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Qualsiasi stupido può fare qualcosa di complicato, ma per puntare alla semplicità, occorre un genio.

In un contesto “normale“, scomodare un paroliere come Woody Guthrie, sarebbe stato pretestuoso e poco simpatico per gli amanti della musica americana del dopoguerra, ma ci sono personaggi che meritano più di altri un certo tipo di attenzione e su quello di cui proveremo a scrivere in questo pezzo, possiamo permetterci di avere la presunzione di andare sul sicuro.

Shai Gilgeous-Alexander, istruzioni per l’uso

La prima cosa da imparare per chi viene in contatto con il talento di uno come Shaivonte Aician Gilgeous-Alexander, è, lo sapete, imparare a memoria il suo nome per esteso.

Chi fa un lavoro come quello di chi vi scrive, necessita di questa particolare forma di amore-odio per i cognomi di una certa lunghezza, un po’ come imparare a mettere nero su bianco i nomi più mazzosi delle squadre di calcio, come il “Borussia Mönchengladbach“, che per esteso farebbe più o meno così: “Borussia Verein für Leibesübungen 1900 Mönchengladbach e.V.

Una volta effettuato il primo passo, allora si passa allo step successivo, cosa che viene spontanea, alla luce del successo ottenuto nel passo precedente. Una specie di balsamo per l’anima, una redenzione alla quale ci si abbandona, per il semplice fatto di essere riusciti a imparare a memoria tutte le lettere che compongono l’oggetto del discorso.

E’ così che, qualche volta, scoppia l’amore verso un giocatore, una squadra, una macchina da corsa, un uomo di scienza o di spettacolo.

Più semplicemente Shai, cocco di papà

Per i meno arditi, Shai, o SGA, sono le due scorciatoie che servono ad identificare il playmaker degli attuali Oklahoma City Thunder, che non vedevano qualcosa del genere dai tempi della versione del Russell Westbrook più selvaggio, quello che mordeva il ferro coi denti e metteva a referto triple doppie come fossero coriandoli a carnevale.

Cominciamo col dire che nella vita di Shai non ci sono campetti della periferia delle città dove se sbagli a guardare i grandi con un atteggiamento che va oltre il rispetto, sei costretto a correre veloce e a chiuderti in casa con la speranza che le cose si calmino nel giro di qualche giorno.

Niente risse, niente sotterfugi, nessuna situazione di povertà assoluta con mamme che crescono figli da sole e vengono ricompensate dopo l’entrata in NBA del talentuoso di turno.

Gilgeous Alexander nasce a Toronto, ma i genitori lo fanno crescere ad Hamilton, umidiccia città canadese incastonata nella terra dei Grandi Laghi, dove si vive discretamente bene e lo sviluppo industriale non si è mai fermato nell’ultimo cinquantennio.

Mamma Charmaine Gilgeous ha trascorsi da sportiva professionista e ha partecipato alle Olimpiadi di Barcellona del 1992 nella specialità dei 400 Metri piani, mentre papà Vaughn Alexander fu uno dei suoi primi allenatori.

Prima del trasferimento al College statunitense del Kentucky, dove avrà modo di dimostrare la parte acerba, ma oltremodo vistosa del suo talento, SGA frequenta un liceo cattolico, il St. Thomas di Hamilton, per poi trasferirsi in Chattanooga, Tennessee di Petersoniana memoria.

Al college

Kentucky, abbiamo detto. E Kentucky, per chi ha almeno un’infarinatura di basket universitario, lega il suo nome ad uno dei più illuminati coach di college, John Calipari, che tra un successo e l’altro, ha avuto l’onore di entrare a far parte della Hall Of Fame in qualità di allenatore.

JC e l’università in questione, hanno tirato fuori alcune delle guardie più forti della NBA attuale e se volete qualche nome, basterebbe citare Devin Booker, Jamal Murray, Tyrese Maxey e De’Aaron Fox, anche se l’elenco potrebbe annoverare anche altri ruoli, come ali e centri, in modo da fare spazio a gente comek Anthony Davis, Julius Randle, Bam Adebayo e Karl-Anthony Towns.

Per il caso che stiamo trattando, vi siano sufficienti le parole dello stesso Calipari, che apostrofò Shai come una perla rara, il cui unico bisogno era, all’epoca del College, quello di affinare fondamentali che gli riuscivano naturali e che non conosceva punti deboli; una sorta di onda continua che non poteva che sfociare con l’ingresso tra i grandi della pallacanestro professionistica.

