La Formula Uno ha un nuovo sceriffo.
Perché ad Austin, rinomato feudo Mercedes, Max Verstappen e Red Bull hanno impartito una lezione di tattica a colui che in questa pista aveva quasi sempre dominato: quel Lewis Hamilton che ora, dopo il risultato di ieri, si trova a -12 dalla vetta della classifica piloti.
Ma non aver vinto negli USA, equivale forse già ad una mezza sentenza.
Lewis, che lezione da Max!
E dire che Lewis Hamilton, partito dalla seconda casella, il suo l’aveva fatto: presentarsi all’uscita della curva 1 in testa, in molti casi in passato, significava vittoria del Gran Premio.
Invece, una lucidità da veterano unita ad una tranquillità di chi sa di possedere un mezzo altamente performante, hanno fatto fare a Verstappen le scelte giuste. Il pit stop giocato in anticipo al decimo giro, con la risposta Mercedes che (colpevolmente!) ha tardato ad arrivare, hanno spostato l’inerzia della gara verso la scuderia di Milton Keynes.
Per non parlare, poi, del secondo pit stop di Red Bull, anche questo molto anticipato rispetto alla tabella di marcia. Quella che è sembrata una scelta piuttosto aggressiva e rischiosa, si è trasformata in una mossa vincente: del resto, la grande conservazione delle gomme da parte di Verstappen ha reso vani i tentativi di recupero di Hamilton, che si era fermato molti giri dopo rispetto ai rivali con l’unico obiettivo di avere pneumatici freschi sul finale di gara.
Il risultato, quindi, non poteva che essere uno solo: vittoria stagionale numero 8 per Verstappen (18esima in carriera) e margine su Hamilton allungato di altri 6 punti.
Aver vinto in una pista storicamente favorevole a Mercedes vale doppio, sia guardando in prospettiva alle restanti piste del calendario, sia dal punto di vista psicologico. Stavolta, la mazzata assestata ad Hamilton è di quelle difficili da smaltire.
Mercedes, che combini?
Quest’anno, più volte è apparso chiaro di come Mercedes stia facendo di tutto per perdere il campionato mondiale piloti. Ungheria, Italia, Francia e ora anche Stati Uniti sono stati tracciati in cui gli strateghi di Brackley hanno commesso errori imperdonabili per uno dei team più vincenti (e più ricchi) della storia dello sport motoristico.
Ieri, ad Austin, è infatti stato inaccettabile non richiamare Hamilton immediatamente dopo il primo pit stop di Verstappen: imprecisione, anche questa, apparsa piuttosto inspiegabile.
Il margine di errore, mancando cinque gare al termine, è azzerato, anche per via della straordinaria prova di forza di Red Bull. E anzi, per qualcuno potrebbe già essere troppo tardi.
Messico e Brasile (col primo in particolare) sembrano due tracciati fatti su misura per Verstappen: se Hamilton vorrà davvero lottare sino al termine, bisognerà trovare la vittoria almeno in uno dei due, per poi giocarsi tutto nel trittico di gare mediorientali.
Due punte contro una
Per anni, Valtteri Bottas è stato uno degli scudieri che tutti i top rider avrebbero sempre voluto: silenzioso, affidabile, veloce. Hamilton, ormai da mesi, sembra non poter più contare sul suo alfiere finlandese, in particolare da quando Mercedes ha annunciato Russell come suo sostituto. La vittoria in Turchia, infatti, è arrivata al netto delle strategie di squadra. Perché quando è chiamato ad aiutare Hamilton, Bottas sembra non avere più né la velocità nè lo spirito di sacrificio sempre mostrati.
Al contrario, Verstappen sta trovando in Sergio Perez un alleato velocissimo, con il quale – grazie anche ad un muretto tatticamente ineccepibile – alternare delle strategie utili a mettere continuamente in difficoltà Mercedes, come si è visto a larghi tratti in America.
Anche questo aspetto gioca fortemente a favore di Verstappen. Peraltro, ora si va in Messico, a casa di Perez: difficile pensare che all’ “Hermanos Rodriguez” possa fare una gara sottotono.