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La mitica NBA è un traguardo epocale per tutti i professionisti del basket, qualcosa di inarrivabile per molti, un sogno per pochi.

Tra gli italiani i giocatori che possono vantare esperienze oltre oceano si contano sulle dita di due mani, a dimostrazione di quanto sia d’elite potersi scontrare nel campionato più bello del mondo.

Certo non tutti sono poi riusciti a essere altrettanto protagonisti, ma restano punte di eccellenza italiana che sono per fortuna diventante via via sempre più frequenti nel corso degli anni.

Vediamo insieme allora tutti gli azzurri che sono scesi almeno una volta sul parquet più ambito al mondo.

La prima era: Meneghin e Binelli

Con l’Italia fresca medaglia d’argento ai giochi olimpici del 1980 (vinta dalla Jugoslavia, ma senza la partecipazione degli americani che boicottarono quell’edizione dei giochi disputata in Russia), per la prima volta in assoluto anche la NBA comincia a guardare con occhi diversi il basket europeo e italiano, fino a quel momento quasi completamente ignorato dai draft NBA.

Certo c’era qualche italo americano che stava già da tempo facendo bene, tra tutti un Mike D’Antoni che poi scriverà pagine di storia proprio nel campionato italiano (da giocatore e da allenatore, persino della nostra nazionale), ma il primo in assoluto a tentare di scendere in campo fu probabilmente Dino Meneghin.

Bandiera azzurra e leader della squadra di Milano, furono gli Atlanta Hawks a inserirlo per la prima volta nel draft, senza però sceglierlo alla fine.

Destino simile toccò anche ad Augusto Binelli, ma bisognerà aspettare ancora una decade per vedere finalmente il primo italiano accasarsi in una franchigia americana.

La prima volta: Esposito e Rusconi

Negli anni novanta il basket in Italia ebbe una vera e propria esplosione di popolarità, grazie soprattutto alla rivalità tra Milano e la Virtus, e quella ancora più accesa tra le due squadre di Bologna (tanto da coniare il termine di “Basket City“) con la Fortitudo che infilerà ben dieci finali scudetto su undici (vincendone però solo due). Poi Treviso ma anche Varese, insomma il basket italiano stava prendendo quota attirando anche le attenzioni di alcuni occhi oltre oceano.

Scout americani che si sono concentrati soprattutto su due nomi del basket nostrano: Vincenzo Esposito (in quegli anni in forza alla Fortitudo) e Stefano Rusconi (accasato invece a Treviso). Ed è così che il destino comune dei due li vide entrambi fare da apripista nella mitica NBA alla stagione 1995/96.

Per Esposito furono i Toronto Raptors ad aggiudicarsi il cartellino, godendo in quell’anno di un draft d’espansione senza scelte per una franchigia appena entrata nel campionato NBA. Una stagione che lo vedrà scendere in campo per 30 presenze totali, ma soprattutto segnare il primo punto in assoluto per un italiano in NBA (era il 15 novembre del 1995). Saranno solo 116 però i suoi punti totali a fine stagione, l’unica peraltro, visto che già l’anno successivo non venne confermato e fece ritorno ingaggiato da Pesaro.

Destino forse anche meno brillante per Stefano Rusconi, che non ebbe vita facile a giocare da pivot in mezzo ai colossi americani (più alti e soprattutto molto più muscolari). Con la maglia dei Phonenix Suns però, ebbe almeno l’occasione di essere il primo italiano a esordire sui campi della NBA (tre giorni prima dello stesso Esposito).

Record da libri di storia, che riportano però anche le sole 7 presenze in campionato (otto punti appena) e un mesto ritorno in patria sempre con la maglia di Treviso.

L’Italia del duemila: le prime gioie in NBA con Bargnani

Bisognerà aspettare il nuovo millenio per vedere finalmente qualche giocatore italiano accasarsi in maniera confortevole sui campi americani. A inizio duemila spunta infatti una nuova generazione di fenomeni azzurri, capaci peraltro di piazzare la seconda medaglia d’argento alle Olimpiadi nel 2004 (sconfitta dalla stellare Argentina di Manu Ginobili, anche lui poi protagonista assoluto in NBA).

Il primo a sbarcare di nuovo in America fu Andrea Bargnani, svezzato a Treviso e pronto a spiccare il volo nei Toronto Raptors, sempre molto attenti al mercato “italiano” tanto da chiamare il giovane romano come prima scelta assoluta nel draft (primo italiano ovviamente a essere chiamato già al primo giro di scelte). Una fiducia che ripagherà nei sette anni passati a Toronto, tra alti e bassi, fino a diventare il capitano del team e segnare il suo massimo storico di punti in una partita (41 al Madison Square Garden).

La sua esperienza in NBA lo vedrà poi indossare le casacche anche dei N.Y.Knicks e dei Brooklyn Nets poi, segnando comunque quasi 8.000 punti totali nel campionato americano.

L’unico anello: Marco Belinelli

Le squadre americane ora vedono di buon occhio alcuni azzurri, e l’anno successivo all’arrivo di Bargnani è Marco Belinelli a lasciare la maglia della Fortitudo per finire nelle scelte dei Golden State Warrios (18ª scelta del primo giro).

