Vai al contenuto

Chiamatelo, se volete, un vero e proprio miracolo. Di chi ha sfidato i pronostici, e pure i pregiudizi. Anno 1990: Caserta, abituata a una vita di lotte diverse e ben più importanti, si era lasciata attirare da un vento diverso. La Juve, squadra di basket, aveva appena perso la semifinale dei playoff. Pesaro si era dimostrata superiore, in lungo, largo e nel rendimento. Avrebbero poi vinto lo scudetto, e questo aumentò il rimpianto dei campani.

A un passo dal sogno si era bloccata un’intera città. Ed era già accaduto nel 1986 e nell’anno successivo: entrambe le finalissime perse a Milano, con lo stomaco che bruciava e brontolava un po’ di fortuna. Di quella giusta. A placare un’ossessione.

La costruzione della Caserta dei miracoli

Oscar guidava una squadra di livello assoluto. E con lui c’erano ragazzi giovani, forti, soprattutto casertani. A partire da Nando Gentile, da Vincenzo Esposito (entrambi negli Stati Uniti pochi anni dopo lo scudetto). Quindi il centro più forte del campionato, quel Glouchkov che tra rimbalzi e appoggi al tabellone era un riflesso di dominazione. Un gruppo solido, ambizioso. Che però necessitava di una guida altrettanto coraggiosa. Ecco perché Giancarlo Sarti, allora general manager dei bianconeri, convocò subito il cavalier Maggiò per non lasciarsi scappare un’occasione più unica che rara. Era ghiotta, la chance di portare all’ombra della Reggia un maestro come Franco Marcelletti. Siamo nel 1986, l’alba di un ciclo indimenticabile.

Scomparso il presidentissimo Maggiò, gli succede il figlio che vuole continuare l’opera, salendo di un gradino: la Coppa Italia del 88′ è un assaggio, la spettacolare finale di Coppa Coppe del 89′ la partita della vita in cui ci si trova però dal lato sbagliato della storia.

Contro i ragazzi di Marcelletti nella finale europea il grande Real Madrid per una gara che finisce ai supplementari. Oscar Schimdt ne mette 44 in quella finale, ma dall’altro lato del campo c’è Drazen Petrovic, che domina i parquet di mezza Europa prima dello sbarco in NBA. Il Mozart croato mette a referto 63 punti. Troppo forte anche per Oscar e suoi compagni.

C’è però voglia della grande impresa, sempre sfiorata con due finali scudetto perse. Si decide di mettere più fisico e più NBA nella squadra. Ma bisogna fare dei sacrifici, e come recita l’adagio popolare “chi non risica non rosica

Ecco allora che Maggiò junior con tutto il suo staff decidono per la strada più impervia. Si presero un bel rischio. Oscar tagliato, così come Glouchkov all’alba della stagione 90/91. L’azzardo pagò, e premiò con due americani che avrebbero rivoluzionato il roster prima e la lega poi.

“Ma chi mi hai preso, un bandito?”. A Caserta risuonano ancora queste parole. Il cavaliere Maggiò si riferiva a quel casinista di Kinston, 209 centimetri, due stagioni di fila in New Jersey tentando di farsi un nome in NBA. Il talento c’era, la testa meno. A proposito di azzardo, nessuno meglio di Schakleford poteva rappresentare il prototipo. La cresta, gli orecchini, pantaloni larghi, canotta sotto la camicia aperta: per Caserta, agli inizi degli anni Novanta, qualcosa d’innovativo e per certi versi devastante.

Con lui, prese le redini della squadra anche Tellis Joseph. Veniva da Gary, si presentò al pubblico come l’ala che ti risolve i problemi. Miami, nella sua ultima stagione in NBA: le mamme gli volevano un po’ più bene, lui raccoglieva il consenso con un atteggiamento schivo, incredibilmente pacato. In campo, si trasformava.

