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Il match di Champions League in programma al Parco dei Principi martedì alle 21 tra Paris Saint-Germain e Manchester City non è solo la sfida tra due squadre nel novero delle favorite per la vittoria finale che non hanno mai vinto la coppa, ma anche l’incrocio tra le due proprietà mediorientali che hanno stravolto il calcio europeo nell’ultima decade.

PSG e City, spesso accumunate dal fatto di essere “squadre degli emiri”, in realtà sono due realtà molto diverse tra loro, ma in comune hanno il fatto di aver rapidamente scalato i vertici del calcio europeo grazie all’immissione di capitali apparentemente illimitati provenienti dai guadagni realizzati grazie a gas e petrolio del Golfo Persico.

Il Manchester City, fulcro di una galassia calcistica estesa in tutto il mondo

Nonostante ci fossero già numerosi esempi di investimenti nel calcio da parte del mondo arabo (ad esempio il Fulham di Mohamed Al-Fayed), il 2008 è l’anno che segna l’ingresso nel mondo del pallone degli emiri dalle disponibilità economiche pressoché illimitate.

Il Manchester City, fino a quel momento il secondo club cittadino alle spalle del mitico United, viene rilevato per 210 milioni di sterline dall’Abu Dhabi United Group, ramo dell’Abu Dhabi Investment Authority, fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti che conta partecipazioni per circa 850 miliardi di dollari, il più ricco al mondo.

A capo del ADUG c’è Mansur bin Zayd Al Nahyan, tra le altre cose Vice-Primo Ministro degli Emirati Arabi Uniti oltre che Ministro degli Affari Interni e presidente della First Gulf Bank. Già presidente dell’Al-Jazira Club, squadra di Abu Dhabi, Mansur ha investito quasi 2 miliardi di euro fino ad oggi sul progetto City: da allora i Citizens hanno conquistato 5 Premier League (titolo conquistato solo nel 1968 e nel 1937 in precedenza), 2 FA Cup, 6 Coppe d’Inghilterra e 3 Community Shield.

Ma soprattutto il fondo di Abu Dhabi ha messo in campo una struttura globale, che prevede investimenti calcistici in tutto il mondo con il marchio City, dal New York City FC negli Stati Uniti fino al Melbourne City FC in Australia, passando per club grandi e piccoli come i Yokohama Marinos in Giappone, il Montevideo City Torque in Uruguay, il Girona in Spagna, il Sichuan Jiuniu in Cina, il Mumbai City in India, il Lommel in Belgio e il Troyes in Francia.

La rete globale messa in campo dal City, che gli permette di individuare talenti in ogni angolo del globo, è solo una parte degli enormi investimenti che hanno riguardato anche le infrastrutture e le giovanili del Manchester City, che hanno trasformato in una vera e propria eccellenza sportiva quello che era un club di secondo livello in Inghilterra, famoso principalmente perché squadra del cuore dei fratelli Gallagher, musicisti che hanno segnato gli anni ‘90 con gli Oasis.

Paris Saint-Germain, un marchio che va oltre il calcio

Se l’emiro Mansur ha scelto una squadra all’epoca di secondo piano per investire sul calcio, nel vicino emirato del Qatar, governato dal cugino Tamim bin Hamad Al Thani, si è deciso invece di puntare ad un marchio più affermato, seppur con grandissimi margini di crescita. 

Nel 2011 la Qatar Investment Authority, il fondo sovrano qatariota presediuto da Nasser Al-Khelaifi, amministratore delegato di Al Jazeera Sports (che poi diventerà beIN Media Group), decide di acquistare il 70% del club francese del Paris Saint-Germain, arrivando a possederne la totalità nel 2012 per una valutazione complessiva di 170 milioni di euro.

A differenza degli emiratini al City, i qatarioti hanno concentrato tutti i loro sforzi a Parigi, investendo nel calcio ma anche in altri sport, sempre sotto l’egida PSG, come judo e pallamano, potenziando anche le squadre femminili.

