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Quando si parla di storia della Formula Uno, nella maggior parte dei casi vengono in mente i piloti e le vetture che hanno vinto, emozionato e appassionato il pubblico.

Difficilmente, però, si ricordano i dirigenti delle scuderie, che – nonostante un ruolo di primissim’ordine – si sono sempre adoperati da dietro le quinte, risultando meno famosi agli occhi del pubblico.

Una delle poche eccezioni è quella costituita da Jean Todt, il noto dirigente sportivo che nell’immaginario comune esulta a fianco di Michael Schumacher, avendo condotto il tedesco e la Ferrari ad assumere ruoli di protagonisti assoluti degli anni Duemila.

Lo studente con la passione delle quattro ruote

Jean Todt nasce a Pierrefort, non lontano da Lione, nel 1946. E’ figlio di un medico, da cui eredita la passione per i motori sin da piccolo: la folgorazione per le corse, infatti, avviene all’età di dieci anni, ovvero quando il padre lo porta a vedere il suo primo Gran Premio.

Dopo qualche anno da spettatore, Jean affianca il periodo di studi alla EDC Business School di Parigi a delle corse con la Mini Cooper del padre, comprendendo però di non possedere la stoffa del campione. Questo lo porta a tentare anche la strada del co-pilota nei rally con la Peugeot, ma anche lì le soddisfazioni sono poche.

Ma la storia cambia proprio quando alcuni dirigenti della Peugeot ne intuiscono le potenzialità manageriali e lo invitano ad accantonare l’esperienza da pilota e copilota, mettendolo a capo della direzione della Peugeot Talbot Sport.

L’idea funziona: in pochi anni Jean Todt diventa un dirigente di grande successo, conducendo la scuderia alla conquista di quattro titoli nei rally e di due edizioni della 24 Ore di Le Mans, nel 1992 e nel 1993.

La sua carriera sarebbe già piuttosto fruttuosa, se non fosse che nel 1993 arriva la grande occasione : Luca Cordero di Montezemolo sta ricostruendo la scuderia Ferrari, e lo vuole a capo di Maranello per rilanciare il settore della Formula 1, con l’obiettivo dichiarato di tornare a vincere il Mondiale, che manca dal 1979, dai tempi di Jody Scheckter.

Jean Todt in Ferrari

Il treno è di quelli che passano una volta nella vita, così Todt accetta e arriva in Italia, vestendo i panni del primo straniero della storia alla guida di un marchio italiano così prestigioso.

L’impresa da portare a termine è titanica: in quel momento la Ferrari vive una delle sue crisi tecniche più accentuate di sempre, venendo da un triennio senza alcuna vittoria, pole position o giro veloce, con i poveri Alesi, Prost, Berger, Capelli e Morbidelli relegati al ruolo di sparring-partner di McLaren, Williams e Benetton.

Todt porta in Ferrari strategie tecniche ben definite, che dopo un anno iniziano a dare i primi – pur minimi – frutti: l’austriaco Berger vince il Gran Premio di Germania, riportando il cavallino rampante sul gradino più alto del podio per la prima volta dal 1990.

Nel 1995, però, il vero colpo da maestro del dirigente francese: quello di ingaggiare il due volte campione del mondo Micheal Schumacher, tedesco col quale fin da subito sboccia un rapporto di grandissima amicizia, che contraddistinguerà nel bene gli anni successivi.

Non solo: l’anno seguente Todt pretende l’ingaggio di Ross Brawn, ingegnere che in quegli anni stava facendo le fortune della Benetton di Briatore.

Dopo aver sfiorato il titolo piloti per ben tre stagioni (1997, 1998 e 1999), la Ferrari vince la classifica costruttori nel 1999, preludio del periodo d’oro che sta per arrivare.

Le vittorie di Todt a Maranello

Finalmente, nel 2000 arriva la meritata doppietta iridata: Schumacher diventa Campione del Mondo piloti e la Ferrari Campione del Mondo costruttori. E’ l’inizio di un periodo d’oro, in cui Todt ha il merito di non accontentarsi mai, continuando quel periodo di grande ammodernamento tecnico che aveva lui stesso iniziato nel 1994.

Il dominio, nelle stagioni successive, è totale: Schumacher vince cinque titoli iridati di fila; la supremazia tecnica del Cavallino Rampante è assoluta (i tifosi ancor oggi ricordano, tra le altre, quanto la F2002 risulti come una delle vetture più totalizzanti di sempre, vincendo 15 gare iridate su 17).

Parlavamo di come Jean Todt e Michael Schumacher avessero instaurato un rapporto quasi fraterno: è proprio il giorno del ritiro del tedesco, nell’ottobre 2006, che Todt diventa amministratore delegato del Cavallino, lasciando il suo posto alla direzione della Scuderia Ferrari a Stefano Domenicali.

Jean Todt oggi

Nessun dirigente, più di lui, ha avuto un impatto così grande in una scuderia di Formula Uno.  Con cinque titoli mondiali piloti e sei titoli costruttori risulta essere il dirigente più vincente della storia, fino a quel momento.

Arrivano poi a cascata incarichi di grande importanza all’interno del mondo automobilistico: nel 2009, ad esempio, viene eletto in modo molto netto a Presidente della FIA, Federazione Internazionale dell’Automobile, succedendo nientemeno che a Max Mosley; in seguito, nel 2015, assume addirittura una carica all’ONU.

Di lui si è detto tutto: perfezionista, serioso, generoso; è sempre stato difficile farne un ritratto fedele, data la ritrosia (ai limiti della timidezza) con cui si è sempre tenuto il più lontano possibile dalle telecamere.

Ma quanto fatto a Maranello, però, è semplicemente irripetibile. Jean Todt, l’improbabile francese a capo della Ferrari.