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Ci sono imprese nella storia dello sport che sono più “Imprese” di altre, hanno la lettera iniziale scritta con un carattere maiuscolo e vengono ricordate per il posto che meritano nell’olimpo delle competizioni internazionali.

Sono passati esattamente 20 anni dall’incredibile cavalcata che un nugolo di giocatori con una maglia azzurra sulla pelle, portarono a termine dopo un paio di settimane di pallacanestro celestiale.

Con l’incognita dell’assenza del giocatore considerato in quel momento il più estroso di tutti, Marco Pozzecco, alcune dinamiche dello spogliatoio da “registrare” e soprattutto le netta sensazione di non avere tante possibilità di vittoria, ma con l’obiettivo dichiarato di ottenere il lasciapassare olimpico riservato alle prime 5, la kermesse francese cominciò per noi con alcune luci e altrettante ombre.

Un gruppo solido, dunque, con qualche velleità, seppur concreta, di arrivare alle semifinali e mettere in difficoltà i giganti del basket europeo, tra cui Spagna, Croazia, Jugoslavia, Lituania, Bosnia, Francia e Russia.

La partenza: polemiche e premesse non incoraggianti

A quella manifestazione parteciparono 16 squadre, il gotha del basket europeo.

Il gruppo azzurro fu affidato a Bogdan Tanjevic, geniale allenatore dalle mille e una risorse, che accettò immediatamente l’incarico dopo il brusco addio, che poi si rivelerà un arrivederci, di Ettore Messina fresco vincitore della medaglia d’argento agli europei del 1997 disputatisi a Barcellona.

Il coach montenegrino, che ottenne ben altre 3 nazionalità diverse, quella jugoslava, quella serbo-montenegrina e infine quella italiana, sposò subito la causa, rispondendo presente all’offerta di Gianni Petrucci con uno stipendio inferiore rispetto a quello che prendeva nella sua squadra di club di allora, il Limoges.

Il sentimento di riconoscenza verso il nostro Paese, fu la scintilla che fece partire il tutto. Tanjevic aveva allenato in Italia a Caserta, Trieste e a Milano con alterni risultati e più volte, all’epoca, aveva dichiarato di sentirsi, oltre ad esserlo, italiano.

La vigilia e la prima parte del torneo furono parecchio movimentate, intanto per il rapporto burrascoso tra Pozzecco e Bonora, risolto peraltro dallo stesso Tanjevic nel momento in cui li mise in camera insieme nelle partite del Pre-Europeo e poi dalle decisioni prese nel finale di una partita importantissima da parte di Carlton Myers.

Nel primo caso l’allenatore della nostra nazionale fece un passo decisivo verso la clamorosa esclusione di Gianmarco Pozzecco, attore principale dello scudetto appena conquistato con Varese e idolo delle folle italiche.

L’esclusione del “Poz” fu soprattutto di carattere tecnico, visto che Tanjevic preferiva almeno altri due giocatori nel suo ruolo, ma fu lo stesso Pozzecco, a suo dire poco considerato dal coach, a mettere il problema sul tavolo e sollevare una questione di gerarchie all’interno della squadra.

Nel dettaglio Pozzecco avrebbe preferito ritagliarsi uno spazio da protagonista a quegli europei, spazio che Tanjevic non avrebbe potuto, né voluto, assicurargli.

La prima sconfitta: una lezione per il futuro

La nostra nazionale venne inserita nel gruppo C, insieme a Turchia, Croazia e Bosnia Erzegovina, non esattamente il girone più facile.

Alla seconda fase a gironi avrebbero partecipato le prime tre squadre di ogni girone, le quali si sarebbero portate dietro i loro punti conquistati nelle prime tre partite.

L’esordio con i croati per noi fu durissimo e negativo e viene ricordato ancora oggi soprattutto per le decisioni reiterate e sbagliate di Carlton Myers, che si intestardì a volerla vincere da solo negli ultimi due minuti di partita.

In realtà non andò esattamente così. In pochi si ricordano che alla fine del primo tempo chiudemmo in vantaggio di 19 punti, 29-48, e fu la prestazione di squadra del secondo tempo che, semmai, apparecchiò per il, comunque negativo, finale di Myers.

Quella sconfitta servì a tutti, servì per mantenere il controllo delle partite successive in caso di vantaggio, minimo o cospicuo sarebbe stato indifferente, servì a Tanjevic per cambiare qualcosa a livello tattico e servì soprattutto a Myers che imparò in fretta e furia a non fare più l’errore di prendersi la squadra sulle spalle da solo soprattutto nei momenti topici dei match.

