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Una storia nata e chiusa nel giro di 6 mesi.

Tanto è durata l’esperienza di Óscar Washington Tabárez Silva sulla panchina del Milan nel 1996. L’uomo sbagliato, nel momento sbagliato e non perché il tecnico uruguagio non fosse all’altezza. Ma con la chiusura del ciclo di Capello che aveva fatto seguito a quello di Sacchi, il Milan si trova a completare un decennio d’oro e con la pancia piena.

Aggiungiamoci una campagna acquisti non proprio splendente e si capisce come sia stato possibile l’undicesimo posto al termine della stagione 1996-97, per gli uscenti campioni d’Italia. Un mix di errori, episodi e quanto altro sull’esperienza di Tabarez al timone del Diavolo. Un uomo per bene, forse fin troppo, come ammisero i senatori qualche tempo dopo.

Unico allenatore nella storia a dare del lei ai suoi giocatori, ma probabilmente senza il polso necessario per alzare la voce quando il momento lo richiede. Vediamo allora la breve storia di Tabarez al Milan.

Il post Capello

Il Milan saluta Fabio Capello nel maggio del 1996. L’allenatore friulano si congeda con il quarto scudetto in 5 anni, il primo dopo il successo di Lippi alla guida della Juventus nella stagione precedente. Arrivato nel 1991 alla corte del Diavolo, Capello da maggiordomo di Berlusconi (secondo gran parte della stampa), trasforma la squadra nel Milan degli Invicibili, a suon di record, scudetti, trofei, Champions League e un calcio pratico.

I 5 anni di “Don Fabio”, intanto passato al Real Madrid, sommati ai quattro di Sacchi hanno regalato al Milan e al popolo rossonero tantissime vittorie. Quasi da sentirsi con la pancia piena. Così serve un nome e un allenatore che non solo scaldi i cuori dei tifosi, ma che possa essere una totale inversione di rotta con il passato. Insomma uno che dia nuovi stimoli ad un ambiente che appare assuefatto ai trionfi.

L’occasione diventa realtà all’indomani della partenza di Capello, con Galliani che punta deciso Óscar Washington Tabárez Silva. Un nome che spiazza tutti, ma che mette tanta curiosità. Proprio quello che voleva l’AD del Milan, con Berlusconi ormai in politca e meno propenso a seguire in prima persona la società.

Da maestro di scuola ai trionfi nel calcio

Oscar Tabarez nasce nel 1947 in Uruguay e poco più che ventenne ottiene la licenza di maestro per insegnare nelle scuole. E nei primi anni da allenatore, Tabarez si divide tra i banchi di scuola, dove insegna la cultura e i campi di calcio, dove invece insegna i fondamentali del pallone. Lo farà per diversi anni, almeno fino alla metà degli anni ’80, quando la chiamata del mitico Penarol lo costringe a prendere una decisione, seppur dolorosa per un amante dello studio come lui: molla la cattedra e diventa tecnico a tempo pieno.

Desta grande impressione sulla panchina dei “Manyas” e nel 1988 la federazione uruguaiana lo premia con la panchina della nazionale maggiore. Non solo porta l’Uruguay ai Mondiali di Italia ’90, ma mette in mostra un bel calcio che solo l’Italia stessa riesce a neutralizzare negli ottavi di finale. Il nome di Tabarez esce dai confini nazionali e poco dopo arriva la chiamata del Boca Junior che vincerà, con lui alla guida, il campionato di Apertura 1992-93.

Di conseguenza a metà anni 90, c’è il secondo step della sua carriera. Ovvero approdare in Serie A, in quel momento il più importante campionato al mondo, considerato l’università del calcio. Impossibile rinunciare per uno che di mestiere ha sempre fatto il Maestro. Approda al Cagliari nel 1994 e nella prima stagione in Sardegna porta i rossoblù ad un bellissimo nono posto, esprimendo ancora una volta un buon calcio. Tanto da attirare le attenzioni del Milan che lo ufficializza a giugno del 1996 come nuovo allenatore.

