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L’ex stella dei Los Angeles Lakers, Kobe Bryant, rimane una leggenda, un simbolo che va aldilà dello sport grazie alla sua voglia di migliorarsi giorno dopo giorno per avvicinarsi alla perfezione. La sua determinazione, la sua perseveranza lo hanno reso uno dei più grandi di sempre.

Sfortunatamente scomparso all’età di 41 anni nell’incidente di domenica 26 gennaio 2020, è mancata insieme a lui anche la figlia Gianna, promessa del basket femminile appena tredicenne. La passione di Kobe per la pallacanestro era dunque di famiglia: anche il padre, Joe Bryant, è un ex cestista e allenatore.

Joe Bryant: il popolare Jellybean visato anche in Italia

Joseph Washington Bryant, soprannominato “Jellybean”, nacque a Filadelfia il 19 ottobre 1954.

Dopo l’università alla La Salle University, Joe Bryant giocò otto stagioni in NBA. La sua carriera iniziò nel 1975 con i Philadelphia 76ers, dove vi giocò per quattro stagioni, poi nel 1979 venne ceduto ai San Diego Clippers con cui rimase fino al 1982. Nella sua ultima stagione NBA militò nelle file degli Houston Rockets.

Lasciata la NBA, dal 1984 al 1991 Joe Bryant giocò nel campionato italiano. Giunse nel 1984 in Italia alla AMG Sebastiani Rieti in Serie A2, e fu la prima di cinque stagioni giocate in Serie A2. Infatti, dopo il biennio trascorso a Rieti, giocò un anno nella Viola Reggio Calabria (con cui segnò 69 punti in una gara del 1987) e due anni alla Maltinti Pistoia.

Venne poi ingaggiato dalla Pallacanestro Reggiana, con cui disputò due campionati di Serie A1. Nel 1985 vinse due volte il premio come miglior giocatore dell’All Star Game italiano: solo lui e Micheal Ray Richardson hanno vinto più di una volta il titolo di MVP.

La sua carriera sportiva continua sotto le vesti da allenatore non trovando la stessa fortuna avuta da giocatore.

Kobe Bryant: l’ossessione per la vittoria

Grazie a suo padre, tutti hanno potuto ammirare le gesta della leggenda NBA, che ha ereditato proprio da lui la passione per il basket e anche per l’Italia, per via della sua carriera.

Kobe Bean Bryant, soprannominato Black Mamba, nacque a Filadelfia il 23 agosto 1978, è considerato tra i migliori giocatori nella storia dell’NBA.

Bryant è cresciuto cestisticamente in Italia, dove ha imparato i fondamentali europei. Tornato in America, frequenta la high school e diventa famoso conquistando, con la Lower Merion High School (istituto di un sobborgo di Filadelfia), il titolo nazionale e battendo il record di punti di Wilt Chamberlain nel quadriennio del liceo.

Ha disputato tutta la sua carriera professionistica nei Los Angeles Lakers, conquistando 5 titoli, è quarto tra i migliori marcatori nella storia dell’NBA con 33643 punti, ed è quarto anche per quanto riguarda i punti realizzati nei playoffs con 5640.

Ha giocato solitamente come guardia tiratrice, ma all’occorrenza ha ricoperto i ruoli di playmaker e ala piccola. Dal 1999 al 2013 è stato sempre incluso in almeno uno dei tre quintetti dell’All-NBA Team, mentre dal 1998 fino al ritiro ha sempre partecipato all’NBA All-Star Game. Si era distinto anche per la grande personalità, carisma e mentalità vincente con cui giocava le partite.

Ho deciso di non andare al college e di portare i miei talenti direttamente in NBA”. La frase pronunciata nella primavera del 1996 è una di quelle che hanno poi segnato la carriera di Bryant, già molto sicuro di sé anche appena maggiorenne.

Venne scelto dagli Charlotte Hornets al primo giro come numero 13 assoluto, ma subito dopo, quest’ultimi cedettero ai Los Angeles Lakers i diritti su Bryant in cambio del ventottenne Vlade Divac.

I Lakers, prima di orchestrare lo scambio, organizzarono un provino per testare le qualità del giovane Bryant (che tra l’altro sperava di essere scelto proprio dai Lakers) e ne furono conquistati. Lo scambio fu architettato da Jerry West che convinse Divac ad andare a Charlotte nonostante lui non volesse venire scambiato per un giocatore che veniva dal college, minacciando addirittura di ritirarsi. Da qui prese il via la strepitosa carriera di Kobe Bryant. Una carriera storica.

Ha avuto una media di 25 punti a partita, da aggiungere a uno score di 4,7 assist, 5,2 rimbalzi e un totale di oltre 1900 palle rubate. È stato anche un abile tiratore da tre punti: nel 2003 ha stabilito il record NBA di triple realizzate in una sola partita, detenendolo fino al 2016. Si è ispirato molto a Michael Jordan sia nello stile di gioco che nella mentalità, tanto che lo stesso Jordan si è complimentato con lui per la sua carriera, oltre a sostenere di «avere rivisto in Bryant molto di sé stesso».                      

Per via della sua mentalità e professionalità è stato d’ispirazione per molti cestisti, giocatori come Kevin Durant, Dwyane Wade e Derrick Rose hanno definito Bryant come il Michael Jordan della loro generazione. La mentalità di Black Mamba è stata d’ispirazione anche per tanti altri sportivi, tra cui Roger Federer, Neymar e Serena Williams.

Partecipa per due volte alle Olimpiadi conquistando entrambe le volte l’oro, a Pechino nel 2008 e a Londra nel 2012. Il 29 novembre del 2015 Bryant annuncia la propria decisione di ritirarsi, con una lettera dedicata al basket inviata a “The Player’s Tribune”. Gioca il suo ultimo match il 13 aprile 2016, siglando sessanta punti contro gli Utah Jazz.

Kobe Bryant muore tragicamente in un incidente d’elicottero il 26 gennaio 2020, a Calabasas in California.

Gianna Maria Bryant

Nello stesso tragico incidente in cui ha perso la vita Kobe, è morta anche sua figlia, la piccola Gianna Maria.

Aveva solo 13 anni, ma le idee più che chiare: da grande voleva giocare a basket a livello agonistico, portando avanti la tradizione di famiglia, tanto da essersi conquistata il soprannome di “Mambacita“, derivante da quello del padre, “Black Mamba”.

Il suo sogno si sarebbe senza dubbio realizzato, non solo perché il cognome di Gianna era Bryant. Lei, come papà Kobe, era bravissima “nell’uno contro uno”. In campo la somiglianza con il cestista del NBA era evidente: avevano le stesse smorfie, le stesse movenze e la stessa abitudine di asciugarsi la mano destra sulla maglia dopo aver tirato un canestro.

Nonostante i rapporti tra Kobe e suo padre Joe negli anni siano peggiorati per via di motivazioni economiche, Black Mamba deve tanto a suo padre che gli ha mostrato la strada che poi l’avrebbe portato sul tetto del mondo.

Gli ha trasmesso quella determinazione di raggiungere l’obiettivo e di non mollare, tipica di atleti professionisti. Quella stessa perseveranza che Kobe aveva e stava trasmettendo alla piccola Gianna per raggiungere il suo sogno.