Gli azzurri chiusero il girone con le due vittorie successive, contro Bosnia prima e Turchia dopo, portandosi dietro al girone finale 5 punti.

Il secondo girone: nasce una nuova Italia, nonostante Sabonis

Il girone che precedeva le partite a eliminazione diretta, giocato a Le Mans, faceva meno paura del precedente: oltre a noi e alle altre due qualificate del nostro gruppo iniziale, Turchia e Croazia, dovevamo passare gli esami di lituano, l’unico davvero difficile, di tedesco e di ceco.

Surclassammo abbastanza sorprendentemente la Germania, asfaltandola 74-53, allargando a dismisura il vantaggio di 12 punti già accumulato nel primo tempo e concedemmo il bis contro la Repubblica Ceca, sconfitta 95-68.

L’Italia sembrava inattaccabile, l’attacco era frizzante, la difesa asfissiante, il gruppo sembrava totalmente cementato, c’erano leader in campo, ma il gioco era corale, pochi schemi, ma tanto, come si chiamava allora, passing game e decisioni veloci.

Ma quando ti esalti troppo per le vittorie, la clava è sempre dietro l’angolo per ricordarti che devi stare concentrato dal primo all’ultimo minuto della competizione che stai giocando.

E la clava, nell’ultima partita dei gironi, si presentò sotto le, nemmeno tanto mentite spoglie di Arvydas Romas Andreevic Sabonis, il gigante lituano che ci castigò segnando 25 punti e mettendo a referto 13 rimbalzi che permisero alla Lituania di batterci 74-62 relegandoci al secondo posto che ci avrebbe portato a Parigi per giocare i quarti contro la Russia.

Davide batte Golia: la semifinale contro la Jugoslavia

La vigilia di quella partita era carica di aspettative per noi, il traguardo delle Olimpiadi di Sidney era distante una sola partita che , se vinta, ci avrebbe anche, e col senno di poi soprattutto, proiettato alle semifinali.

Fu un vero trionfo. Battemmo la Russia 102-79 e l’Italia tutta aveva appena cominciato ad amare questi ragazzi che avevano appena ottenuto un biglietto aereo per l’Australia.

Ma una manifestazione di questo tipo non ti lascia un attimo di respiro, nemmeno per gioire di un lasciapassare per i giochi olimpici.

Il giorno dopo ci aspettava la squadra che fino all’anno prima aveva vinto tutto, mondiali compresi e che, soprattutto, aveva vinto due anni prima l’oro europeo proprio contro di noi in finale.

Una partita vissuta da tutti come una specie di rivincita speciale che un monumentale Gregor Fucka risolse a nostro favore dopo una prestazione indimenticabile durante la quale scappammo sul +18 ma fummo rimontati a inizio ripresa, per poi rivincerla una seconda volta nel finale.

La portammo a casa col punteggio di 71-62 contro gente come Danilovic, Loncar, Bodiroga, Divac e Scepanovic e volammo in finale per affrontare la Spagna di Herreros, Corrales Gordo e Marin.

L’apoteosi finale: Italbasket sul tetto d’Europa

Sarebbe stata probabilmente la finale più giusta, quell’Italia-Jugoslavia, tanto che la nostra ultima partita, quella con la Spagna, viene ricordata dagli stessi giocatori come una sorta di ostacolo meno ostico rispetto a quello rappresentato dalla Jugoslavia in semifinale.

E così successe.

Mettemmo sotto la Spagna dall’inizio alla fine e solo una tardiva zona iberica permise alla squadra di Lolo Sainz di evitare un’imbarcata storica.

Vincemmo 64-56 e fu trionfo, per i giocatori, per lo staff tecnico e per tutta l’Italia che fece registrare ascolti televisivi clamorosi per tutto il torneo.

Vogliamo chiudere questo pezzo senza frasi altisonanti, seppur il ricordo di chi ha qualche anno in più e qualche capello in meno, è ancora oggi emozionante.

E terminiamo così, con gli eroi di Parigi, in rigoroso ordine di maglia, dal 4 al 15: Bonora, Basile, Galanda, Fucka, Marconato, De Pol, Myers, Meneghin, Abbio, Mian, Chiacig, Damiao.

Allenatore Bogdan Tanjevic.