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È il 1996 quando i pochi fortunati che possiedono una televisione a discreta risoluzione nel proprio salotto possono ammirare lo spot Nike dal titolo «Good vs Evil».

Le immagini, immaginifiche quanto volete, riprendono de facto un’idea già realizzata nel lontano 1960: far giocare una partita di pallone tra squadre composte di fuoriclasse.

Certo, nello spot Nike il bene è rappresentato dai calciatori più forti dell’epoca – Maldini, Ronaldo, Cantona e via discorrendo –, il male da brutti ceffi capitanati dal demonio in persona, intento a distruggere il gioco più bello del mondo.

L’origine della nazionale di Lega

Non che nel 1960 si andò troppo lontani da un concetto di questo tipo. L’Inghilterra, che ha inventato il football – e che ne detiene gelosamente il patrimonio eterno –, non è mai stata battuta dalla nostra nazionale – né in amichevole né in gare ufficiali. Così, all’allora Presidente della Lega Nazionale Professionisti, viene in mente un’idea che suona assurda oggi, figuriamoci nel ’60: una partita tra i migliori 11 della First Division e i migliori 11 della Serie A.

A proposito di gelosia: come a voler mostrare e ribadire la superiorità del calcio inglese sul resto del mondo, Italia compresa, la nazionale della First Division schiererà 10 inglesi su 11, ad eccezione di Bert Trautmann, inglese d’azione peraltro – il portiere del Manchester City arrivò infatti in Terra d’Albione come prigioniero della Seconda Guerra Mondiale. Qui Rimase e qui giocò a calcio per tutta la vita.

I due selezionatori azzurri, Foni e Viani, mostrarono un coraggio non indifferente per l’epoca. Anziché provare a vincerla col santo catenaccio, scelsero di puntare sulla fantasia. Vennero così schierato insieme nella metà campo avversaria Hamrin, Charles, Tacchi, Angelillo, Altafini e Boniperti. Il risultato? 4-2 per “noi”.

Il giorno dopo Sport Illustrato commenta così la partita di San Siro:

«L’incontro tra le squadre di Lega ha avuto un solo grande merito: quello di avere offerto, a quarantamila spettatori e a centinaia di migliaia di teleamatori del calcio, uno spettacolo come raramente è possibile gustare. Una constatazione che non aggiunge un ette al convincimento che senza Charles, Hamrin, Angelillo, Tacchi, Altafini — stranieri di nazionalità o di scuola — il grande calcio da contrapporre alle migliori compagini mondiali non sarebbe alla nostra portata».

Il successo pubblico (oltre 50.000 spettatori in quel di San Siro) e mediatico (prime pagine di giornali italiane ed estere) dell’evento, spinse Italia e Gran Bretagna a ripetere l’esperimento per l’anno successivo. La Serie A si gioca ancora, siamo anzi nel bel mezzo della regular season, quando un manipolo di avventurieri parte alla volta del Regno Unito, sede dell’ambito incontro. Questa volta le partite furono due.

La prima l’8 novembre 1961 ad Hampden Park (oltre 60.000 spettatori) contro la Lega Scozzese. Finì 1-1. Con una succosa curiosità di cronaca: l’attaccante e stella del Toro Denis Law, miglior marcatore della nazionale scozzese d’ogni tempo, giocò per la Serie A, chiaramente. Ma non segnò. La seconda qualche giorno dopo ad Old Trafford, davanti a 50.000 spettatori. Presi dalla confusione della propria superbia, gli inglesi schierarono direttamente la Nazionale, quella vera.

Ma la Serie A vinse nuovamente. Lojacono prima e Hitchens (ironia della sorte proprio un inglese…) poi firmeranno un trionfale 2-0, a suggellare un dominio che già andava spedito su scala europea – le ultime tre Coppe dei Campioni erano finite infatti nelle mani delle due milanesi, una volta il Milan e due volte l’Inter.

L’esperimento venne ripreso nel ’62 e nel ’64. Nel primo caso la Serie A batté gli scozzesi a Roma per 4-3, perdendo contro la Lega inglese per 3-2 – e nei “nostri” segnò, beffa della sorte, un britannico (di nazionalità gallese) che in quei giorni stava diventando un giocatore proprio della Magica: John Charles.

