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L’ultima volta che avevamo visto il Bologna così in alto era stato molto tempo fa. Nel 2001/02 con Guidolin, ma senza quella confortante sensazione di qualità che si percepisce guardando le performance dei rossoblu in questa stagione. Merito di Thiago Motta e della sua idea di calcio, senza dubbio, ma anche di chi – da dietro una scrivania – l’ha capita prima di tutti e lavora incessantemente per valorizzarla. In due parole, Giovanni Sartori.

Giovanni Sartori e la lezione del saper aspettare

Chi vi scrive lo ricorda dagli album delle figurine, in quel Milan 1978/79 che vinse lo scudetto, quello della stella ma anche l’ultimo prima dell’onta della retrocessione per il tristemente famoso caso del Totonero. Giovanni Sartori, tuttavia, di campo ne vide ben poco. Era un Milan che puntava su Walter Novellino e Albertino Bigon, e che regalò il canto del cigno a Gianni Rivera. Per quel ragazzo cresciuto nel vivaio rossonero, tuttavia, non c’era posto. Il barone Liedholm gli preferiva “Dustin” Antonelli, ma soprattutto quel campionato emise una sentenza crudele, per Giovanni Sartori. Quelle 7 presenze scarse saranno le sue prime e ultime in Serie A, ad appena 23 anni.

Seguì una discreta carriera tra B e D, con gli ultimi anni vissuti al Chievo Verona. Proprio lì, il presidente Luigi Campedelli lo convinse a smettere per passare da questa parte della barricata, prima da allenatore, ma dopo appena un anno il suo destino fu chiaro: morto il presidente, il figlio Luca Campedelli lo volle come suo braccio destro, nel ruolo di direttore sportivo.

Inizia così la carriera di uno dei più illuminati dirigenti sportivi del calcio italiano, uno che ha sempre unito grande competenza a una ferrea etica lavorativa, che lo ha portato a vedere centinaia di partite a tutte le latitudini del pianeta. Soprattutto, un dirigente che aveva la sensibilità per capire i giovani calciatori e anche saperli aspettare, come nessuno aveva fatto con lui.

Sartori: dal Chievo delle meraviglie all’Atalanta “europea”

Con Sartori dirigente, i gialloblu passano dalla C1 alla B nel 1994, alla Serie A nel 2001, dando vita a quel miracolo-Chievo di cui tutto il mondo parlò e scrisse. Tantissimi i talenti scovati e valorizzati, da Simone Perrotta a Eriberto-poi-Luciano, da Christian Manfredini a Sergio Pellissier, pescato dal Varese di Mario Beretta in Serie C e divenuto bandiera del club, ancora oggi dopo la sparizione della società e la ricostruzione dalla Serie D. Tra le felici intuizioni anche Bernardo Corradi, che aveva già assaggiato la Serie A a Cagliari ma che al Chievo visse le sue migliori annate. Alla fine è quello che deve saper fare un dirigente di una medio-piccola, scovare il talento per valorizzarlo e rivenderlo. Così, passarono dal Chievo di Sartori carriere importanti come quella di Andrea Barzagli, poi venduto al Palermo in un percorso replicato anche con Amauri. Ma il mestiere di dirigente sportivo è anche quello di monetizzare bene le meteore, vedi casi come quello di Victor Obinna, venduto molto bene all’Inter.

Esaurita l’esperienza al Chievo, Giovanni Sartori si trasferisce nel 2014 all’Atalanta. Magicamente, nel giro di pochi anni, una società che aveva fatto su e giù tra A e B, vede la sua statura cambiare radicalmente. Nel giro di pochi anni, con grande competenza nello scouting, Giovanni Sartori mette a segno molti altri colpi importanti, soprattutto dopo l’arrivo di Gian Piero Gasperini sulla panchina degli orobici. Qui, come con Gigi Del Neri negli anni d’oro del Chievo e come avverrà con Thiago Motta al Bologna, Sartori dimostra eccellenti capacità di far sue le idee dell’allenatore, e prendere giocatori ad esse funzionali. Si spiegano così colpi come quello di Robin Gosens, Hans Hateboer e Timothy Castagne, esterni a tutta fascia fondamentali nel modulo del Gasp, pescati rispettivamente da Heracles, Groningen e Genk. Ma i colpi di Sartori all’Atalanta sono tanti, sia nei giovani cresciuti dalla società che di talenti pescati in realtà minori ma conosciute a menadito (dal Genk è arrivato l’ucraino Malinovskyi, dallo Sturm Graz Hojlund, dall’AZ Koopmeiners eccetera), come di calciatori recuperati o rilanciati a livelli mai visti in precedenza (Papu Gomez, Ilicic, Muriel tra questi), il tesoretto dell’Atalanta è cresciuto senza soluzione di continuità.

