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Parlare di Phil Hellmuth significa confrontarsi con un’icona del poker mondiale. Il suo palmares è una sequenza di record, quasi tutti targati World Series Of Poker: 16 braccialetti in bacheca, 171 in the money (WSOP+WSOPE), unico finora a poter vantare un titolo Main Event vinto sia negli States che in Europa (il secondo alle World Series Of Poker Europe disputate a Cannes nel 2012). Anche il titolo conquistato a Las Vegas è stato per vent’anni un primato: quello del più giovane vincitore, perché nel 1989 Phil Hellmuth aveva solo 25 anni. Poi è arrivato Joe Cada che nel 2009, a 21 anni, gli ha tolto quel record.

Senza entrare nel dettaglio di tutti i premi da lui accumulati, Phil Hellmuth ha incassato fino ad oggi più di 28 milioni di dollari nei tornei live e dal 2007 è stato inserito nella Hall of Fame del poker. In poche parole, è uno dei più grandi professionisti nella storia di questo gioco.

Phil Hellmuth mostra il 16° braccialetto conqusitato alle WSOP 2021 (credits PokerNews)

Quadro completo? No, perché non rende l’idea del personaggio, ovvero di quell’alter ego del super professionista che risponde al soprannome di “Poker Brat“. L’appellativo di “ragazzino viziato” o “ragazzaccio” del poker è diventato ormai la sua seconda pelle, a causa dei modi petulanti che assume nei confronti degli avversari al tavolo. Istrionico (leggendario il suo ingresso alle WSOP 2009 vestito da Giulio Cesare) ma anche fastidioso per gli eccessi di whining (reazione plateali) nei confronti delle bad beat, Phil Hellmuth è spesso incapace di controllare quell’ego smodato che è il suo peggior nemico nel gioco.

Un esempio estremo di questo atteggiamento si è verificato durante Big Game 2010: un tavolo televisivo in cui 5 giocatori professionisti di fama mondiale e un amatore qualificato online si sfidavano in 150 mani di cash game high-stakes.

Nell’appuntamento di giugno, i professionisti sono Daniel Negreanu, Doyle Brunson, Phil Laak, Antanas Guoga (meglio noto come Tony G) e Phil Hellmuth. Il loose cannon, cioè il dilettante, è Ernest Wiggins.

Più o meno a metà della sessione arriva una mano non particolarmente interessante di per sé, ma che Hellmuth trasformerà – suo malgrado – in qualcosa di memorabile.

Il “loose cannon” Ernest Wiggins (credits RIHL)

L’azione inizia con lo straddle proprio del loose cannon da utg. Segue il raise di Doyle Brunson che da cutoff piazza 2.800 chips con 6♥5♥. Chiama Tony G da SB con J♠10♥. Phil Hellmuth invece annuncia il “raise the pot”, che in questo caso significa una 3-bet da 12.600 chips, da BB con A♥9♦. La palla torna a Ernest Wiggins il quale, nonostante abbia i “cowboys” (K♠K♣) si limita al call. Un errore in teoria, perché crea le pot odds favorevoli per i call di Brunson e Tony, che puntualmente arrivano.

Quando scendono le prime tre carte del board il piatto è già di 51.000 chips.

Il flop è tutto a favore di Hellmuth che centra il tris: 9♥10♠9♠. Dopo il check di Guoga, Hellmuth punta 17.000 ma Wiggins rilancia fino a 36.000. Brunson si chiama fuori e lo stesso fa Tony G, con qualche rammarico. L’occasione è troppo ghiotta per “Poker Brat” che inizia il suo teatrino chiedendo all’avversario: “Cosa fai sei vado all-in? Chiami?“. Wiggins, molto sicuro di sé, gli risponde di sì.  Hellmuth specula un po’ sulla mano del loose cannon, “hai coppia di Kappa o di Assi?“, si prende ancora un po’ di tempo (quasi un minuto) e poi dichiara l’all-in per 74.300 chips. Wiggins chiama alla velocità della luce, sbattendo sul tavolo la sua top pair. Hellmuth, con molta flemma gli dice “ho tre 9, tris“.

A questo punto Negreanu e Laak insorgono accusando Hellmuth di slowroll, ovvero di aver ritardato un’azione scontata al solo scopo di innervosire l’avversario. Hellmuth, apparentemente seccato, ribatte a Laak: “Non è slowroll. E poi sono stanco del tuo modo di fare, mi attacchi sempre. Pensa agli affari tuoi!” Esattamente il teatrino che Hellmuth ama creare per avere l’attenzione su di sé ma che finisce per innervosire lui stesso, soprattutto quando Negreanu rincara la dose: “Ha ragione Laak, è slowroll“.

Hellmuth è pronto per il corto circuito. Si gira sulla sedia, dando le spalle al resto del tavolo e parla direttamente solo con Wiggins: “vuoi giocare la mano 4 volte?“. La proposta è semplice: il piatto viene diviso in 4 parti da 50.000 dollari l’una e la dealer gira per ogni piatto un turn e un river diversi. Un modo per ridurre la varianza e, forse, per Hellmuth di farsi perdonare lo slowroll. Wiggins ovviamente accetta, visto che al flop Hellmuth è favorito all’85%. Si comincia…

Mano 1: Turn: J♥, River A♦. Il tris regge e Hellmuth incassa il primo pot.

Mano 2: Turn: K♥ che ribalta subito la situazione, dando fullhouse a Wiggins! A Hellmuth resta solo la speranza di vedere l’ultimo 9 del mazzo. Ma il river è un 3♣ e il secondo piatto va a Wiggins.

Mano 3: Turn: 7♠ che apre un flush draw per Wiggins. Con un 20% di chance il giocatore amatoriale attende che il dealer mostri il river… un 8♠, colore chiuso e anche il terzo pot è ad appannaggio di Wiggins!

Wiggins si alza e va a stringere la mano di Hellmuth che finge di prenderla con sportività, ma la sua faccia tradisce tutta la frustrazione. Si arriva così all’ultima azione, forse la più clamorosa.

Mano 4: Turn: Q♣, adesso Wiggins ha un progetto di scala a incastro, oltre alla possibilità del tris. Deve quindi sperare in un J (nel mazzo ce ne sono ancora 2) o nell’ultimo K disponibile, 3 out in tutto, 10% di probabilità. Naturalmente il river è il K♦, secondo fullhouse per Wiggins che vince la serie 3 a 1: in termini economici, $150.000 per lui e solo 50.000 per Poker Brat!

In rete è possibile trovare il video dell’intera sequenza che vale la pena di vedere, anche solo per le espressioni di Hellmuth.

Foto principale: Phil Hellmuth in tilt (credits WSOP)