L’inizio dell’esperienza americana per il Beli non è dei migliori, trovando difficilmente il campo nonostante alcune buone prestazioni. Ci vogliono alcuni infortuni dei suoi compagni per dargli un minimo di costanza che utilizza per mettersi in mostra al meglio e trovare finalmente posto nel quintetto titolare, fino a realizzare il suo top score di 27 punti in una partita (contro gli Atlanta Hawks) e conquistarsi il soprannome di “Rocky”.

Da quel momento Belinelli affronta sfida differenti, prima con il passaggio a Toronto (dove per la prima volta si vedono due italiani in campo vista la presenza contemporanea di Bargnani) e poi con New Orleans (dove se non altro gioca da titolare) e i Chicago Bulls. Ma è soprattutto con il passaggio ai San Antonio Spurs che la sua carriera subisce un netto miglioramento.

Prima firma il suo record assoluto di punti (32) poi si toglie persino lo sfizio di vincere la gara dei tre punti durante l’All-Star Game. Ma siamo solo all’inizio, perché nel 2014 dopo essere stato il primo italiano a vincere una NBA Conference, si aggiudica anche le Finals mettendosi al dito il primo (e fino ad ora unico) anello italiano per i vincitori NBA.

Siamo all’apice di una carriera che comunque andrà ancora avanti per diversi anni cambiando però casacca ogni stagione: da Sacramento a Charlotte, da Atlanta a Philadelphia.

Prima del ritorno in Italia finendo da dove si era cominciato, con la maglia della Virtus Bologna.

La presenza fissa: Danilo Gallinari

E la presenza italiana in quegli anni si fa sempre più numerosa dopo l’arrivo di Danilo Gallinari, che a partite dal 2008 a oggi ha sempre fatto sentire la sua presenza sui parquet americani.

Scelto per la prima volta dai New York Knicks come sesta scelta assoluta, la sua prima stagione NBA sarà un disastro tra un pubblico che non lo ama particolarmente e un problema alla schiena che non gli da pace. Va meglio nella seconda dove se non altro gioca praticamente da titolare e si mette in mostra soprattutto come tiratore dalla distanza.

Sarà però il suo passaggio ai Denver Nuggets a sancire il suo rilancio, arrivando persino a toccare i 47 punti in una partita (record assoluto per gli italiani) e chiudendo con circa 5.000 punti realizzati nei sei anni di presenza (nonostante uno passato fuori dai campi per un grave infortunio).

Prestazioni però che gli valgono uno dei contratti più remunerativi per uno sportivo italiano, con i Los Angeles Clippers che arrivano a offrirgli 65 milioni di dollari per tre stagioni (per la verità alla fine non troppo esaltanti per lui).

Il passaggio a Oklahoma City e poi agli Atlanta Hakws (altro contratto da oltre 60 milioni per tre anni), lo consolidano come uno dei veterani della NBA, peraltro ancora in piena forma visto che proprio in questa ultima stagione ha piazzato il suo record di triple in una partita (10 su 12).

La breve parentesi di Luigi Datome

Se un Gallinari sembra ormai accasato in NBA, per Luigi Datome invece l’esperienza non è forse stata delle migliori. Nel 2013 approda a Detroit dove complice un infortunio finisce ai margini delle scelte finendo in “D-League” per il resto della stagione.

E non va meglio in quella successiva dove con il passaggio ai Boston Celtic trova ancora meno spazio. Farà la sua prima esperienza nel post-season, ma chiudendo con appena 18 brevi presenze in campo e 94 punti totali, chiudendo così la sua esperienza oltreoceano.

Il passaggio in Turchia al Fenerbache gli ridarà un po’ di gioie, fino al ritorno a Milano la stagione scorsa.

Il futuro italiano in NBA: da Melli a Mannion

Gli ultimi anni come sappiamo non sono stati facili per via della pandemia che ha colpito tutti gli sport, ma forse il basket in particolare visto che si disputa al chiuso ed è sicuramente di contatto.

C’è stato comunque spazio per alcuni esordi importanti in NBA per giocatori italiani, a cominciare da quel Nicolò Melli che per la verità aveva già iniziato a fare la valigia anni prima in giro per l’Europa, passando prima per il campionato tedesco (protagonista con il Brose Bamberg) e poi in Turchia con il Fenerbache. In evidenza in entrambe le compagini, sono i New Orleans Pelicans a notarne le qualità e portalo in America con un contratto di due anni per 8 milioni di dollari in totale. Scelta che sembra ben riposta visto che durante il suo esordio (contro i Toronto Raptors), segna ben 14 punti, un record alla prima apparizione per un italiano.

Il futuro però non sarà così roseo, visto che dopo una buona prima stagione, il cambio di direzione tecnica lo mette a sedere per quasi tutta l’annata, costringendolo prima al trasferimento verso Dallas, e poi a rivedere i suoi piani e tornare a Milano al termine del contratto.

Totalmente diversa la storia per Niccolò Mannion, che invece in America ci è sempre vissuto, nonostante si nato a Siena proprio mentre il papà Pace giocava in Italia. E in effetti tutta la sua trafila giovanile è quella classica dei college americani, finendo poi nel 2020 tra le scelte dei Golden State Warriors con cui esordirà nel gennaio del 2021 (senza segnare però).

Ma se il suo futuro sarà sicuramente in NBA, il suo presente parla invece italiano, avendo scelto di attendere la stagione in casa della Virtus Bologna, frenato però da un brutto infortunio che l’ha tenuto fuori per tutta la prima parte dell’anno.