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Avete mai visto una squadra italiana vincere uno scudetto collezionando due sconfitte e quattro pareggi nelle ultime sei partite di campionato? No, non parliamo di corto-musismi.

Parliamo di uno dei gruppi più forti di tutti i tempi, di una squadra nel proprio apice anche se aveva cambiato, rivoluzionato, allontanatasi dalla propria professione di fede. Scoprendo, tutto sommato, che per vincere ci sono altre strade e che sono ugualmente valide. Anzi: a tratti pure più emozionanti.

Il Milan del 1993, che sfocia in un 1994 molto importante per la storia del suo presidente, è l’apice del berlusconismo: la scelta giusta anche quando tutto intorno racconta altro, dunque la scelta scomoda che però si rivela vincente.

Parliamo di una squadra in grado di vincere 29 delle 54 partite disputate, di pareggiarne 19 e soprattutto di perderne appena 6. Alla guida, un giovane Fabio Capello, già plasmato e formato sul milanismo ma non ancora un allenatore vincete a tutti i costi. Il capocannoniere? Daniele Massaro, italianissimo: la storia olandese era ormai alle spalle.

Il mercato del Milan

E in effetti, quello era un Milan profondamente italiano: tranne Boban, Desailly, Papin e Laudrup, di stranieri non ce n’erano mica.

Restava ancora Van Basten, che però non è mai sceso in campo per i tanti infortuni, l’ultima strada verso un addio a quel punto già certo.

Di sicuro, in un modo o nell’altro, il Milan chiudeva un ciclo e non aveva certamente l’idea di farlo da prima in classifica. Del resto, come si fa a immaginarsi dominante quando salutano giocatori come Evani, Gullit e Rijkaard? Aldo Serena si era ritirato, ai saluti anche i giovani Lorenzini e Traversa. Una nuova strada. E tanti acquisti arrivati a Milanello, poco dopo l’annuncio del corso più difficile e probabilmente più bello.

Ecco, da Cagliari era appena arrivato il portiere Mario Ielpo; aveva firmato Orlando dall’Udinese e Verga dalla Fiorentina. In particolare, Galliani era riuscito a strappare Christian Panucci dal Genoa: una giovane, fortissima promessa.

In mezzo era tornato Carbone dal prestito al Napoli, c’era Cappellini dal Como e Laudrup, Brian, era arrivato in prestito dalla Fiorentina.

Un altro attaccante aveva colorato i giorni del condor: parliamo di Florin Raducioiu, fresco d’arrivo dal Brescia. A gennaio: dentro Desailly dal Marsiglia, fuori subito Verga (al Lecce).

La rosa del Milan 1993-1994

GiocatoreR Giocatore R
Sebastiano RossiPZvonimir BobanC
Mario IelpoPAngelo CarboneC
Francesco AntonioliPFernando De NapoliC
Franco BaresiDRoberto DonadoniC
Alessandro CostacurtaDStefano EranioC
Marcel DesaillyDDejan SavicevicC
Filippo GalliDMarco Van BastenA
Paolo MaldiniDBrian LaudrupA
Mauro TassottiDGianluigi LentiniA
Christian PanucciDDaniele MassaroA
Stefano NavaDJean-Pierre PapinA
Demetrio AlbertiniCMarco SimoneA
Alessandro OrlandoCFlorin RaducioiuA
La rosa del Milan per la stagione 93/94

Dunque, che gruppo c’era? Fortissimo. Quasi tutto italiano – anche per scelta politica -, di sicuro da tanto talento espresso e a tratti inespresso.

Dopo aver piazzato Ielpo alle spalle di Sebastiano Rossi tra i pali (con Antonioli prestato poi al Pisa), in difesa si ripartiva dalle solide certezze che pagarono alla grande: appena 15 reti subite in campionato, record assoluto per i campionato a 18 squadre.

E ciò vuol dire: capitan Baresi, Billy Costacurta, Filippo Galli e ovviamente Paolo Maldini. A loro si aggiungevano Stefano Nava, Mauro Tassotti, sei mesi di Verga e chiaramente Christian Panucci, che Capello portò con sé (in un’altra storia) anche al Real Madrid.

A centrocampo, a far girare la squadra c’era un giovane Albertini; il talento di Boban era pronto a sbocciare, non lo fece mai in maglia rossonera quello di un giovanissimo Ciccio Cozza. De Napoli completava un reparto pieno di qualità: intanto Eranio, decisivo all’improvviso, poi la solidità di Donadoni e soprattutto il Genio, Dejan Savicevic.

Con Laudrup e Lentini, che avrebbe dovuto garantire gol e qualità, il Milan disponeva del reparto di mezzo più forte del campionato. Non che in attacco la situazione fosse precipitata: anche senza Van Basten, c’erano i gol di Papin, Raducioiu e Simone. Soprattutto quelli di Massaro, capocannoniere a fine anno con 16 reti.

La stagione

Undici, le reti di Massaro in campionato. Che parte con una vittoria a Lecce e un’altra a Napoli con il Genoa (San Siro è stato squalificato). Poi pari a Piacenza e trittico di vittorie prima di un trittico di pareggi: in mezzo i successi con Atalanta e Roma, poi gli stop con Lazio e Juventus, fino al ko con la Sampdoria.

Nella notte di Halloween, il grande spavento dopo 4 partite senza vittorie, ma i rossoneri erano ancora lì, a un passo dal primo posto. In quella decima giornata, fu l’unica volta in cui il Milan non si vide più in alto di tutti: fu terzo, e allora rispose. Vittoria, vittoria, pareggio, vittoria e ancora vittoria più vittoria. Era primo. Tre pareggi ed era ancora primo. Fino a una striscia di nove vittorie che valse di fatto lo scudetto, prima delle ultime sei senza mai trovare bottino pieno.

In una stagione iniziata alla grande con la vittoria in Supercoppa Italiana (si giocò a Washington, decisivo Simone), fu la Champions League a cambiare l’opinione attorno alla squadra di Capello: intanto il girone superato a fatica con 4 pareggi e sole due vittorie a San Siro, poi la presa di coscienza: 3-0 al Monaco in semifinale e addirittura 4-0 in finale al Barcellona, allo stadio Olimpico di Atene.

In gol ancora Massaro, poi Savicevic e infine Desailly. Non andò allo stesso modo l’Intercontinentale, persa 2-3 con il San Paolo.

E ancora oggi, più di qualche milanista ricorda la Supercoppa Europea sfumata al 95′ contro il Parma: dopo l’1-0 per i rossoneri al Tardini, al ritorno la squadra di Capello si fece rimontare con un gol di Sensini e un altro di Crippa