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Quando si parla di arbitri, arbitraggi e regole arbitrali, si rischia sempre di appiattire il discorso ad una delle tre dimensioni citate.

L’arbitro è una cosa, meglio un essere umano: con la sua capacità discrezionale, i suoi errori più che comprensibili, la sua bravura e le sue debolezze.

Poi c’è l’arbitraggio, l’atto di arbitrare certo, ma anche lo stile che distingue un arbitro dall’altro – solo per fare un esempio, “arbitrare all’inglese” ≠ “arbitrare all’italiana”.

Infine, esistono le regole arbitrali, quelle che in teoria metterebbero tutti d’accordo, finendo eventualmente – al contrario – per scatenare risse da bar, dibattiti da moviola e malumori tra i tifosi. Qui, più che nei primi due aspetti, sta la più grave confusione tra gli opinionisti.

La regola, chiamiamola pure legge per capirci meglio, è per sua natura generale e non particolare. Ergo, sta all’arbitro – a meno di circostanze obiettive come il fuorigioco, anche se persino sulla sua applicazione ci sarebbe da aprire un sottoparagrafo – l’interpretazione del caso.

È su questo punto che si gioca la battaglia – introdotta da Pierluigi Collina, grande-capo della federazione arbitri nel mondo – sul tempo di gioco effettivo. I mondiali in Qatar, torneo-esperimento sotto tanti (e tristemente noti) punti di vista, sono già stati teatro di due macro-innovazioni a livello arbitrale. La prima, il fuorigioco semi-automatico, era stata annunciata. La seconda, il tempo effettivo, non proprio.

Perché i maxi-recuperi al Mondiale di Qatar 2022

In realtà Collina il problema l’aveva sollevato richiamandosi soprattutto a) alle numerose perdite di tempo non interamente calcolate in seguito alla revisione degli episodi al VAR e b), con leggera ipocrisia, al diritto dei tifosi, che meritano di vedersi 90, non 60 o addirittura 50 minuti di partita.

In Qatar-Ecuador, partita d’apertura, si sono giocati 8’ in più, abbastanza nella norma. In Inghilterra-Iran i 27’ concessi sembravano un errore del sistema – tra l’altro in parte giustificato dal brutto infortunio incorso a Beiranvand –, ma ai 10’ di Senegal-Olanda e ai 12’ di USA-Galles qualche domanda l’opinione pubblica è iniziata a farsela. « Quello che abbiamo fatto in Russia è stato calcolare in modo più accurato il tempo di gioco.

Abbiamo detto a tutti di non stupirsi vedendo il quarto uomo alzare il tabellone elettronico con sopra un numero grande, sei, sette o otto minuti. Se si vuole più tempo attivo, dobbiamo essere pronti a vedere questo tipo di tempo aggiuntivo concesso. Pensate a una partita con tre gol segnati. Una celebrazione normalmente dura un minuto, un minuto e mezzo, quindi con tre gol segnati perdi cinque o sei minuti ».

Sono parole insieme giuste ed inquietanti quelle di Collina. Esse vanno nella direzione gridata a gran voce da Stefano Pioli lo scorso aprile, quando dopo essere stato fermato da un Torino stoico sullo 0-0, ha recriminato sul tempo effettivo di gioco; nessuno, o pochi, in quel caso si misero dalla parte di Juric, che quel punto aveva strappato con ardore, spirito di squadra e furbizia – un elemento che evidentemente non farà più parte del calcio.

Cosa si vuole ottenere con i maxi recuperi

Quella sul tempo effettivo è in effetti una battaglia molto simile nei suoi presupposti a quella condotta sul fronte VAR. Si ricerca la giustizia ideale, e la partita deve durare il tempo esatto del suo concepimento: l’imprevisto, la perdita di tempo, l’episodio e l’evento – che tanto contraddistingue questo meraviglioso sport – decadono in virtù di questa filosofia (di matrice americana e baskettara, ça va sans dire).

Il grande recupero applicato dagli arbitri in questa edizione mondiale va dunque nella precisa direzione di un calcio sempre più equo, giusto e corretto, ma anche meccanico, tecnocratico, ripetitivo. Che poi sul giusto ed equo ci sarebbe da discutere parecchio: chi stabilisce cosa recuperare? Cosa significa perdita di tempo? Non è anche questo un fattore discrezionale?

Mettetevi poi dalla prospettiva del piccolo club che vede concessi 10 o 15 minuti di recupero dopo aver stoicamente fatto il massimo fino a quel momento, magari contro il grande club. È la sensazione che abbiamo provato tutti guardando Argentina-Arabia Saudita, una partita che sembrava non finire mai. La componente mentale, al di là della casualità del calcio che è un po’ la sua essenza e il suo segreto da secoli, non va sottostimata.

Le reazioni di giocatori e degli altri campionati

Sow, centrocampista svizzero, ad esempio ha detto che « non ci devono essere otto minuti di recupero sul 6-0. Penso che sia stupido, bisogna avere un po’ di tatto. Quando sei sul 6-0, non devi aggiungere altri otto minuti. Si tratta anche di rispetto verso l’avversario ». Per non parlare del dramma infortuni, aspetto sul quale Collina non ha osato dire “a” (figurarsi), ma che è invece stato ampiamente sottolineato dal Daily Mail – i maxi-recuperi, a livello mentale e fisico, psicofisico, sono devastanti, soprattutto in un calcio che corre a ritmi disumani da due anni e mezzo.

Il Daily Mail è non a caso un giornale inglese: la Premier, a differenza della Serie A, ha infatti deciso di non considerare i maxi-recuperi in campionato a partire dalla ripresa – ciò che falserebbe e non di poco la stagione effettiva, già torchiata dalla pausa mondiali. Il nostro calcio, anche in virtù della classifica che vede la Serie A ultima nei top 5 campionati per minuti effettivi di gioco (54’), ha dunque scelto di fare da apripista per l’esperimento sui club. Prima, possibilmente, dovrebbe risolvere la lacuna tra regole arbitrali e arbitri/arbitraggi, tra i peggiori in Europa per errori commessi quest’anno. È quello che si augurano i tifosi, checché ne dica Collina.