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Anche considerando l’elite del basket mondiale di tutti i tempi, è davvero difficile trovare qualcuno al pari di Oscar Schmidt, almeno per quanto riguarda la capacità di tiro.

Non a caso il suo soprannome era “Mano Santa“, proprio per quella sua incredibile precisione che lo ha reso uno dei marcatori più prolifici della storia e di certo uno dei più devastanti visti nel campionato italiano.

La sua carriera in Italia

Oscar arriva in Italia nel 1982, dopo aver già fatto vedere le sue doti nel campionato brasiliano tanto da finire nel taccuino di Coach Tanjevic, che lo volle assolutamente nella sua Juve Caserta dove ottenne subito la promozione nella massima serie.

Da quel momento cambiò per sempre il paradigma della squadra campana, che grazie alle sue medie canestro pazzesche riuscì per ben due volte ad arrivare a giocarsi la finale scudetto (persa in entrambe le occasioni contro Milano) e persino a vincere una Coppa Italia.

A inizio anni novanta cambia casacca finendo alla Pallacanestro Pavia, ma i suoi numeri non accennano a diminuire e prima di lasciare il campionato italiano nel 1993, è in assoluto il giocatore ad aver segnato più punti di tutti nella storia.

Gli incredibili numeri di Oscar Schmidt

Quello che il giocatore brasiliano è riuscito a fare nel nostro campionato è qualcosa di incredibile. Non che siano mancati i bravi tiratori anche dalle nostre parti, ma nessuno come lui è riuscito a mantenere un livello così alto di precisione e costanza per tutta la sua carriera. Ne vengono fuori numeri da record in praticamente ogni circostanza legata all’individualità dei punti.

Solo Antonello Riva ha segnato più punti in assoluto nel campionato italiano (14.397 contro 13.957), anche se quasi con il doppio delle gare giocate (785 per l’italiano, appena 403 per il brasiliano). Ed è ovviamente il primo straniero della classifica.

Lo si vede nella media punti a partita del resto, con Oscar che vola a 34.63 arrivando dove nessuno è mai giunto nè prima nè dopo di lui.

Non bastasse, è anche il giocatore che più volte ha messo a referto 50 o più punti in una singola partita, ovvero ben 28 su 403 gare (il 7%, davanti a Dalipagic con il 6.2% e Bryant con il 5.7%).

Per ben sette volte è stato il miglior marcatore in Serie A1 (1983-84, 1984-85, 1985-86, 1986-87, 1988-89, 1989-90, 1991-92) e questo senza essere mai stato in una squadra campione d’Italia. Nessuno è riuscito a fare meglio, con il solo Bob Morse arrivato a sei (ma giocando in una Varese, quattro volte scudettata).

Le caratteristiche tecniche

Che Oscar Schmidt sia stato uno specialista del tiro è fuori di dubbio. Ma è altrettanto evidente come le sue fossero caratteristiche piuttosto atipiche (soprattutto in cui tempi) per uno che appunto doveva essere specializzato solo in un fondamentale.

Intanto la sua statura (circa 2.05 metri) gli permetteva di essere abile anche sotto canestro, potendo poi contare su una tecnica di tiro perfetta da praticamente ogni posizione. Agevolato anche dall’introduzione del tiro da tre che dal 1984 arrivò anche in Italia consentendo al brasiliano di avere ancora più margine di vantaggio, essendo già per natura un cecchino dalla distanza.

A differenza di altri specialisti però, Oscar non era un giocatore di basso minutaggio. Era il centro del gioco, finalizzatore assoluto per tutta la partita, dall’inizio alla fine, grazie alla sua costanza e a percentuali quasi sempre ben oltre le medie di chiunque.

Un talento curato e allenato proprio per perfezionare quella sua capacità unica, che rendeva meno appariscenti le sue lacune difensive e tattiche. Perchè di fatto, se proprio vogliamo trovare qualche lato negativo, è che quando hai uno come lui in squadra sei costretto ad utilizzare un unico modulo di gioco: dare la palla a Oscar e farlo tirare sempre.

Non è un caso infatti, che non si sia mai cimentato in uno dei top team italiani (o mondiali), solitamente più esigenti in quanto a gioco di squadra collettivo e soprattutto a una fase difensiva che, molto spesso, era proprio la differenza tra vincere o perdere un campionato.

Un palmares che piange

E allora eccoci a parlare di uno dei più forti tiratori di tutti i tempi (tanto da finire nella Hall of Fame del basket mondiale), con probabilmente il palmares più povero di sempre tra i top player.

La sua migliore fase della carriera l’ha vissuta tra Caserta e Pavia nel campionato italiano, dove era unico e indiscusso protagonista, ma con ambizioni decisamente contenute rispetto ai palcoscenici mondiali.

Quegli stessi che si sono offerti nel 1984, scelto nel draft NBA dai New Jersey Nets. Un’occasione unica per gli stranieri in quel periodo, che però il brasiliano ha declinato, ufficialmente per la necessità di dover abbandonare la maglia della nazionale in quel caso (obbligato per le regole vigenti).

Non ufficialmente anche per motivi più pratici: il contratto era un terzo di quello che prendeva in Italia, e negli States sarebbe stato costretto a un minutaggio decisamente inferiore (se non proprio alla panchina) snaturando la sua indole di protagonista assoluto in campo. Cosa che poteva invece fare, idolatrato, dalle nostre parti.

Non potremo mai sapere quindi se il raffronto sul campo con i mostri sacri dell’epoca (da Jordan a Bird) sarebbe stato impari, ma di certo sappiamo quanto sia difficile trovare un giocatore capace di un carriera così incredibilmente longeva (ha continuato a segnare valanghe di canestri nel campionato brasiliano fino al 2003, a quarant’anni suonai) e costante.