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La maggior parte degli sportivi hanno successo tra tifosi, in molti casi, grazie alla loro scia di prestigiose vittorie. Una piccola parte di essi, invece, ottiene il supporto del pubblico per dei meriti diversi da vittorie e trionfi. Uno di questi è Gilles Villeneuve, pilota canadese padre di Jacques, divenuto un mito tra i tifosi della Ferrari sia per le sue memorabili battaglie in pista (che non hanno prodotto vittorie mondiali) sia per la sua tenacia e la sua sfortunatissima fine.

Il re delle motoslitte

Gilles Villeneuve nacque in Canada, a Saint Jean sur Richelieu (fredda città del Quebec), nel gennaio del 1950.

Sin da bambino, in compagnia del fratello Jacques, iniziò a prendere confidenza con le competizioni in un modo davvero atipico: le prime gare, infatti, furono a cavallo della motoslitta, mezzo ovviamente diffuso in contesti geografici particolarmente freddi e nevosi.

Dalla fine degli anni ’60, poi, riuscì –non senza rischi- il salto alle quattro ruote, dal momento che fu la vendita della propria casa a permettere al canadese il finanziamento per la partecipazione ad un campionato di Formula Ford; i numerosi successi  lo proiettarono, nel 1974, alla Formula Atlantic, in cui restò per tre anni conquistando tre titoli.

In una gara minore, nel 1977, fu notato dal pilota di Formula Uno James Hunt, che lo propose al team manager della McLaren, aprendogli di fatto le porte, a 27 anni, alla Formula Uno.

Data l’età, per uno sportivo, non più verdissima, Villeneuve si spacciò come un classe ’52, attribuendosi così due anni in meno rispetto alla realtà: aveva pensato, giustamente, che avrebbe avuto più visibilità tra i migliori team.

L’esordio in McLaren

Nel 1977, Villeneuve ebbe la possibilità di correre il Gran Premio d’Inghilterra con la McLaren, conquistando un interessante 11° posto finale. I rapporti col direttore sportivo Teddy Mayer, però, non furono idilliaci, così non fu confermato per le gare successive. La svolta avvenne ad agosto, quando la Ferrari – trovatasi scoperta dall’ abbandono di Lauda dopo la vittoria del campionato – necessitava di una guida. Così terminò la stagione a Maranello, vedendosi confermato per l’anno successivo.

I primi anni in Ferrari

La sua stagione d’esordio ufficiale in Ferrari non fu all’altezza delle aspettative, contraddistinta da svariati ritiri e problemi meccanici. La stampa italiana si mostrava abbastanza ostile nei confronti di Villeneuve, che invece veniva difeso a spada tratta dalla sua scuderia e da Enzo Ferrari in persona. La stagione si concluse con un 9° posto in classifica generale ma la gioia arrivò con la prima vittoria proprio in Canada, suo Paese natale.

Il 1979 andò decisamente meglio, anche se con qualche piccola parentesi negativa. Dopo le prime due gare abbastanza difficili, debuttò a bordo di un nuovo modello Ferrari (nello specifico la 312 T3) e sin da subito sia Villeneuve che Shecketer, suo compagno di squadra, fecero registrare giri velocissimi. La stagione si concluderà con un secondo posto nella classifica iridata. Numerose, invece, furono le pole position ottenute, i giri veloci e le vittorie di gara (tre). Rimarrà nella storia lo splendido duello nel G.P. di Francia tra il canadese e il pilota della Renault René Arnoux, con i due affiancati ruota contro ruota per tre giri. Sfida vinta da Villeneuve, ma al termine della stagione fu il suo compagno di squadra in Ferrari, Jodie Scheckter, ad aggiudicarsi il titolo mondiale.

Da lì si sollevarono polveroni polemici sulla rivalità in casa con il compagno di squadra, polemiche che il pilota canadese smentì immediatamente sostenendo la pacifica convivenza ai box Ferrari.

Gli anni ’80

La stagione 1980 partì annoverando Villeneuve tra i favoritissimi, considerando che avrebbe potuto contare sull’evoluzione dell’auto degli anni precedente, già abbastanza potente e competitiva. Di fatto però la stagione si rivelerà particolarmente deludente, con ben 6 ritiri su 14 gare e addirittura zero podi (e logicamente zero vittorie). La stagione lo farà terminare al 14° posto della classifica finale,  con non poche polemiche sulla vettura, ritenuta non all’altezza. Peraltro anche il compagno Schekter ebbe i medesimi problemi, collezionando dal canto suo 5 ritiri e nessun podio.

Il 1981 andò decisamente meglio per il canadese che potè contare su una nuova vettura che la Ferrari aveva adeguato alla concorrenza, dotandola di motore turbo. Affiancato da Pironi, il canadese colse due vittorie (a Montecarlo ed in Spagna), a fronte però di ben nove ritiri, sintomo che la macchina non era ancora particolarmente affidabile. La stagione del pilota, comunque, venne ritenuta soddisfacente, dal momento che a metà stagione, gli viene rinnovato il contratto come prima guida della scuderia Ferrari fino al 1983.

1982: dai duelli con Pironi alla morte

Il 1982 vide il canadese partire con i favori del pronostico, a bordo di una Ferrari finalmente affidabile e un compagno di squadra particolarmente agguerrito.

Dopo due podi nelle prime tre gare, fu memorabile la gara di Imola, quando il muretto, a metà gara, ordinò – in base agli accordi pre gara- di lasciare le posizioni immutate che si erano concretizzate fino a quel momento, con Villeneuve primo e Pironi secondo. Quest’ultimo disattese l’ordine, superò Villenueve generando fiumi di polemiche tra gli appassionati, che stavano con Villeneuve.

Il 1982, però, fu caratterizzato indiscutibilmente dal funesto episodio del Gran Premio del Belgio, a Zolder: in qualifica, il povero Gilles stava compiendo il proprio giro veloce, quando in una curva si imbattè sulla March di Jochen Mass, che per fargli strada scartò sulla destra lasciandogli libera la traiettoria ideale. Villeneuve, però, non si capì con Mass, dal momento che anche lui virò nella medesima direzione, trovando la collisione tra la ruota anteriore della Ferrari con la posteriore della March. Il risultato fu un’impennata terrificante della rossa, che fece due giri su sé stessa in aria prima di sbattere su un albero e disintegrarsi, non lasciando scampo al povero canadese.

Finì in quella curva la vita dell’Aviatore, questo il soprannome che gli addetti ai lavori gli avevano dato sin dai primissimi tempi in McLaren. Un ragazzo che aveva dimostrato di non arrendersi mai, nonostante le enormi sfortune patite nelle stagioni con la Ferrari, trovando sempre le motivazioni e la forza per rendersi competitivo nelle gare successive.

Questo suo atteggiamento l’ha fatto entrare nel cuore dei tifosi di Maranello, che ancora oggi lo idolatrano come uno dei più grandi piloti che la Ferrari abbia mai avuto.