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L’Italia di Mancini oggi è una squadra che non sembra nemmeno imparentata con quella di Ventura, capace di esprimere un gioco fatto di possesso palla e pressione offensiva che ricorda molto da vicino della Spagna, ma con un’attenzione difensiva maggiore. Gli ottimi risultati ottenuti nell’ultimo biennio hanno fatto crescere esponenzialmente la consapevolezza dei propri mezzi e l’entusiasmo nel giovane gruppo azzurro.

Sono passati quattro anni dalla netta sconfitta per 3-0 di Madrid che costrinse l’Italia di Giampiero Ventura allo spareggio contro la Svezia per accedere ai Mondiali di Russia 2018 e segnò l’inizio del peggior tracollo della storia del calcio italiano.

Adesso gli azzurri affrontano nuovamente la Spagna, nella semifinale di Euro 2020, ma quel precedente sembra, fortunatamente per noi, appartenere ad un’altra era calcistica.

Mancini e Luis Enrique, affinità e differenze tra i due tecnici

La Spagna di Luis Enrique, che sta vivendo l’inizio di un profondo rinnovamento generazionale, resta sempre fedele al suo gioco. Dopo lo straordinario quadriennio 2008-2012, con gli iberici capaci di vincere due Europei consecutivi e un Mondiale, la continua ricerca del palleggio e del controllo del ritmo del gioco attraverso il fraseggio dei suoi centrocampisti e trequartisti è diventato una sorta di dogma irrinunciabile per qualsiasi ct iberico.

Certo, non ci sono più gli Iniesta, i Fabregas e gli Xavi che hanno istituzionalizzato il tiki-taka guardiolesco (ormai assimilato da chiunque, anche dall’Italia di Mancini) che ha influenzato tutta la scuola spagnola del nuovo millennio, compreso Luis Enrique che sempre con il Barcellona ha ottenuto risultati eclatanti prima di assumere la guida delle Furie Rosse.

Mancini ha fatto tesoro della lezione spagnola dello scorso decennio, mettendo in campo una squadra che cerca sempre il possesso della palla e la costruzione del gioco palla a terra, esattamente come la Spagna. Ma laddove per Luis Enrique questi sono dei dettami imprescindibili per lo sviluppo del gioco, per l’Italia si tratta di via preferenziali, dettate più dalle caratteristiche dei suoi giocatori piuttosto che da intoccabili dogmi tattici.

In caso di necessità, l’Italia è capace di cambiare velocemente pelle, giocando maggiormente di rimessa grazie alla fisicità di Belotti e agli scatti in profondità di Chiesa, o di mettere in campo un centrocampo maggiormente orientato alla distruzione del gioco altrui grazie agli innesti di Cristante e Locatelli, delegando la costruzione del gioco ai lanci dalle retrovie di specialisti come Bonucci o Bastoni.

Il fulcro del gioco spagnolo: Sergio Busquets

L’uomo chiave dello schieramento spagnolo è comunque uno dei massimi esponenti della scuola blaugrana dei Guardiola e degli Xavi, anche se più concreto e meno elegante: Sergio Buquets, mediano anche del Barcellona e perno del centrocampo iberico, attorno al quale si sviluppano tutta la manovra sia offensiva che difensiva. Busquets è infatti fondamentale tanto nel far girare palla in uscita dalla prima pressione avversaria, quanto nell’operare come schermo a protezione della difesa, contrastando gli avversari sulla propria trequarti.

Sarà fondamentale l’azione di disturbo su Busquets quindi, che dovrà essere portata a turno dal centravanti, che sia Immobile o Belotti, e da Insigne, che dovrà sdoppiarsi tra questo compito e il contrasto a Azpilcueta per evitare le ripartenze sulle fasce.

Come sopravvivere al tiki-taka spagnolo e volgerlo a proprio favore

I punti di forza del gioco spagnolo

La Spagna che sta giocando questo Europeo è una squadra radicalmente diversa da quella scesa in campo nel corso dell’ultimo biennio: tra infortuni, scarso stato di forma ed esclusioni eccellenti la formazione tipo di Luis Enrique deve fare a meno di giocatori che si pensava potessero essere titolari, come Jesus Navas, Ansu Fati, Sergio Ramos, Mikel Merino o Thiago Alcantara (quest’ultimo presente ma relegato in panchina dal giovanissimo Pedri).

