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Xavi lavora con la consueta maestria un pallone difficile a pochi passi dal cerchio di centrocampo, nella propria metà campo. Accanto a sé vede e serve Messi, che quel giorno gioca ala, ma che con un movimento che lo caratterizzerà per tutta la carriera viene in aiuto al centrocampo per iniziare lui stesso l’azione. Xavi gliela passa, ma Messi ha incollato al corpo un difensore del Getafe, quel giorno in maglia fluo.

La pulce lo salta con un dribbling, poi ne salta un altro – già pronto in raddoppio – con un tunnel da mettersi le mani nei capelli. Dopo aver illuso le più basilari leggi della fisica, Messi inizia la sua corsa, inarrestabile. Taglia il campo dalla destra al centro del campo, puntando come uno squalo l’area di rigore del Getafe, che appare inerme come un folto gruppo di sardine inseguite dal nemico. Il talento argentino tocca il pallone sei volte per una distanza di circa 35/40 metri.

Arriva quasi al limite, ma dietro di sé ha un difensore del Getafe che sta entrando in scivolata. Davanti a sé ha invece un altro difensore del Getafe che lo aspetta al varco, pronto ad intervenire con le buone o con le cattive. Ma Messi va più veloce della luce. Li salta entrambi con un solo tocco, e ora un terzo difensore del Getafe prova a fermarlo entrando in scivolata.

Ma Messi è più veloce del vento. Salta un altro difensore con un tocco memorabile d’interno sinistro, à là Maradona, e si presenta a tu per tu col portiere avversario. Messi, anziché calciare, probabilmente posseduto dallo spirito di Diego Armando Maradona, salta anche l’estremo difensore portandosi il pallone sull’esterno. È costretto a calciare col destro, ma lo fa senza problemi superando anche il disperato tentativo in scivolata dell’ultimo difensore del Getafe rimasto incolume, fino a quel momento perlomeno, dalla sgasata senza senso di un calciatore fenomenale.

Ho visto Maradona

Messi ha letteralmente ripreso, ideato e realizzato per la seconda volta nella storia il gol più iconico della storia del calcio, insieme alla mano de Dios, quello di Maradona contro l’Inghilterra. Un uno contro tutti che testimonia una volta di più, se ce ne fosse bisogno, l’eredità pesantissima ma divinamente trasferita da un argentino all’altro per mezzo del dio del calcio. Parlare ora di Messi come nuovo Maradona non è più proibito: di più, Lionel sembra avere dalla sua una tecnica forse anche superiore.

L’erede è lui, Lionel Andres Messi, e dopo questo gol crederlo è quasi un dogma. Siamo ancora lontani dal mitico Barcellona di Pep Guardiola, e quella Copa del Rey il Barcellona non la vincerà nemmeno. Quella partita finirà 5-2 per il Barcellona, che dopo il raddoppio di Messi segnerà altri tre gol, uno ancora con Messi, uno con Gudjohnsen e un altro con Eto’o. Al ritorno, però, in maggio, finirà addirittura 4-0 per la formazione madrilena, che otterrà il pass per la finale di Copa, eliminando un Barcellona irriconoscibile.

C’è però un’ultima curiosità che merita d’essere menzionata, a prescindere dai risultati balbettanti di quel Barcellona. Quell’anno Messi non solo segnerà questo gol al Getafe, ma sancirà definitivamente il proprio legame al padre Maradona con un’altra mano de Dios, dal peso e dalla forma decisamente diversi, ma ugualmente decisiva: parliamo del derby di Barcellona, non una sfida qualunque, contro l’Espanyol, nel quale la pulga anticipa l’uscita alta di Kameni con una vera e propria schiacciata in rete, non vista dal direttore di gara.

L’eredità era consumata, e il gol col Getafe lo certificava senza troppe ambagi. La carriera di Messi dimostrerà il filo teso di questo destino, non frutto del caso, ma degli dèi che governano il gioco più bello del mondo.