Prima dell’arrivo del fondo qatariota il Paris Saint-Germain aveva vinto solo 2 titoli nazionali, nel 1986 e nel 1994. Squadra relativamente giovane, nata dalla fusione nel 1970 tra lo Stade Saint-Germain e il Paris Football Club, il PSG fin dalla nascita era una squadra che si prefiggeva l’obiettivo di convogliare il tifo calcistico di una delle maggiori metropoli europee che non aveva una squadra di calcio all’altezza.

Negli anni però la situazione finanziaria del club non fu mai particolarmente florida e il club ricoprì sempre un ruolo di secondo piano dietro altre realtà francesi come Saint-Etienne, Olympique Marsiglia, Lione, Bordeaux e Monaco. 

Con l’arrivo di Al-Khelaifi il marchio PSG fu oggetto di un profondo rilancio, partendo dai suoi legami commerciali con vari partner commerciali, da vari marchi di moda fino agli sponsor di maglia. La squadra emerse all’istante come la superpotenza del calcio francese: dal 2011 ad oggi sono 7 i titoli di Campioni di Francia conquistati, oltre a 5 Coppe di Francia, 6 Coppe di Lega e 7 Supercoppe nazionali.

Come gli emiri hanno stravolto il calcio europeo

I fondi pressoché illimitati dei fondi sovrani degli emiri del Golfo Persico hanno immediatamente reso il Paris Saint-Germain e il Manchester City le regine del calciomercato europeo.

Non che prima dell’arrivo degli emiri non fosse già in atto un progressivo aumento dei soldi investiti nei cartellini e negli ingaggi dei giocatori: dagli anni ‘90 in cui la Serie A italiana investiva miliardi di lire attraverso presidenti come Moratti, Berlusconi, Tanzi e Cragnotti fino alla pioggia di sterline piovuta sulla Premier League con la riforma dei diritti televisivi, passando per le spese folli di Real Madrid e Barcellona in Spagna nei primi anni 2000, la tendenza era ben definita da almeno un decennio.

Per poter competere con tutti questi colossi in breve tempo però le proprietà di City e PSG hanno rotto tutti gli argini, immettendo capitali senza criterio al fine di colmare il gap qualitativo con tutte le squadre della concorrenza e accapparrarsi i migliori giocatori e tecnici sul mercato.

Così il Manchester City è arrivato ad investire cifre completamente fuori mercato, 60-70 milioni, solo per acquistare il sostituto di un giocatore infortunato, oppure il PSG in una sola sessione di mercato ha strappato due dei giocatori più cari al mondo, Neymar e Mbappé, spendendo rispettivamente 222 e 160 milioni solo per il cartellino.

Le strategie delle due squadre sono in realtà molto differenti, visto anche il contesto diverso in cui si muovono.

Il Manchester City risulta regolarmente la squadra che spende di più sul mercato dato che deve affrontare la Premier League, il campionato più competitivo al mondo dove operano altre società dall’enorme disponibilità finanziaria. Il suo mercato è sempre volto ad acquistare tutti i giocatori necessari ad allestire una rosa completa e competitiva in ogni reparto, privilegiando la funzionalità dei giocatori alla loro fama.

Il record per l’acquisto di un singolo giocatore è stato toccato solo quest’anno, con i 117,5 milioni investiti per Jack Grealish dell’Aston Villa, ma prima di allora i 75 milioni per Kevin de Bruyne erano una cifra considerevole ma in linea con il mercato globale.

La potenza economica del City non si misura tanto nell’acquisto dei giocatori più cari sul mercato, ma sulle cifre pagate per aggiungere alla rosa quei giocatori considerati fondamentali dall’allenatore (Pep Guardiola, anch’egli uno dei tecnici più pagati al mondo). Ecco quindi 68 milioni per il difensore Ruben Dias (solo 3 anni dopo averne pagati 65 per il pari ruolo Aymeric Laporte), 40 per il portiere Ederson, 62,7 per il mediano Rodri, e via dicendo.