Il problema principale, all’epoca, come adesso, era quello di capire come utilizzare un accentratore del gioco che avrebbe dovuto permettere un salto di qualità alla squadra, cosa che è ancor più vitale in un periodo di maturazione come quello universitario, rispetto a quanto possa servire in NBA.

La devastante forza naturale della guardia venuta dal Canada, e qui siamo al secondo elemento che si porta dietro fin dalla sua giovane età, non ha conosciuto intoppi in nessuna delle tappe della sua maturazione, cosa che continua ad emergere stagione dopo stagione anche in NBA, tanto che qualcuno, a Charlotte, si sta mordendo le mani.

Che tutto abbia inizio

Charlotte che lo scelse alla 11 del 2018, per scambiarlo 5 minuti dopo con Miles Bridges, lui scelto un turno dopo dai Clippers. Errare è umano, ma la diabolica perseveranza fu attuata proprio dai LAC, che spedirono il canadese a Oklahoma nella trade che riguardava la All Stars Paul George.

Non ci si accorse, dunque, dell’esplosività del primo passo di SGA, il segno della perfezione messa al servizio della funzionalità.

A molti il gioco di Shai può sembrare lento, e per certi versi è così, ma è lo stesso errore in cui si cade quando si esaminano le giocate di Luka Doncic, che, a differenza di ciò che si può pensare, non va “lento”, ma fa girare gli altri 9 giocatori sul parquet, alla velocità che vuole lui.

Con cifre meno vistose e componenti che, rispetto allo sloveno, ne fanno un “performer” meno appariscente, SGA ha la stessa funzionalità di quella di Doncic, anzi, se vogliamo dare retta a quello che OKC sta dimostrando nella stagione 2023/24, probabilmente ancor più remunerativa, in relazione agli obiettivi dell’allenatore.

Questo tipo di errata visualizzazione di giocatori come questi, va letta, usando ancora il pensiero di Calipari, come un’esaltazione della mente del campione, che sa prima di tutti gli altri quali potranno essere i punti deboli dei difensori ( o degli attaccanti, visto che SGA è uno dei migliori difensori della NBA attuale ).

Il mortifero floater sui gomiti della lunetta, tiro sempre meno utilizzato dai moderni allenatori per via della massiccia presenza di nemici concentrata in quella zona, atta a limitare il tiro da 3 punti delle PG e/o SG avversarie ( quando non si tratta di lunghi alla Jokic ), nasconde l’ennesimo segreto di Mr. Shai, il palleggio dietro la schiena.

Fateci caso: poter sfruttare quel palleggio, dopo la possibilità di usufruire di quel primo passo di cui sopra, significa prendersi un vantaggio sul raddoppio che arriva in quella zona che parte dalla linea del tiro libero fino al vertice massimo dello smile, per evitare la penetrazione al ferro. Il palleggio dietro la schiena consente un’ulteriore separazione che, battuto l’avversario diretto, ha lo scopo di mettere fuori causa anche l’aiuto e, la semplicità del suo floater ad altissima percentuale, finalizza il tutto. Scrivete due.

La chimica di squadra

Ciò che diventa morbosamente interessante è il dividendo che tale tipo di situazione potrà dare ai playoff, dove i “true colors” della NBA mettono in campo difese ben più attente rispetto a quella della regular season.

Nell’ultima parte della stagione in corso, Shai ha sofferto, e non poco, del problema al quadricipite sul quale ha giocato tutto l’anno, e fin dal primo turno della post season, vedremo fino a quale punto esso inciderà sugli avversari.

A parte il guaio fisico, è l’intera organizzazione offensiva dello staff tecnico dei Thunder e di quella mente che tutto il mondo NBA riconosce come geniale in coach Mark Daigneault, a dipingere uno scenario del quale tutti noi appassionati di basket, vogliamo capire le sfumature, anche alla luce della prospettiva di una squadra che nelle prossime stagioni avrà spazio salariale, scelte importanti e, soprattutto, freschezza.

SGA non è quel giocatore che mette a referto triple doppie in serie, è consapevole del suo ruolo e, a modo suo, cerca di metterlo a disposizione dei compagni da entrambe le parti del campo, merce sempre più rara nella NBA moderna.

Un campione, nella sua semplicità, atteso alla prova del nove di una post season che si preannuncia esaltante.