In ogni sportivo di alto livello, la parabola sportiva si intreccia con quella umana. Nel caso di Stefanos Tsitsipas, però, questo intreccio assume i contorni di un feuilleton, una storia che appassiona anche se abbiamo tutti la sensazione di conoscerne già il prossimo capitolo. Nel frattempo, però, Tsitsi continua a scivolare sempre più in basso, in classifica.
Stefanos Tsitsipas e il loop infinito con papà Apostolos
Negli ultimi giorni di luglio, dopo che Stefanos Tsitsipas aveva annunciato la fine del rapporto con Goran Ivanisevic e il ritorno (l’ennesimo) di papà Apostolos come coach, la pagina Instagram di “Tenniste Brutte” si era prodotta in un meme che sintetizza in maniera definitiva gli ultimi anni della carriera del greco:
In realtà, proprio un anno fa – sempre di questi tempi – avevo parlato di Apostolos Tsitsipas come uno degli esempi più eclatanti di genitori ingombranti, nel tennis. Nel frattempo, Stefanos ha trovato il tempo di ri-litigare con papà, licenziarlo, assumere Goran Ivanisevic, licenziarlo e riassumere ancora una voltà Apostolos.
Il 2025 da incubo e la scintilla mancante con Ivanisevic
A dire il vero, le uscite del croato ex campione di Wimbledon erano parse un tantino sopra le righe. Poi lo stesso Goran aveva ammesso che si trattava di un tentativo estremo per cercare di scuoterlo, evidentemente non andato a buon fine. Lo stesso Ivanisevic, accolto senza rancore il licenziamento, ha svelato che secondo lui solo il padre può allenare Tsitsipas, anche perché con papà ha raggiunto i risultati migliori.
La verità – probabilmente – sta nel mezzo. O meglio, è vero che i migliori risultati in carriera Tsitsipas li ha ottenuti con suo padre accanto come coach e mentore, ma non abbiamo la controprova di come sarebbero andate le cose senza di lui, in quegli stessi anni.
Come detto nell’articolo menzionato sopra, quando un genitore segue il figlio/figlia anche come coach si instaurano delle dinamiche pericolose, tra possibili confusioni di ruoli e i rischi di un’ingerenza eccessiva sulla vita del figlio – e non solo sportiva.
Purtroppo per il greco, la situazione rischia di sfuggire di mano. Per trovare Stefanos Tsitsipas più in basso dell’attuale 29°-30° posto nel ranking ATP, bisogna tornare esattamente a otto anni fa. Al tempo, la semifinale persa a Washington contro Alexander Zverev aveva permesso a Tsitsi di guadagnare cinque posizioni in classifica, entrando per la prima volta in top 30 (da 32 a 27).
Un 2025 sconcertante, da 19 vittorie e 14 sconfitte, lo ha fatto precipitare in una dorata mediocrità. E dire che, dopo la delusione del 1° turno all’Australian Open, la vittoria in Dubai aveva illuso i fan del greco, con una prestazione sontuosa che però è rimasta isolata. Da allora a oggi, infatti, Tsitsipas non ha più vinto tre partite in fila.
La stagione estremamente negativa sulla terra rossa, da sempre superficie-banca per il greco, ha accelerato una discesa che non è tragica, ma somiglia comunque a un abisso. Come ha sottolineato Ivanisevic in quella maniera un po’ troppo pirotecnica, Tsitsipas ha degli evidenti problemi di mental game da risolvere.
Alla base potrebbero esserci l’ampiamente nota frustrazione di aver dovuto attendere pazientemente il declino dei Big 3 per trovare spazio al vertice del tennis mondiale, ma poi l’arrivo di Sinner e Alcaraz ha relegato lui e altri della “lost generation” (Fritz, Rublev, Medvedev) in posizioni subalterne.
E adesso? Cincinnati e US Open a cuor leggero
Il brutto è che adesso arriva l’US Open, nettamente lo Slam in cui Stefanos Tsitsipas ha raccolto meno, in carriera: due terzi turni come miglior risultato (2020 e 2021), con un bilancio di 8 partite vinte e altrettante perse.
Le condizioni difficili potrebbero anche fungere da stimolo per il greco, che si prepara allo US Open – e al resto della stagione americana sul cemento – con pochi punti da difendere. Prima, però, Stefanos deve capire che collocazione vuole darsi lui, negli attuali equilibri del tennis ATP. Il potenziale da top 10 non è certo sparito, è la capacità di reggere il confronto con i più forti per diverse ore o giorni, a fare la differenza.
