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Doveva essere una giornata storica per il tennis e in particolare per Novak Djokovic.

L’occasione di entrare direttamente nel mito al di là dei numeri e dei comunque indubbi meriti sportivi. Perché anche solo affacciarsi sul sogno del Grande Slam è qualcosa che è capitato a pochissimi tennisti nella vita, là dove soltanto due di loro ce l’hanno fatta e in ben altri tempi (Don Budge e Rod Laver).

La delusione del serbo per la finale persa agli US Open è quindi tantissima, ma in gran parte il merito è proprio del suo avversario, un Daniil Medvedev praticamente perfetto che non gli ha lasciato scampo. E solo con la perfezione in effetti, si poteva pensare di battere chi arrivava da 27 vittorie di fila negli Slam, ad un solo piccolo passo dalla storia.

A un passo dal sogno

Novak in qualche modo nella storia ci entra lo stesso, ma in quella delle cocenti delusioni.

In quella lista comunque ristretta di nomi che avevano la possibilità di farcela, ma non ci sono riusciti. L’ultimo prima di lui era stato Lew Hoad nel 1956, quando perse in finale gli US Open contro Ken Rosewall mancando il filotto di vittorie.

E prima ancora l’incredibile storia di Jack Crawford nel 1933, quando in vantaggio di 2 set a 1 fu costretto a subire la rimonta di Fred Perry che vinse 6-0, 6-1 gli ultimi due set, con l’australiano che nel mentre non riusciva quasi a respirare in preda a una crisi d’asma dovuta al gran caldo di New York.

Ma come detto, erano altri tempi (quelli in cui Crawford non disdegnava un bicchiere di whiskey tra un game e l’altro per alleviare la tensione, per dire).

L’impresa sfiorata da Djokovic oggi sarebbe stata ancora più incredibile visto il livello del gioco e degli avversari. Una sconfitta che proprio in virtù dei suoi rivali storici, o per meglio dire della loro assenza, lascia ancora aperta la domanda fatidica che tutti si stanno facendo da tempo: chi è il migliore di tutti i tempi?

I tre “bravi” del tennis

Già, perchè se con una eventuale vittoria agli US Open il buon Nole avrebbe messo la freccia verso il trono del migliore di tutti, mentre ora qualche dubbio rimane, anche in virtù dei numeri.

Djokovic, Federer e Nadal rimangono infatti tutti e tre ancora appaiati in vetta al record di Slam vinti, 20 per tutti, quasi che una sorta di destino non volesse rompere questa triade perfetta.

Certo da quando il serbo è arrivato sulla scena vincendo il suo primo Slam negli Australian Open del 2008, ha letteralmente sbaragliato ogni concorrenza: dei 55 tornei del Grande Slam giocati, ne ha vinti appunto 20, contro i 17 di Nadal e gli 8 di Federer. Complice ovviamente l’età diversa dei tre, ma in ogni caso la dice lunga su quanto Novak abbia spostato la lancetta del “Migliore” dalla sua parte in questi anni.

Di contro con la finale raggiunta agli US Open, Djokovic e Federer sono in perfetta parità anche per quanto riguarda le finali ottenute (31 a testa contro le 28 di Rafael Nadal).

Insomma la diatriba se vogliamo rimane aperta, ma l’idea è che per quanto si sia visto sul campo, se resterà quasi impossibile stabilire per certo quale dei “tre bravi” sia effettivamente il migliore di sempre, almeno sui numeri l’unico che avrà ancora (e presto) la possibilità di migliorare sarà proprio il tennista serbo.

Onore al vincitore: la grande prova di Medvedev

Abbiamo parlato fino ad ora del “vinto”, perché l’impresa sfiorata era troppo grande per non cominciare ogni narrazione proprio dalle lacrime di Nole che hanno emozionato il pubblico del Arthur Ashe Stadium (per una volta tutto schierato a favore del serbo). Ma c’è da sottolineare anche, se non soprattutto, la grandissima prova del russo Medvedev, che tira fuori dal cilindro la partita perfetta annichilendo Djokovic in tre set: 6-4, 6-4, 6-4.

Prima vittoria in un torneo del Grande Slam per Medvedev, al suo terzo tentativo dopo gli US Open del 2019 (sconfitto in finale da Nadal) e gli Australian Open di quest’anno dove aveva incrociato all’ultimo atto ancora il buon Novak Djokovic, che in quel caso però aveva dominato la scena con un perentorio 7-5, 6-2, 6-2. Ma come sappiamo le cose sono andate in maniera molto diversa questa volta.

L’analisi del match

Che Novak risentisse in qualche modo della pressione per il traguardo epocale, era piuttosto normale, persino per un “robot” emozionale come si è sempre dimostrato il serbo nei momenti difficili.

Lo si è visto fin dall’inizio in campo, con qualche sbavatura non proprio da lui, vista però anche in altri match durante il primo set lasciato agli avversari (era già successo nelle ultime quattro partite contro Nishikori, Brooksby addirittura per 6-0, Berrettini e Zverev).

Le cose però non sono andate meglio nel secondo e nel terzo, soprattutto in quelli che di solito erano i punti di forza di Djokovic. Medvedev infatti ha continuato a colpire duro proprio in battuta, con una prima di servizio talmente efficace da segnare non solo 16 aces alla fine, ma anche una percentuale dell‘80% dei punti sulla prima di cui ben il 41% senza risposta dell’avversario.

E visto che Djokovic è uno dei tennisti che meglio risponde al mondo (chiedere a Berrettini tra gli altri), questo dato la dice lunga su dove è stato (Stra)vinto il match dal russo.

Se aggiungiamo che anche negli scambi lunghi da fondo campo è sempre stato Medvedev ad avere la meglio (18 a 7 per il russo), ecco che la vittoria diventa un fattore inevitabile.

Malgrado un terzo set quasi da libro cuore con il pubblico che spinge il serbo in svantaggio per 5-1 tanto da farlo visibilmente commuovere (segno però anche di quanto l’emotività stava incidendo sul suo match).

Servirà a una piccola rimonta fino al 5-4, chiusa però ancora una volta da un ace vincente che gli regala il primo trofeo dello Slam e consegna Novak alla storia. Anche se da una porta di “servizio”.