oltre ad un portamento da autentico gentleman svizzero. Petkovic, basandosi sui pilastri (Sommer, Xhaka, Freuler, Shaqiri), ha saputo integrare in squadra Akanji (a proposito di buona immigrazione), Embolo (camerunese), Mbabu (congolese). Saper trarre il meglio dal materiale umano a disposizione è il grande pregio di Vladimir Petkovic. Luis Enrique è avvertito.