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Resistere oppure esistere. Era quasi una domanda filosofica, quella che si poneva il Piacenza nel 1996.

Essere una figurina di passaggio, godersi il panorama, oppure provare a guardare oltre il filo spinato degli avversari più facoltosi? Leonardo Garilli per una vita ha saputo essere un visionario: aveva preso il Piacenza, squadra della sua città, della sua vita, come si fa con un giocattolo prezioso per tutti: inizialmente prendendosene cura, aggiustandolo. Poi amandolo alla follia.

Prima della storia del Piacenza 1996-1997, va in parte raccontato quest’amore sbocciato tra Garilli e la squadra: nel 1983, anno in cui l’ingegnere aveva acquistato il club, i biancorossi versavano in condizioni di estrema difficoltà.

La squadra era retrocessa dalla Serie C1 alla Serie C2: il rischio dietro l’angolo era il fallimento, tant’è che le stesse istituzioni, in primis il sindaco, avevano chiesto a Garilli di farsi avanti. E lui: “Voglio fare qualcosa per la mia città“. Nessuno si aspettava che avrebbero fatto tutto per quella città.

Nel 1993, Gigi Cagni la porta in Serie A; per sempre, Garilli porterà avanti una filosofia di calcio che assomigliava parecchio a quella della sua vita: insieme al direttore Marchetti, optò per una squadra sempre e solo di italiani. Li portò lontano.

Il super-mercato del Piacenza

In quel 1996, il Piacenza si trovò davanti alla prima rivoluzione obbligata della sua “vita”. Il motivo era semplice: Gigi Cagni lasciava la panchina biancorossa, ed era lì addirittura dal 1990, in un’altra epoca della storia.

Sulla panchina emiliana arriva Bortolo Mutti: bergamasco fedele, con le idee giuste ma con relativa esperienza. Aveva allenato il Leffe, un anno al Verona e un altro al Cosenza: tanta Serie B, non ancora il salto tra le grandi. Eppure era innovativo, pronto a cambiare con le sue idee una squadra che in realtà sarebbe cambiata tutta.

Via Simoni, Brioschi, Lorenzini, Rossini e Trapella, e questi solo tra porta e difesa. Il Piacenza salutava Angelo Carbone, ma anche Eugenio Corini, rientrato alla Sampdoria dopo il prestito. Verso Napoli, non solo Francesco Turrini, ma in particolar modo il bomber, Nicola Caccia: 14 gol nella stagione precedente, l’autore di una salvezza a singhiozzo, ma comunque efficace. Cappellini andava a Empoli, un giovanissimo Simone Inzaghi iniziava la propria carriera dal Lumezzane.

Per sostituire Simoni, arrivò Marcon. Per cambiare la difesa, ben due acquisti dall’Inter: Mirko Conte (riscattato, era in comproprietà) e Paolo Tramezzani, rimasto svincolato. Delli Carri e Rossini (dall’Udinese) completarono il cerchio. Ma Marchetti si concentrò tanto sul centrocampo: Fausto Pari arrivò dal Napoli, Pin dal Parma. Aladino Valoti, invece, dal Verona, su decisione di Mutti. Il colpo fu Giuseppe Scienza dal Venezia e si rivelò piuttosto utile.

Con Tentoni dalla Cremonese e Valtolina dal Bologna, l’ultimo pezzo del puzzle era il sostituto di Nicola Caccia. Arrivò da Sora, ed era forte come un Toro: Pasquale Luiso.

La rosa: tutti italiani

La filosofia sugli italiani era piuttosto chiara e nessuno – risultati alla mano – osava contrapporsi, mettersi in mezzo, provare a far cambiare idea all’Ingegnere. Non perché non fosse semplice (eufemismo), ma perché tutto sommato funzionava.

