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Il calciomercato della Lazio, da 21 anni a questa parte – da quando, cioè, Claudio Lotito ha preso le redini presidenziali del club –, si può riassumere in una battuta dell’attuale direttore sportivo Angelo Fabiani, diventata tristemente nota: «i migliori acquisti sono quelli che non si fanno». L’intento polemico del detto (simil-popolare), una modalità di comunicazione tanto cara all’ex ds della Salernitana, voleva forse significare quello, assai più celebre, per cui l’erba del vicino è sempre più verde. La Lazio, in fondo, alcuni acquisti li porta sempre a casa. Ma di quale valore? E a quale costo?

Sorvolando sul primo interrogativo – perché non si può dire, ad esempio, che Dia o Nuno Tavares siano stati acquisti sbagliati: certo, lo si potrebbe parlando degli oltre 30 milioni totali spesi per Tchaouna, Noslin e Dele Bashiru –, è interessante soffermarsi sul secondo, unico oggetto del nostro articolo altrimenti privo di reali informazioni (non per colpa nostra).

L’Indice di Liquidità: il nemico numero due della Lazio

Il Messaggero, quotidiano romano da sempre molto attento alle dinamiche del mondo Lazio, pochi giorni fa riproponeva alla lettura dei tifosi biancocelesti quella parola paurosa che risponde al nome di “Indice di Liquidità”. Sconosciuta a qualsiasi altro club di Serie A – e a gran parte di quelli di Serie B –, l’I.d.L. è un ostacolo al calciomercato della Lazio da molte stagioni. Da una semplice definizione trovata in rete, esso indica «la capacità di un’azienda di far fronte ai propri debiti a breve termine utilizzando le proprie attività correnti. In altre parole, serve a capire se un’azienda ha abbastanza liquidità, o beni facilmente convertibili in liquidità, per pagare le sue passività correnti (debiti che scadono entro l’anno)».

Nel caso specifico, traducendo, significa che la Lazio di Lotito, non avendo liquidità finanziaria, può solo vendere per comprare – e da Formello hanno parlato addirittura di sette cessioni prima di poter acquistare anche un solo calciatore. In questo momento non ha senso dunque parlare di mercato, perché non ci sono proprio i margini economici per immaginare alcunché.

Stallo totale: e Sarri lo sa

Ecco perché abbiamo opportunamente parlato di nemico numero due. Il numero uno è proprio la gestione finanziaria del patron biancoceleste, che vanta di essere anche l’unico club senza main sponsor in tutta la Serie A. La Lazio, detto altrimenti, non ha altre entrate che quelle derivanti dal botteghino e dai diritti televisivi. Proprio come un club anni Settanta o Ottanta – neanche. La gestione familiare del club, che si traduce indirettamente anche sul piano comunicativo («la Lazio è una grande famiglia»), non ha portato altro che all’esclusione dalle coppe europee dopo 9 anni (stagione 2015/16).

Ecco allora che parlare di strategia di mercato, se è possibile per tante – tutte le – squadre in Serie A, non lo si può parlando di Lazio. La Lazio, come unica strategia, ha quella di aspettare offerte per eventualmente vendere ed eventualmente comprare. L’arrivo di Maurizio Sarri, certamente un’ottima notizia per i tifosi, non può oscurare lo stato di cose. Sarri d’altra parte lo ha detto esplicitamente: «sono tornato per amore», con tutti i rischi che una scelta d’amore comporta. Il tecnico toscano ha chiesto – come unica ma inderogabile clausola per firmare il suo secondo mandato alla Lazio – di trattenere alcuni big (Guendouzi, Romagnoli, Zaccagni), sapendo che con una partita a settimana la rosa può fare bene. Difficile negarlo, in effetti. Ma con quali prospettive?