Tra i siluri di Bati e la cavalcata di Weah

La campagna acquisti del Milan nella stagione 96-97 è un mix di giovani di belle speranze e alcuni player ormai verso il finale di carriera, ma pronti almeno sulla carta per l’ultimo grande valzer. Arrivano alla corte di Tabarez: Christophe Dugarry, Edgar Davids, Michael Reiziger, Pietro Vierchowod, Jesper Blomqvist.

Loro si aggiungono a un impianto, come quello composto dai campioni d’Italia dell’anno precedente: Franco Baresi, Dejan Savićević, Roberto Baggio, Mauro Tassotti, Sebastiano Rossi, Zvonimir Boban, George Weah, Paolo Maldini, Demetrio Albertini, Marco Simone, Alessandro Costacurta e Marcel Desailly.

In uscita il Milan salutano Mario Ielpo, Paolo Di Canio, Gianluigi Lentini, Filippo Galli e Patrick Vieira (appena 19enne). Il Precampionato del Milan non è dei più convincenti, ma buona parte della rosa si è aggregata in ritardo a causa dell’europeo inglese e Tabarez invita tutti alla calma.

Calma che inizia a vacillare già nella finale di Supercoppa Italiana che apre la stagione contro la Fiorentina. Due prodezze di Batistuta, rendono vano il momento 1-1 di Savicevic. La viola sbanca San Siro e qualcuno inizia già ad indicare Tabarez come il colpevole principale.

Per sua fortuna, sette giorni dopo il campionato prende il via e il Milan travolge in casa 4-1 il Verona. Gara passata alla storia per la cavalcata di Weah che segna dopo un cost to cost da area a area. Sarà però uno dei pochi squilli rossoneri della stagione. Anche in Coppa Italia, il Diavolo avanza, ma convince poco. Elimina l’Empoli, dopo aver pareggiato in casa dei toscani e liquida 2-0 la Reggiana senza brillare.

Il Milan non decolla

Insomma l’avvio di Tabarez alla guida del Milan fa storcere il naso a parecchi e il proseguo non è dei migliori. Le vittorie contro Perugia e Bologna in campionato, sono offuscate dai Ko contro Sampdoria e Roma. In Champions poi, le cose se possibile vanno anche peggio. Falsa partenza casalinga contro il Porto che sbanca San Siro 3-2 con la storica tripletta di Jardel. Nella seconda giornata in Coppa, i rossoneri rialzano la testa in casa del Rosenborg 4-1 e vanno ancora KO a Goteborg 2-1.

Contro gli svedesi nella quarta giornata, Tabarez si gioca già la permanenza sulla panchina rossonera e grazie ad un Baggio superlativo il Milan batte 4-2 i campioni di Svezia. Il pareggio per 1-1 ad Oporto, consolida la seconda piazza del Milan e come vedremo più avanti diventa una sorta di spareggio l’ultima giornata contro i norvegesi del Rosenborg.

Intanto in campionato il Milan stenta e non poco. Sia nei risultati che lo lasciano lontano dalla Juventus capolista e sia nel gioco che fa fischiare l’esigente pubblico di San Siro. Rossoneri sconfitti a Firenze, con tre pareggi vs Atalanta, Inter e Juventus, con il solo successo contro il Napoli a dare qualche speranza all’ambiente. Ma il punto di non ritorno è vicino.

Il Toro mata El Maestro

L’1 dicembre 1996 il Milan è atteso dall’ostica trasferta di Piacenza, nell’undicesimo turno della Serie A. La vigilia non è delle migliori in quanto i meneghini sono freschi di eliminazione in Coppa Italia, contro il Vicenza dei miracoli di Guidolin. Basta un pari per 1-1 in trasferta ai biancorossi per prenotare la qualificazione che diventa realtà, dopo lo 0-0 del “Menti”.