Il Piacenza riuscì a mettere insieme dei talenti niente male negli anni, basterebbe osservare la rosa proprio del 1996-97. Intanto, i portieri: Massimo Taibi, storia del calcio italiano, e con lui Marcon e Marchesini. Poi in difesa: Cleto Polonia, idolo piacentino, Maccoppi, la spinta di Tramezzani, capitan Settimio Lucci. L’acquisto di Mirko Conte si rivelò importante, alle sue spalle crescevano Delli Carri e in particolare un giovanissimo Alessandro Lucarelli.

A proposito di talenti: il Piacenza fu terra di esplosione per Eusebio Di Francesco. Prima della Nazionale, prima della Roma. Daniele Moretti era il dieci, Fausto Pari arrivava da anni di incredibile Sampdoria. Pin e Scienza, con Valoti, erano gli ultimi arrivati in un sistema che funzionava alla grande, e che aveva anche Matteassi come perno in più.

In attacco, l’eredità di Caccia venne ben sostenuta da Luiso. Al suo fianco Valtolina e Tentoni. Oltre a Francesco Zerbini.

Una stagione particolare

La stagione si aprì all’Olimpico di Roma: Aldair, Balbo e Fonseca non lasciarono tanto spazio alla fantasia.

Però poi il Piacenza ingranò: pari con Parma e Napoli (sì, segnò Caccia) e la vittoria sul Vicenza. Il ko con l’Inter portò invece a due successi consecutivi con Reggiana e Verona. Poi la Samp a Marassi (3-0, doppietta di Mancini), il 3-1 subito dalla Lazio con tripletta di Signori, quindi la svolta.

Come? Sì, la svolta. Intanto il pari in casa con una fortissima Fiorentina, quindi la giornata delle giornate: l’undicesima, in casa, contro il Milan di Sacchi. Aprì le danze Valoti, le continuò Di Francesco. Dugarry fece doppietta e pareggiò i conti, poi ci pensò nuovamente Luiso. 3-2. Sforbiciata del Toro da cineteca, e Tabarez silurato per far spazio al Sacchi-2.

Seguì un periodo complicato: prima di vincere ancora, il Piacenza passò 8 partite senza trovare altre vittorie. Arrivavano pareggi pesanti, sì, come con Juventus e Roma, ma anche sconfitte evitabili come contro il Cagliari o il 4-0 subito dall’Atalanta, guidata da un altro figlio di Piacenza come Filippo Inzaghi.

Da inizio dicembre a metà febbraio, attesa spasmodica prima del colpo… di Scienza: 1-0 al Napoli e una stagione che riparte. E che si ferma ancora, stavolta per 9 partite, con in mezzo i ko con Inter e Lazio. E i pareggi, tantissimi pareggi, troppi pareggi.

L’11 maggio, alla trentesima giornata, il Piacenza torna a vincere: 3-1 all’Atalanta. Ko con la Juve, pari con il Cagliari e ko pesantissimo con l’Udinese.

La salvezza? ce la si gioca tutta alla fine: l’ultima giornata è il 1° giugno del 1997, contro il Perugia. Segna Luiso al 30′, si ripete su rigore al 49′ e nel finale c’è Dicara. 2-1, che vuol dire spareggio salvezza, ancora contro il Cagliari, che un paio di settimane prima aveva strappato un punto prezioso in trasferta.

Quella sul campo neutro del San Paolo sarà una battaglia devastante: dopo 5 minuti segna Luiso, dopo 38 raddoppia l’autorete di Beretta. Il Cagliari non molla, gioca, ha occasioni e accorcia con Tovalieri al 65′. Alla fine? Ancora Luiso, al 90+1′. E il Piacenza è salvo.

Ma perché tutti questi alti e bassi? Dov’era finita la spensieratezza tipica del Piacenza?

In molti sostengono che fosse volata via insieme a Garilli. Il 30 dicembre del 1996, il presidente, il principale autore della storia della squadra della sua città, se ne va quasi all’improvviso.

Oggi lo stadio comunale è intitolato a lui, il Signore di una città discreta e calda, che guarda tutti dall’alto e che oggi darebbe grandi esempi: in tredici anni di presidenza, cambiò il tecnico una volta sola. Era il campionato di Serie B 1988-1988.