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Non è una concetto molto tecnico, ma è probabile che ogni giocatore abbia una propria mano favorita. E non parliamo di coppia di Assi o di Re, sarebbe troppo facile e banale, ma di una mano che magari è un porta fortuna o che ricorda un evento positivo o che semplicemente è la preferita dal punto di vista estetico.

L’importante è non farsi trasportare dal feeling e rinunciare a giocarla quando proprio non è il caso. A maggior ragione se si tratta di una mano mediocre.

Ma nel grande libro del poker, alla pagina WSOP, c’è un capitolo che smentisce quanto abbiamo appena detto. Anzi ce ne sono due, entrambi scritti da Doyle Brunson.

Texas Dolly, questo il nickname del giocatore di Longworth, è una vera e propria leggenda vivente del poker mondiale e che ancora oggi, nonostante gli 86 anni d’età (è nato il 10 agosto del 1933), si concede qualche apparizione ai tavoli di Las Vegas in occasione delle World Series Of Poker.

Quando un incidente sul lavoro interrompe la sua promettente carriera di giocatore di basket, Brunson – terminati gli studi universitari – si dedica al poker professionistico. A cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta inizia ad accumulare successi in Texas, Oklahoma e Louisiana. Con l’apertura dei casinò in Nevada, però, decide di trasferirsi a Las Vegas. Qui, a partire dalla metà degli anni Settanta, la sua carriera decolla e raggiunge l’apice grazie a due Main Event WSOP vinti nel 1976 e nel 1977 e altri 8 braccialetti, l’ultimo dei quali infilato al polso nel 2005. Oggi Doyle Brunson vanta più di 6 milioni di dollari vinti in tornei dal vivo, nel 1988 è stato inserito nella Poker Hall of Fame ed è l’autore di Super System, in assoluto il libro sul poker più letto al mondo.

Stavamo parlando di mani favorite. Ebbene, quella di Texas Dolly è 10-2: una super trash hand, cioè due carte da non giocare mai ma che nel suo caso gli hanno regalato proprio le due vittorie consecutivi nel Main Event WSOP. Non sorprende che per tutti ora 10-2 sia la “Doyle Brunson’s hand“.

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La storica mano di Doyle Bruson, stampata sul retro di Super System

Nel 1976 Doyle Brunson raggiunge il suo primo tavolo finale alle World Series Of Poker di Las Vegas. Non solo, sopravvive a tutte le eliminazioni fino all’heads-up conclusivo, quello contro Jesse Alto. Ad un certo punto della partita, Jesse Alto apre con A♣J♥, due ottime carte per iniziare con un rilancio. Texas Dolly, in netto vantaggio di chip, decide di chiamare con un marginale 10♠2♠. Il flop è tutto a favore dell’original raiser che centra una doppia coppia grazie a A♥J♠10♥. Jesse Alto punta forte ma Brunson, forse sentendo puzza di bluff, decide di rilanciare all-in con la bottom pair e un kicker inesistente! Il resto del board è clamoroso: prima un 2♣ al turn, doppia coppia ma inferiore a quella di Alto; poi un 10♦ e situazione ribaltata in un fullhouse! I 230.000 dollari di primo premio vanno a Doyle Brunson che, per la cronaca, quello stesso anno vincerà anche un altro titolo nel Deuce to Seven Draw.

L’anno dopo arriva il bis. Nel 1977 a contrastare la marcia di Brunson verso il secondo titolo WSOP Main Event c’è Bones Berland. Brunson è chipleader quando tra le mani si trova di nuovo 10♠2♥, la sua mano, e decide di chiamare da small blind. Berland, che ha 8♠5♥, da big blind opta per vedere il flop senza ulteriore investimento di chip. Sul tavolo scendono le prime tre carte comuni: 10♦8♠5♥: Brunson hitta la top pair, ma il suo avversario ha doppia coppia. A differenza di quanto avvenuto un anno prima, i due giocatori scelgono di giocare in slowplay e nessuno punta. Il turn è un segno del destino: un 2♣, la stessa carta del 1976, ma che questa porta in vantaggio Brunson grazie alla doppia coppia superiore. I due finiscono ai resti e l’ultima carta del board mette la parola fine ad un copione già visto: 10♣, un altro “full di 10 ai 2” che consegna a Brunson il secondo titolo e 340.000 dollari di primo premio. Per Berland non c’è nemmeno la consolazione del secondo premio, dal momento che quell’anno il ME WSOP fu giocato in modalità winner takes all.

Una doppietta storica quella di Brunson, che ha trasformato una mano a dir poco marginale nella più famosa starting hand del poker.

Chiudiamo con due curiosità su questa icona del poker. La prima riguarda l’ultimo braccialetto vinto alle WSOP da Doyle Brunson nel 2005, un $5.000 No Limit Shorthanded Texas Hold ‘em, per un primo premio di $367.800: in quella occasione la mano vincente fu 10-3, non proprio “la sua”, ma molto vicina.

La seconda riguarda la starting hand meno amata da Doyle Brunson: A-Q, definita da Texas Dolly una mano problematica (“trouble hand”). Curioso è il fatto che al Main Event delle WSOP 2007 sia stato eliminato giocando proprio questa combinazione.

 

Foto principale: Doyle “Texas Dolly” Brunson (by PokerNews.com)

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