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Puoi dribblare tutti, non il destino. Roby Baggio ha fatto proprio questo: si è bevuto in un sorso avversari, critica, scettici. Poi però ha dovuto fare i conti con la sorte: beffarda, sempre. Perché anche se hai il talento più lucente della storia del calcio italiano, non puoi sottrarti alla legge della fatalità.

Chi l’ha visto giocare, ha sempre sostenuto che si trattasse di magia applicata al calcio. E viceversa. Un artista del pallone, comunque. Con un dono specifico: tenere palla e inventare, robe sempre più complicate. Roberto è sempre stato speciale e soprattutto non s’è mai accontentato d’essere: lui voleva dimostrarlo ogni partita, gara dopo gara. Sopra ogni cosa, voleva vincere un Mondiale con l’Italia. La squadra del suo cuore.

Baggio ci trascina a USA 94

Decine di gol, di giocate, di opere maestre… la carriera folgora ed emoziona, ma se dobbiamo scegliere un ricordo in cui Baggio è propriamente e impropriamente Baggio, nella mente sovviene un calcio di rigore. Roberto Baggio, nonostante tutte le reti siglate, i titoli vinti e l’impronta indelebile che ha lasciato, avrà sempre una macchia nella sua storia. Quel rigore. Quel fatidico rigore contro il Brasile.

Il Mondiale del 1994 era la seconda Coppa del Mondo che Roby disputava. Aveva già giocato quello in casa, nel 1990: gli Stati Uniti gli parvero un buon posto per redimersi, per respingere accuse e paura, per riscuotere una discreta somma dal karma per non aver alzato il trofeo nel proprio paese. Il Mondiale iniziò però male per gli Azzurri: sconfitta contro l’Irlanda, vittoria contro la Norvegia e pareggio con la selezione messicana. Quattro squadre a quattro punti, Italia terza del gruppo. Gli astri si allinearono e passarono come la quarta miglior terza, ultimo posto – quattro era appunto il totale – nella specifica classifica delle squadre ripescate. Roby non aveva ancora siglato un singolo gol all’interno del torneo.

Agli ottavi, l’Italia dovette affrontare la Nigeria, prima del gruppo D. Sembrava finita, poi Baggio al minuto 88 mise l’1-1, mandando la sfida ai supplementari; un altro su rigore fece sì che la nazionale potesse continuare a sognare. L’aspettava così la Spagna di Zubizarreta, di Luis Enrique, di Nadal… altro giro, altro gol all’88’, che stavolta vale la vittoria e le semifinali. Sempre Baggio.

La lotteria infinita

La tensione era altissima, ma l’Italia intera confidava in quel codino che divenne prima leggenda e poi moda. Le semifinali erano contro la sorprendente Bulgaria: c’era Hristo Stoichkov – in piena eruzione – che scuoteva le notti di Arrigo Sacchi. Doppietta e finale: Baggio aveva segnato nei tre turni a eliminazione diretta, e in ognuno di questi aveva portato a casa la rete decisiva. L’Italia era in finale: sul cammino verso la Coppa, forse il Brasile più forte di tutti i tempi.

Novanta minuti di sofferenza e paura. Né il Brasile, né l’Italia riuscirono a segnare un gol. Supplementari. Dove non accadde praticamente nulla. Mai prima di quella gara si era decisa una finale del Mondiale ai calci di rigore. Inizia la danza. Sbaglia Baresi, sbaglia anche Marcio Santos. 0-0 dopo i primi due tiri. Albertini, Romario, Evani e Branco non commettono errori. 2-2. Turno di Daniele Massaro, campione nel 1982. Para Claudio Taffarel. Dunga, capitano del Brasile, segna il suo calcio di rigore. L’Italia non ha scampo: deve far gol per continuare a sognare. Se sbagliano il rigore successivo, addio al sogno Mondiale.

La responsabilità ricade sul giocatore che ha portato la selezione azzurra fino a quel punto. Roberto Baggio, che aveva siglato 5 dei 6 gol che portarono l’Italia in finale, era l’incaricato di Sacchi. Aveva già vissuto una situazione simile quattro anni prima contro l’Argentina. Quella volta il suo rigore andò dentro. Stessa storia per Baresi e De Agostini, tuttavia l’Albiceleste passò in finale dopo gli errori di Donadoni e Serena. Tutti gli occhi erano concentrati sul 10 del cuore. Pelé, con il suo cravattino coi colori degli Stati Uniti, aspettava ansioso che l’italiano sbagliasse. E sbagliò. Il rigore finì fuori lo specchio della porta. Il tiro non toccò neanche palo o traversa, la palla scappò altissima, scatenando la gioia dei giocatori e dello staff tecnico brasiliano.

Il racconto

Il Brasile era campione del mondo per la quarta volta. Roberto Baggio e tutta l’Italia piangevano sconsolati sul terreno di gioco. Prima di quel momento, Baggio aveva segnato 45 su 50 penalty calciati, ma sbagliò il più importante della grandiosa storia della Nazionale. Quel momento l’ha sempre perseguitato. Tanto da raccontarlo con questa enfasi nella sua biografia.

“Ancora oggi – scrive – non dormo bene per l’errore dal dischetto contro il Brasile. Ormai purtroppo è successo, sono situazioni spiacevoli che possono servire da lezione. Sin da quando ero bambino avevo sempre sognato di giocare una finale dei Mondiali contro il Brasile per poter vendicare quella persa nel 1970. Ma un contro è sognare, un altro conto è la realtà. Io avevo sempre sognato una finale differente”.

Raccontò inoltre un dettaglio: al momento del tiro, era lucidissimo. Non aveva paura. Sapeva che Taffarel si sarebbe buttato come sempre, per questo decise di calciarlo centrale, a mezza altezza, così non avrebbe potuto pararlo coi piedi. Era una scelta intelligente. Il pallone si alzò però di tre metri, andò oltre. I brasiliani dissero che fu opera di Ayrton Senna: chissà. E’ una spiegazione romantica a qualcosa di profondamente inspiegabile. Baggio ha sempre detto che i rigori sono sbagliati solo da chi ha il coraggio di tirarli. E’ stato il momento più duro della sua carriera, lo condizionò a lungo.

Non sapremo mai Se Ayrton Senna, morto due mesi prima, c’entrò effettivamente qualcosa; sappiamo però che quel rigore non fece giustizia a Roberto Baggio.