Intanto da Milanello giungono notizi di una spaccatura tra la Vecchia Guardia della rosa e i nuovi arrivati: definiti senza mezzi termini come dei giovani viziati e arroganti. Non le migliori premesse per affrontare un Piacenza tutto italiano, gagliardo e trascinato dalle reti del “Toro di Sora” alias Pasquale Luiso. Il match inizia male per i campioni d’Italia in carica che vanno sotto 2-0, poi arriva la doppietta di Dugarry che riporta in quota il Diavolo.

Ma è una semplice illusione, visto che tre minuti dopo Pasquale Luiso si inventa il gol dell’anno, con tanto di rovesciata che trafigge Rossi e manda al tappeto il Milan. È l’inizio della fine per Oscar Tabarez, il quale il giorno dopo viene esonerato dal Milan e soprattutto da un Silvio Berlusconi spazientito da una squadra irriconoscibile.

Qualche tempo dopo sarà Baggio a spiegare i veri motivi di un andamento sottotono e per certi versi imbarazzanti di quel Milan.

Tabarez è un bravissima persona. Anche troppo, in uno spogliatoio di eccessive prime donne e che alla prima occasione, davanti alla bontà del tecnico, si sono presi non solo il classico braccio, ma molto di più. In un altro contesto e in un’altra situazione Tabarez sarebbe riuscito ad esprimere senza problemi il suo calcio. Ma ci ha messo del suo: essendo troppo buono si è lasciato sopraffare dall’arroganza di alcuni

Roberto Baggio

Un accusa nemmeno troppo velata per quel neo gruppo di giocatori approdati a Milanello e mai digeriti dalla vecchia guardia rossonera.

Sacchi 2.0: un tracollo totale

Il Milan esonera ufficialmente Tabarez il mattino di lunedì 2 dicembre, dopo che la sera prima Berlusconi aveva alzato la voce in una infuocata riunione ad Arcore, con il resto della dirigenza. Dunque, l’esonero arriva a 48 ore dal decisivo match di Champions League a Milano contro il Rosenborg. Serve urgentemente un nuovo allenatore e questa volta Galliani va sull’usato sicuro: dentro Arrigo Sacchi che da poche settimane ha chiuso con la guida della nazionale.

Una scelta che sorprende, ma che al tempo stesso sembra ridare morale all’ambiente rossonero. E si arriva quindi al match con i norvegesi. Il Milan passa da secondo nel girone, in caso di successo o pareggio. Una vittoria ospite invece condannerebbe il diavolo alla prima eliminazione dalla fase a gironi della Champions.

E proprio questa ipotesi si verifica, pur con Sacchi incolpevole e in sella al Milan da appena 24 ore. Brattbakk gela San Siro, Dugarry lo rianima al tramonto della prima frazione, ma poi ci pensa Heggem nella ripresa ad affondare il diavolo con il gol del definitivo 1-2. Come detto le colpe di Sacchi sono nulle in questa gara, ma è l’emblema del suo ritorno senza gloria alla corte dei meneghini.

Il Milan perderà 3-1 il derby di ritorno, dopo essere stato umiliato sette giorni prima dalla Juventus 6-1 in casa, oltre a varie scoppole contro Verona (3-1), Sampdoria (2-3), Perugia (1-0), Vicenza (2-0) e nell’ultima giornata in casa contro il Cagliari per 1-0, con gli ultimi 90 minuti della carriera di Franco Baresi.

Tempo dopo lo stesso Sacchi analizzò quella sua esperienza poco fortunata:

Ero consapevole di aver preso una brutta gatta da pelare, ma non potevo dire di no al Milan. Era una questione di riconoscenza per il Club e per Berlusconi. Mi avevano dato tutto ed era giusto che rispondessi presente. Purtroppo, la riconoscenza alla volte è traditrice visti i risultati in campo. Ma lo rifarei mille volte

Arrigo Sacchi