Nel ’64, invece, in metà maggio, la sfida tra Lega Serie A e Lega Inglese deluse le aspettative. Un San Siro vuoto a metà vide la Supernazionale Italiana trionfare sugli inglesi grazie ad una rete di Luis Suarez, e vagare per il campo un giovanissimo Gigi Meroni, da poco passato al Torino. Ma l’impatto mediatico dell’esperimento, lo si avvertiva nell’aria e nei freddi numeri, risultò di gran lunga inferiore rispetto all’emozione suscitata quattro anni prima.

Una nazionale superata dal tempo

Il lungo inverno della mini competizione durò fino al 1971, quando sull’onda lunga della vittoria a Euro 68 e del secondo posto a Messico 70, fu fissato l’ennesimo esperimento trans-nazionale. Molto però era cambiato in Serie A. Dopo l’eliminazione con la Corea del Nord nel Mondiale del 66, vinto proprio dall’Inghilterra, la FIGC decise di chiudere le frontiere agli stranieri. L’esperimento del ’71, dunque, assomigliò più ad una semplice amichevole tra nazionali che all’esperimento degli anni precedenti.

Ne esce fuori una partita senza senso tra giocatori ormai al tramonto e giovani non più adatti all’U-21 per questioni anagrafiche. La prima partita vide opposte Serie A e Rappresentativa Budapest, la quale ebbe la meglio dei nostri per 1-0 grazie al gol di Dunai II. Uno scempio su ogni fronte, dunque. Dalla presentazione del torneo all’esito finale. Ma il peggio doveva ancora venire. La Serie A fu sconfitta anche dalla Lega Belgio (2-1), chiudendo così i battenti di una competizione affascinante ma ormai anacronistica.

Almeno fino al 1988. La caduta del muro è vicina, ma la Polonia non lo sa e combatte ancora per la propria libertà, schiacciata dal peso politico dell’URSS. A non considerare minimamente quest’aspetto è Gianni Mura, che in una sua pagella uscita su Repubblica in quei giorni, stronca la rinata competizione sul nascere: “Un 5 all’idea di rispolverare la Nazionale di Lega, non se ne avvertiva in modo lancinante la mancanza e il calendario è già abbastanza pieno”. Come se non bastasse, la FIGC, con l’Italia impegnata negli stessi giorni in amichevole con l’Olanda, prende le distanze non concedendo divise ufficiali alla “turbonazionale”, che deve reinventarsi la propria casacca.

È il 12 novembre del 1988 quando si gioca, in un San Siro quasi deserto – poco più di 5000 spettatori – Serie A vs Polonia. I polacchi passano due volte in vantaggio prima di essere ripresi per la coda da Tassotti e Maradona, che rese ai presenti un giusto omaggio. “La partita ha dimostrato che ai calciomani di casa nostra interessano solo le rabbie del campionato”, titolò sconsolata La Stampa. Non basta insomma una Nazionale che può annoverare Maradona e Matthaus nella stessa squadra ad accendere entusiasmi già troppo sollecitati dal calendario che s’infittisce sempre di più.

Passano tre anni e l’esperimento trova il suo canto del cigno. È il 16 gennaio del 1991 quando la Nazionale di Lega è impegnata al San Paolo (15.000 i presenti) contro la Nazionale di Lega Inglese – di lì a poco Premier League.

Come se il clamore mediatico non fosse già quasi del tutto inesistente, quanto accade la sera prima rende l’evento ancor più insulso. Il 15 gennaio infatti aveva avuto inizio, in Kuwait, l’operazione Desert Storm, la breve Guerra nel Golfo Persico con cui le forze ONU resero indipendente il Kuwait. È la prima guerra in diretta tv – trasmessa dalla CNN – a cui assiste il popolo italiano. Figuriamoci quanto poco appeal abbia avuto, in questo contesto, la sfida tra supernazionali.

Certo, la rosa dei nostri è semplicemente mostruosa. Matthaeus, pallone d’oro, è alle spalle di Van Basten (già due volte premiato dal massimo riconoscimento individuale, che vincerà nuovamente l’anno dopo) e Careca. La Serie A dell’epoca è come la Premier League oggi: il campionato più bello del mondo.

Sarebbe passato poco tempo prima di assistere l’impensabile: il ribaltamento delle forze in campo, col campionato inglese a dominare – o quasi – su quello italiano. La sfida fu decisa dai gol di Careca, Van Basten e un giovane e promettente centrocampista argentino, militante nel Pisa: il suo nome è Diego Pablo Simeone.