L’arrivo al Bologna in un momento delicatissimo

Esaurita l’esperienza atalantina e arrivato a fine corsa il rapporto con Gasperini, Giovanni Sartori approda al Bologna. Un club storico del calcio italiano, ma in una situazione difficile, sotto il profilo sia societario che tecnico. In panchina c’è Sinisa Mihajlovic, un hombre vertical destinato però a venire piegato da qualcosa di molto più grande e ineluttabile. Il club è reduce da un deludente 13° posto, e la programmazione tecnica è come sospesa, per la delicata situazione personale dell’allenatore. Purtroppo Sinisa si aggrava nuovamente e il club deve prendere la dolorosa decisione dell’esonero, qualcosa che sul momento era sembrata crudele ma forse era solo un atto di umanità per consentire a un uomo di vivere le ultime settimane della vita con i propri affetti. Al netto della grande commozione, c’è da pensare al futuro del club e arriva l’ingaggio di Thiago Motta.

L’italo-brasiliano era reduce da un più che mezzo miracolo allo Spezia, condotto alla salvezza nonostante una rosa tra le meno competitive della Serie A. Al Bologna, Motta porta il suo calcio fatto di pressing alto, fraseggi e improvvise verticalizzazioni, ma anche un contesto tattico in cui i centrocampisti devono riuscire a ricoprire più ruoli. Sartori aveva già pescato talenti buoni per questo tipo di calcio, come il centrale Aebischer preso dallo Young Boys e il trequartista Lewis Ferguson, prelevato dall’Aberdeen. I due si aggiungono a un reparto che ha già degli elementi interessanti come Jerdy Schouten e Nico Dominguez.

Zirkzee e l’oro nascosto

Sempre dal prediletto serbatoio belga arrivano Arthur Theate e Jhon Lucumì, ma soprattutto arriva l’affare più esemplificativo del modus operandi di Sartori: Joshua Zirkzee. Entrato in orbita Bayern Monaco a 16 anni, l’olandese si era fatto notare in prima squadra nella stagione del Covid, ma nel Bayern dei totem Lewandowski e Muller, del 17enne Musiala e del neo acquisto Sanè non c’era spazio per lui. Così viene girato in prestito a un Parma tuttavia solo di passaggio in Serie A. Annata quasi persa e nuovo trasferimento all’Anderlecht. In Belgio Zirkzee recupera fiducia e minuti in campo, così Giovanni Sartori ne approfitta: inizia a trattare con il Bayern Monaco e riesce a ottenere non più il prestito, ma la cessione definitiva. Il prezzo è di 8,5 milioni più il 40% della futura eventuale plusvalenza in caso di rivendita. Nel primo anno Joshua colleziona 2 reti e 2 assist in 19 presenze, ma solo 7 delle quali da titolare. Davanti ha Marko Arnautovic, e qualcuno inizia a pensare che il ragazzo non valga i soldi spesi. Giovanni Sartori conosce però il valore della pazienza. Una virtù che, unita alla competenza del saper riconoscere il talento, genera spesso situazioni in cui alla fine si è costretti a dire “aveva ragione lui”.

Bologna 2023/24: la pazienza paga

In estate Arnautovic fa le valigie in direzione Inter, così Zirkzee può finalmente giocare un ruolo da protagonista. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: mentre scriviamo sono 15 le presenze, 7 i gol e 2 gli assist. Soprattutto, saper aspettare Joshua Zirkzee ha significato trovare l’attaccante perfetto per il gioco di Thiago Motta. Potente abbastanza da reggere l’urto spalle alla porta, ma tecnico e agile come la sua stazza non suggerirebbe, l’olandese è perfetto per legare il gioco arretrando a dialogare coi centrocampisti, ma anche per aprire spazi per gli inserimenti di compagni come Orsolini (4 gol) e Ferguson (3).

Non solo, perché il Bologna crea tanto ma concretizza ancora poco: In 15 giornate sono solo 18 i gol fatti, a fronte di un dato xG di 21,16, quindi in teoria 3,16 gol in meno rispetto a quanto prodotto. Nel momento in cui Zirkzee dovesse diventare più scaltro e cinico, e magari entreranno maggiormente in rotazione altri elementi giovani come Giovanni Fabbian (2 gol ma in solo 158 minuti trascorsi in campo), questo Bologna potrebbe spogliarsi dal ruolo di parvenu nel calcio che conta. E tutto questo avendo ceduto in estate due pezzi pregiati come Schouten e Dominguez.

Dopo Verona e Bergamo, il terzo capolavoro di Giovanni Sartori è già verità. Bisogna solo vedere che portata riuscirà ad avere. Perché anche nel calcio, a volte, “truth is beauty, beauty truth”.