Un crescendo casertano

D’Antoni in panchina; Vincent, Alberti, Pittis, Riva. Questa era la portata di Milano che Caserta doveva, sognava, immaginava di poter battere. E si parte da Treviso, e si parte male. Un po’ di terreno scivoloso in cui Caserta non fa nulla per rialzarsi con prontezza, quindi la naturale svolta: quattro vittorie di fila in campionato, ancora Trieste a far sgambetti. Al termine del girone di andata, Marcelletti è sopra tutti con Treviso. Le previsioni sono buone, ma sembra un percorso di chi è forte, non esattamente solido.

E poi Treviso. Ancora Treviso, anche al palazzetto campano. Sembra la fine di tutto, invece è l’inizio di un moto d’orgoglio che romba con tutti i cavalli a disposizione. A Reggio Emilia, l’emblema della stagione: Schakleford dimentica la scarpa destra a casa, ne aveva due mancine. Nessun negozio aperto nelle vicinanze, l’americano è furioso e urla contro tutti. I compagni ridono e suggeriscono: “Gioca con le scarpe normali”. Già: quelle da passeggio, senza un minimo di spinta. Ventitré punti, diciannove(!) rimbalzi. Schak fenomenale e decisivo. E quanti bambini gli replicano quel taglio, ora…

Inizio playoff: 21 aprile. La Scavolini, ancora. Gara 1 è bianconera, gara 2 è dei pesaresi. In casa, Gentile ne mette 31 al minuto 40: si va nuovamente in semifinale, dove ad attenderli c’è Bologna. E soprattutto si riparte: gara 1, che fatica. Partita che si decide punto su punto, Schakleford fa 24 punti e addirittura conquista 25 rimbalzi. In Emilia, impresa a un passo: 2 punti separano però i padroni di casa, che portano la serie di nuovo al Palazzetto casertano. Tutto pieno, posti in piedi inclusi. 91-76: eccola, la finale. Con Milano ad aspettare dopo aver chiuso la pratica Roma in sole due partite.

La finale contro la favorita Milano

Si torna in finale, di nuovo contro milano, che sembra voler fare un solo boccone dei bianconeri. Anche dalle sponsorizzazioni si nota la differenza tra le due realtà. Phonola Caserta contro Philips Milano: anche nell’elettronica si consuma la sfida tra Davide e Golia.

McQueen è una saetta, Milano è inarrestabile. La gara 1 finisce senza storie. Gara 2 ha praticamente lo stesso destino.

Sotto per 0-2 al Palamaggiò, la terza gara è quella dell’orgoglio: Caserta vince, e acquista un po’ di fiducia, tifo compreso. La quarta è fondamentale, decisiva, e la città risponde con una passione unica: ci sono tifosi dappertutto, pure stipati sui tubi dell’aria. Dell’Agnello trascina chiunque sia nelle vicinanze: 29 punti, triple sontuose nel finale. La Juve è aggrappata al suo talento, ed è proprio quel talento a pareggiare la serie.

Ventuno maggio 1991. Si va a Milano. Con una città sulle spalle, e buona parte al seguito. Sarà un dramma, qualsiasi modo vogliate vederlo: all’intervallo, i bianconeri sono avanti di 4 punti. Esposito, finora incredibilmente incisivo, cade male dopo un contatto di gioco. E’ il ginocchio, e nonostante le lacrime e la voglia di lottare, il casertano è costretto a lasciare il parquet.

Non rientrerà, ma darà la spinta decisiva per la presa di responsabilità che cambia le carte in tavola: fino a quel momento in ombra, Nando Gentile prende la squadra e la trascina in maniera surreale, con colpi da biliardo e senza senso. Frank è meraviglioso in difesa, Dell’Agnello e Schakleford bravi a tenere sulla giusta riga la partita. Ultimi secondi: 88-97, in Campania è già scattata una festa che durerà anni.

La rivoluzione di Marcelletti è completata. Quella città vive un sussulto d’orgoglio che ne cambierà per sempre la percezione. E che si farà unire, finalmente, sotto il bianco, il nero e il tricolore.