Vai al contenuto

Attilio Lombardo è l’uomo dei tre scudetti con tre squadre diverse.

È l’uomo che aveva sconvolto lo stereotipo del calciatore barra modello.

È la simpatia che si fa sgroppata sulla fascia. Forte, fortissimo. Veloce come pochi e imprendibile come pochissimi.

Unici, invece, erano i soprannomi che i compagni e i tifosi gli affibbiavano: è stato innanzitutto Bombetta, ai tempi dell’esordio con la Cremonese. Alla Samp è diventato Popeye, Braccio di Ferro (il suo preferito); al Crystal Palace lo chiavano l’Aquila Calva, the bald eagle. La calvizia, al contrario di parecchi avversari, lo raggiunse presto, molto presto.

Ma chi era Attilio Lombardo? La nostalgia di un calcio che non c’è più. A partire dal ruolo: è stato una meravigliosa ala destra, dotata di sacrificio, corsa a perdifiato.

Finché ne ha avuto, ha corso il doppio degli altri: stakanovista del lavoro e maniaco della tenuta atletica. E così come correva, la progressione è stata parte fondamentale della sua carriera. Da Cremona alla grande Sampdoria, dalla Juventus europea alla Lazio scudettata.

Sempre in crescendo, facendo la differenza.

L’inizio di Bombetta ai tempi di Cremona

Ora: immaginate quel paesino di poco meno tremila anime nell’interno casertano. Santa Maria la Fossa è stato il punto di partenza, minuscolo, di una cavalcata trionfale.

Da bambino, la famiglia cambia ambiente per evidenti necessità lavorative: Lombardo è uno dei tanti bambini emigrato dal Sud al Nord, e il Lodigiano sarà buona parte della sua fortuna. Il motivo? I primi passi li muove proprio con il Pergocrema, in C2. E poco più in là, a Cremona, inizia a capire di poter diventare un professionista. Anzi: di poter innanzitutto competere ad alti livelli, poi magari di strappare più di qualche buona soddisfazione.

Ma siamo a Cremona, ancora ai primi step del viaggio. L’incontro che gli cambia vita e probabilmente storia è quello con Tarcisio Burgnich: è lui a spostarlo ala destra, dandogli il compito di andare oltre il semplice scarico e cross. Voleva che s’infilasse, Burgnich. Che tagliasse in due la difesa avversaria, offrendo nuove soluzioni all’attacco pesante dei grigiorossi.

Nel 1989, dopo quattro stagioni in cadetteria, vince da protagonista lo spareggio promozione con la Reggina: è il suo, il penalty decisivo.

La Sampdoria non ha dubbi: ha quella duttilità, quel carisma, quella gran voglia di arrivare che può solo portare benefici. Quattro miliardi di lire e Vujadin Boskov scarta un regalo graditissimo. Al primo anno, Lombardo vincerà la Coppa delle Coppe; al secondo, direttamente lo scudetto, a cui seguiranno Supercoppa e Coppa Italia nel 1994.

La più grossa gioia e la più incredibile delusione arrivarono nella stessa serata: è la finale di Coppa dei Campioni, a Wembley, contro il Barcellona. Fu uno dei migliori in campo e rubò il cuore pure ai blaugrana. Ecco, qui ci arriveremo più in là.

Juve, Lazio, Nazionale e Inghilterra

Sei anni di sorrisi e di coppe. Soprattutto, di ricompense dopo tanto lavoro. Attilio è sempre stato corsa e sacrificio: per mantenersi a determinati livelli ha faticato, sudato, chiuso se stesso in un’imperforabile bolla di costanza. Una volta disse: “Vorrei avere l’inventiva di Baggio, i piedi di Mancini e la potenza di Vialli”. La corsa no, non l’avrebbe presa da nessun altro: lì sapeva di essere il migliore. “Il pendolino che esce dalla galleria”, lo chiamava Boskov. Che nell’estate del 1995 lo vide allontanarsi, direzione Torino: 10,5 miliardi di lire e il richiamo della Signora, pronta a vincere tutto, costruita esattamente per farlo.

Ecco: era l’anno giusto. Per i bianconeri, s’intende. Non di certo per Lombardo: frattura a tibia e perone a inizio anno, tanti mesi fuori. Un’apparizione in Supercoppa, qualcosa in Champions League (quella sì, stavolta vinta, seppur non da protagonista). Ma tanta attesa: l’obiettivo è sempre stato quello di essere un calciatore determinante per i bianconeri.

Ci riesce appena un anno dopo, contribuendo a scudetto, Intercontinentale e Supercoppa Uefa. Qualcosa, se non molto, è però cambiato: lo scatto è diverso e i minuti nella Juventus sono sempre meno.

Nel 1997, gli inglesi ricordano quella performance di Wembley e proprio da Londra chiama il Crystal Palace: 5,9 miliardi, la Premier si spalanca e gli offre una finestra sul futuro. Nel marzo del 1998, Lombardo diventa player manager della squadra. Vi rimarrà fino al 29 aprile seguente, quando tutto gli sembrò finito, e invece – ancora una volta – era solo iniziato un nuovo capitolo. Colorato di bianco e celeste, poi del tricolore.

Arrivò alla Lazio nel gennaio del 1999, e vinse l’ultima Coppa delle Coppe della storia e subito lo scudetto, proprio contro la Juventus. Nel gennaio del 2001, l’ultimo saluto alla Samp, in B con Gigi Cagni.

E la Nazionale? Altra grande storia, pure questa. Diciotto presenze con gli azzurri, dal 1990 al 1997. Anni meravigliosi, però conditi dalle più grandi delusioni: non riuscì a partecipare al Mondiale di Stati Uniti 1994, né a quello francese del 1998. La rivincita più grossa, forse, è stata passare dall’altro lato: oggi è assistente tecnico di Roberto Mancini, quindi dell’Italia.

Quella volta con il Barcellona…

A quasi trent’anni dalla vittoria di Wembley, allenatori e tifosi del Barcellona non hanno dimenticato Attilio Lombardo, l’uomo che costrinse Johan Cruyff a cambiare la sua tattica e fece impazzire i difensori blaugrana.

C’è un aneddoto che in Spagna ricorre spesso, o almeno ogni volta che si menziona Lombardo: stanco di perdere contro il Barça di Johan Cruyff (fu sconfitto anche nella finale di Coppa delle Coppe a Berna nel 1989), chiese a ‘Pitu’ Abelardo la sua maglia bianca e blu, in realtà la parte superiore della tuta, e lì fu fotografato con la squadra azulgrana che aveva appena vinto il torneo Centenario Ajax nell’agosto 2000. Proprio in gruppo. Proprio con la Coppa davanti, come si celebra solitamente una vittoria.

Lombardo giocava allora per la Lazio ed era compagno di squadra, tra gli altri, di Ivan de la Pena, che giocò anche con il Barça. Arsenal e Ajax avevano completato il torneo organizzato dal club di Amsterdam per celebrare i suoi 100 anni di storia. Quando uscì quella foto, Attilio spiegò ridendo che “non vedeva l’ora di vincere un trofeo con il Barcellona”, per quel motivo si era fatto fotografare con la squadra spagnola.

Fu accettato e acclamato dai giocatori: il Pitu Abelardo ne ride ancora oggi, specialmente per le voci di un ‘avvicinamento’ che ne seguirono…