La formazione iberica ha comunque assorbito molto bene i cambi di formazione, anche grazie appunto a quell’impianto di gioco ormai praticamente standardizzato tra la nazionale maggiore, le selezioni giovanili e un po’ tutte le squadre di livello spagnolo, per cui ogni calciatore spagnolo cresce assimilando i compiti che verrà poi chiamato a compiere nel contesto della Roja.

La pericolosità maggiore arriva dagli esterni d’attacco, bravi a dialogare con i centrocampisti e capaci di concludere dalla distanza così come di cercare la penetrazione in area. Contro l’Italia sarà sicuramente assente Pablo Sarabia, vittima di una contrattura alla coscia destra, per cui saranno con ogni probabilità Ferran Torres e Dani Olmo i due giocatori che impegneranno i terzini azzurri.

La Spagna non rinuncia mai a far partire l’azione palla a terra dalla difesa, passando sempre per i piedi di Sergio Busquets. Spesso però vanno in sofferenza quando pressati in questa fase di gioco. La qualità nel palleggio dei suoi giocatori è altissima, ma spesso l’eccesso di confidenza li porta a rischiare giocate azzardate nella trequarti avversaria. In caso di perdita della palla, gli spagnoli sono abili nel portare pressione immediata agli avversari, ma nel caso non riescano a recuperare palla non si trattengono dal commettere falli tattici per bloccare le ripartenze avversari.

Le vulnerabilità dello schieramento spagnolo

Il centrocampo azzurro, con Jorginho abile a far muovere velocemente Barella e Verratti, deve assolutamente sfruttare questi momenti per guadagnare metri di campo e cercare di portare la palla nella loro metà campo, dove il pressing non funziona altrettanto bene.

Più in generale, bisogna fare molta attenzione a non farsi schiacciare nella propria metà campo: la Spagna è maestra nel far girare palla da un lato all’altro, con mille scambi di posizione tra centrocampisti, terzini e trequartisti, snervando l’avversario per poi accelerare improvvisamente non appena si aprono dei varchi.

Di contro, questa tendenza li rende particolarmente vulnerabili alle ripartenze condotte in velocità. Se non recuperano palla nell’immediato hanno difficoltà a difendere in maniera efficace e recuperare palla una volta saltata la prima riaggressione.

È davvero un peccato aver perso uno specialista come Spinazzola, ma Emerson Palmieri è comunque in grado di ribaltare velocemente il fronte d’attacco, come sul lato opposto dovrà fare probabilmente Chiesa. Se si riesce a spostare il gioco nella loro metà campo gli spagnoli soffrono, come si è visto nelle ultime partite in qui hanno subito il pareggio ogni volta che hanno iniziato a giocare con maggiore sufficienza nella metà campo avversaria ed i rivali hanno alzato il baricentro del proprio gioco.

Il problema del centravanti: Morata e Moreno, più dolori che gioie

Una delle maggiori note dolenti di questa Spagna è, come da tradizione iberica, il centravanti. Se Fernando Torres e la naturalizzazione di Diego Costa hanno per anni nascosto le enormi lacune della scuola spagnola nel formare attaccanti di livello, per quest’anno sembrava che con Alvaro Morata e Gerard Moreno le Furie Rosse avessero ben due opzioni più che valide in avanti.

In realtà entrambi i centravanti hanno deluso finora. Per quanto Morata abbia messo a segno due reti, sono molto stati molto più clamorosi i suoi errori e le occasioni mancate, che hanno aperto la strada ad una valanga di critiche in patria, dagli sfottò bonari fino addirittura a minacce al calciatore e alla sua famiglia. Non che Gerard Moreno, l’attaccante rivelazione dell’ultima Liga con la maglia del Villareal e capocannoniere dell’Europa League con 7 gol, abbia fatto di meglio.

La coppia centrale italiana, composta da Bonucci e Chiellini, conosce alla perfezione il compagno juventino Morata, e in genere la l’intesa li rende particolarmente abili nella marcatura di una punta unica, come si è reso conto Romelu Lukuku. Attenzione però perché Morata è un giocatore che vive di fiammate, e quando può sembrare avulso dal gioco e dalla manovra è il spesso il momento in cui si accende improvvisamente trovando spazi in area in maniera imprevedibile.