Al contrario il Paris Saint-Germain, forte di una supremazia in Ligue 1 che solo occasionalmente viene messa in discussione da altre squadre, investe principalmente in quei giocatori di grido, che garantiscono un grande ritorno mediatico e possono offrire quegli spunti individuali che possono fare la differenza in ambito europeo.

Conseguenza di questa politica sono gli ingaggi clamorosi di Neymar e Mbappé, entrambi alle cifre record di 222 e 160 milioni, solo l’apice di una serie di operazioni che hanno visto arrivare all’ombra della Torre Eiffel stelle del calibro di Angel Di Maria, Mauro Icardi, Javier Pastore, Edinson Cavani, Zlatan Ibrahimovic, Ezequiel Lavezzi o Javier Pastore, fino ad arrivare agli ingaggi dell’ultima finestra di calciomercato, ovvero Achraf Hakimi e Gigio Donnarumma, due elementi fondamentali delle squadre milanesi, e nientemeno che Leo Messi, il fuoriclasse simbolo del Barcellona costretto a lasciare il club catalano a causa di una profonda crisi che può essere fatta risalire alle conseguenze delle operazioni del PSG.

La corsa a competere contro queste due realtà, in particolare per quanto riguarda gli ingaggi riconosciuti ai giocatori, ha portato in breve tempo al formarsi di una bolla che è esplosa con la pandemia globale, quando l’interruzione del flusso di ricavi generati dagli stadi e dai diritti televisivi ha causato una crisi di liquidità che ha paralizzato il calciomercato europeo, con praticamente la sola eccezione delle due società di proprietà degli emiri che si sono rinforzate grazie ai fondi provenienti dal Golfo.

Concorrenza sleale o innovazione?

Nonostante il fair-play finanziario introdotto dalla UEFA nel 2009 i fondi sovrani di Qatar e Abu Dhabi hanno permesso alle due squadre di poter investire cifre sempre più alte, senza pericolo di indebitamento eccessivo visto la prontezza con cui società facenti capo agli stessi fondi erano pronte ad investire in sponsorizzazioni.

A ben vedere però le due società non sono assolutamente due pozzi senza fondo in cui gli emiri gettano il proprio denaro senza costrutto.

Con la proprietà emiratina il Manchester City ha fatto registrare un incremento dei ricavi del 487%, e per la precisione del 344% limitatamente ai ricavi commerciali, mentre per quanto riguarda il PSG l’aumento di ricavi dovuto alla gestione qatariota è del 532%, che sale ad un incredibile 715% analizzando i soli ricavi commerciali.

Le due società hanno operato in maniera innovativa nel campo delle squadre giovanili, che in breve tempo sono entrate a far parte dei principali serbatoi delle nazionali under dei rispettivi paesi e si sono allargate ad un mercato emergente come quello degli eSports, varando entrambe il loro team ufficiale nel 2016.

Il PSG oggi è tra i primi club ad utlizzare i Fan Token, le valute digitali personalizzate per il club, per pagare parte dello stipendio di un suo giocatore, Leo Messi.

Sicuramente l’immissione di capitali dal Golfo Persico, facenti capo direttamente a stati in cui la democrazia non funziona alla stessa maniera che in Europa, ha permesso alle due società di porsi immediatamente in una posizione di vantaggio rispetto a club dalla storia e dalla tradizione sportiva decisamente più radicata.

Ma l’apporto dato dalle due squdre in termini di appeal verso le competizioni ha portato indubbi vantaggi anche ai rispettivi campionati: l’ascesa del City ha alzato ulteriormente l’asticella in Premier League, mentre gli investimenti di beIN Sports non si sono limitati al solo PSG ma hanno portato anche ad un enorme incremento dei guadagni dai diritti televisivi dell’intera Ligue 1. 

Il fatto poi che entrambe le squadre, nonostante i miliardi di euro spesi, non siano ancora riuscite a conquistare la Champions League, arrivando al massimo in finale una volta a testa, ci rivela che i soli investimenti non sono sufficienti per vincere nel calcio.