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E’ una storia di passione, amore, ma soprattutto di tradizione. Aldo Montano vive qualsiasi giorno con fibrillazione unica: ogni minuto che passa è un minuto in meno sul countdown della partenza. Non capita a tanti atleti di vivere un’Olimpiade, figuriamoci cinque. Figuriamoci in una famiglia che ha letteralmente vissuto per lo sport che ha reso grande “quell’Aldino lì”, bello e impossibile, entrato prepotentemente nel cuore di tutti con un urlo indimenticabile. Era Atene, i Giochi del 2004: nel torneo di sciabola individuale, vinta da un “azzurro” solo nel 1920, a 26 anni un livornese dai capelli lunghi e dai toni altissimi, cantava a squarciagola l’inno di Mameli e Livorno si fece centro dell’universo totale.

Del resto, novanta minuti prima, Montano aveva assistito alla fuga in solitaria di un concittadino di elevato spessore atletico e morale: Paolo Bettini, pure lui livornesissimo, aveva già scaldato le piazze, poi colme di felicità con affaccio su Terrazza Mascagni. Inutile, o forse no, aggiungerlo: il presidente della Repubblica fu immediatamente messo in contatto con i due atleti. Carlo Azeglio Ciampi. Originario di? Dai, ci si arriva facilmente: non è Pisa, né Firenze. E’ sempre e solo Livorno.

La scherma e la famiglia

Quella di Montano è sempre stata una storia di famiglia, ultra legata al territorio. Sul podio, mentre gli veniva consegnata la medaglia d’oro, indossava una maglietta con su scritto “sono io, siamo noi”. Poi la bandiera amaranto (colore della sua città), quindi il prefisso di Livorno, 0586, oltre al tricolore. Aldino, immediatamente dopo la vittoria, aveva cercato sugli spalti suo ‘babbo’: Mario Aldo Montano, detto Mauzzino. A qualcuno dirà qualcosa: è stato olimpionico a Monaco 1972, al fianco del cugino Mario Tullio Montano. Sono stati tutto per Aldo, che tirava i primi colpi con le sciabole finte, seduto sul divano, e il papà con un cuscino legato alla pancia.

Persino suo nonno, di nome proprio Aldo, ha fatto la storia della materia: vicecampione olimpico a Berlino 1936 e Londra ’48. Materia imparata sempre tra le palestre livornesi, con Beppe Nadi, padre di Nedo, oro ad Anversa 1920 e l’unico – fino all’exploit di Aldino – ad aver vinto un oro nella sciabola individuale. Tutto torna. Un ciclo lunghissimo, ma continuo. Una catena enorme, che non si spezza. E che porta a casa, sempre in Grecia, un argento costruito sul talento di Giampiero Pastore e Gigi Tarantino. E naturalmente su quello di Aldo, affinato dai consigli del maestro Viktor Sidjak, uomo da quattro vittorie olimpiche e di mille sfide proprio con Mauzzino. Aveva da smussare gli angoli dell’irruenza di Montano e – fidatevi – ci sono missioni certamente più semplici.

Sì, perché il carattere di Aldino è sempre stato spigoloso e forse nello sport, in questo sport, è stata una gran fortuna: sapere quando “liberare la bestia”, quando andare avanti e quando starsene indietro, a parare i tentativi di chi voleva vederlo giù. Ai vent’anni, inizi Duemila, è talmente forte che il destino deciderà per lui: oro individuale nei Campionati italiani del 2001, bronzo nel 2002, oro nel 2003. Ai Mondiali di Lisbona, argento nella gara a squadre. Argento anche agli Europei di Mosca e Bourges. Atene è una dolce conseguenza, la finale con Nemcsik, ungherese, la controprova di come abbia il carattere – “le palle”, per usare il termine corretto di mamma Paola – per scrivere la storia della scherma italiana.

Il fidanzato d’Italia

E quella gioia, intrisa di dolore e certamente di sacrifici, gli consegna una ribalta mediatica incredibile. Del resto, Montano è un volto fresco, giovane, naturalmente piace. Simona Ventura lo invita a Quelli che il Calcio e segue il Livorno da “inviato”. Poi reality, movida, donne. Tante donne. Aldo sta attento a non scivolare, che in pedana è un attimo: nel 2007 vince il quarto titolo italiano individuale in carriera e l’argento ai Mondiali di San Pietroburgo. E’ il miglior modo per rispondere alle prime critiche, alle naturali distrazioni e a chi parla della sua storia come di una meteora.

Ci sono i Giochi, nel 2008, e sono a Pechino: nell’individuale è una delusione immensa. Jorge Pina Perez, all’ultima stoccata, lo fa fuori agli ottavi nell’individuale; Pastore e Tarantino, stavolta con Occhiuzzi oltre ad Aldo, si regalano tuttavia un bronzo che fa storia e morale. Aldino è naturalmente stravolto: dovrà aspettare quattro anni per la rivincita, e chissà cosa può accadere in tutto questo tempo. Nel mentre, ha solo un modo per combattere la disillusione: lavorare. E vincere. Si prende ori europei e argenti mondiali sempre in squadra, eppure nell’individuale scivola indietro a diversi avversari. Fino al Mondiale nel 2011, quando vincerà il Mondiale e si toglierà un po’ di sassolini dalle scarpe bianche.

Ecco, pure qui: l’obiettivo è andare a Londra da protagonista. E ci riesce, portando a casa un bronzo nel torneo a squadre che gli vale un sorriso enorme. E la scritta, stavolta sulle nocche, ancora in mondovisione, #0586. Livorno casa e centro di gravità permanente, specialmente nei momenti più complicati.

Rio e la voglia di riprovarci in Giappone

Quattro anni più tardi, a Rio de Janeiro, erano tutti pronti al canto del cigno: all’età di 38 anni, tra i più anziani di tutto il circuito, Montano si presentava come outsider ma sapeva di non poter contare sul riscatto della gara a squadre. Semplicemente, nella rassegna brasiliana, non era previsto. La sua esperienza si chiude anzitempo: ancora una volta, agli ottavi deve salutare il sogno del riscatto.

Ma Montano era già diverso, cambiato nel profondo da mille esperienze e una più diversa dell’altra. Anche questa nuova maturità gli aveva concesso la libertà di provarci ancora, mischiata alla sua più grande arte: quella di non arrendersi mai. Neanche davanti a chi, nonostante il lavoro quotidiano e le scariche di adrenalina, proprio non riusciva a vederlo ancora sul pezzo, nuovamente un olimpionico. E invece, con tanto di pass individuale, Aldino s’è costruito un altro pezzo di futuro nel super team della scherma italiana. Lo farà in particolare per i suoi figli: dopo Olympia, è arrivato finalmente Mario. Mario Montano. Chiamato come suo papà, altro olimpionico. E chiamato a un futuro già scritto, a quanto pare. L’obiettivo è continuare la tradizione di famiglia. E Aldo ha solo un modo: renderlo orgoglioso, mostrargli la via della grandezza olimpica.