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La Formula Uno, per antonomasia, è lo sport dove la somma di più fattori porta al risultato finale. Uno degli elementi principali, senza dubbio, è costituito dall’evoluzione degli studi aerodinamici effettuati dagli ingegneri di ogni team.

Oggi, infatti, andremo a conoscere i principi di base dell’aerodinamica della Formula Uno e come questa si sia evoluta negli anni.

Che cos’è l’aerodinamica?

Anzitutto, una premessa. Perché va detto che l’aerodinamica è la scienza che studia la dinamica dell’aria, per comprenderne meglio valori ad essa connessa, come moto, attriti e resistenze.

Lo studio dell’aria in Formula Uno risulta assolutamente necessario e imprescindibile, dato il condizionamento che questa applica sui mezzi in movimento, influenzandone inevitabilmente la velocità.

Va da sé, quindi, che gli studi aerodinamici siano stati sin dai primi anni delle competizioni motoristiche una delle scienze di maggiore importanza, cresciuti di pari passo con l’avanzamento tecnologico effettuato dalle scuderie e dalle crescite esponenziali della potenza dei motori.

Senza parlare, poi (specialmente negli ultimi anni) dell’elemento di vitale importanza costituito dal grip del pneumatico sull’asfalto, influenzato appunto dalle masse d’aria volutamente convogliate verso il basso. L’aria sugli pneumatici, infatti, genera un peso ma senza aumento della massa, il che aumenta la velocità di percorrenza delle curve.

La deportanza in Formula Uno

Uno dei termini che sovente sentiamo abbinare all’aerodinamica della Formula Uno è “deportanza”.

Si, perché se prendiamo in considerazione l’ala anteriore delle monoposto, scopriremo come la forma di quella parte della vettura non sia casuale: infatti, l’alettone anteriore ha il compito di deviare la massa d’aria delle vetture verso l’alto, generando una forza proporzionale all’aria spostata, che però spinge verso il basso, generando maggior grip degli pneumatici e conseguentemente maggior aderenza.

Che cos’è il drag? E che cos’è la “zona DRS” ?

“Zona DRS”: abbiamo imparato, negli ultimi anni, a sentire commentatori entusiasti da zone di tracciati in cui vi sia l’utilizzo di questo artifizio aerodinamico.

Il DRS, infatti, sta per Drag Reduction System, dove “Drag” sta letteralmente per “resistenza all’avanzamento”. È facile pensare come, infatti, più una vettura corra in avanti, più l’aria con cui si scontra generi una resistenza e ne limiti lo sprigionamento della potenza: è una delle leggi basilari della fisica.

Per combattere il Drag, negli ultimi anni, è stato appunto introdotto il DRS, ovvero una parte di alettone apribile sull’ala posteriore delle vetture, costruito al fine di ridurre la deportanza, ovvero la resistenza sopra citata.

Questo effetto riduce significativamente la resistenza dell’aria, generando maggiore velocità e grandi possibilità di sorpassi.

L’aerodinamica nella storia della Formula Uno

Negli anni, abbiamo assistito (e tutt’ora assistiamo) a restyling continui nell’estetica della carrozzeria delle vetture di Formula Uno. Questo perché ogni anno vengono effettuate scoperte aerodinamiche utili all’ottimizzazione delle performance dei motori.

Negli anni 50′, la F1 (in un periodo di ovvie limitazioni tecniche rispetto ad oggi) soffriva l’handicap delle ruote scoperte, che all’epoca rappresentavano un problema aerodinamico. Per ovviare a tale limite, gli ingegneri dell’epoca pensarono di stilizzare tutte le vetture a mò di “goccia”, con le vetture tutte bombate al fine di limitare le turbolenze.

Negli anni 60′, un primo effetto concreto fu la progettazione di macchine lunghe, con la preparazione di macchine “a sigaro” per ottimizzare l’aerodinamica; ma a cavallo tra i ’60 e i ’70 appaiono le prime ali, ovvero quelle appendici che avrebbero rivoluzionato gli studi ingegneristici.

Già all’epoca il pilota poteva agire con una leva per inclinarle autonomamente e migliorare la frenata in curva, grazie all’aumento dell’aderenza.

Tuttavia, la scarsa tecnologia e sicurezza dell’epoca generò anche gravi incidenti legati alle ali mobili, così la federazione impose ali fisse.

Negli anni 70‘, sono arrivate svariate nuove idee aerodinamiche, come l’aumento delle dimensioni delle ruote, l’introduzione del cosiddetto “air scoop”, ovvero quella presa d’aria anteriore utile all’ alimentazione del motore, e lo spostamento sulle fiancate dei radiatori. Vi erano grandi differenze tra una vettura e l’altra, a palesare il periodo di grande transizione di quegli anni.  

È stata la Lotus, in quegli anni, la capostipite di una serie di introduzioni aerodinamiche che avrebbero fatto scuola nei decenni a venire.

Anche se la ricerca di artifizi per schiacciare la macchina al suolo era esasperata, e mai come in questo periodo le macchine risultavano veramente difficili da guidare: motivo per il quale emergevano più di altri talenti assoluti come Gilles Villeneuve, uno dei pochi a mettere un talento in pista superiore alle logiche della fisica.

Le macchine erano difficilmente controllabili, spesso era difficile correggere un errore di guida, il controsterzo stava sparendo (Gilles Villeneuve era un’eccezione, che però conferma la regola).

Gli anni 80’ sono stati caratterizzati da un ritorno delle appendici alari e da un conferimento al pilota di maggiore guidabilità, dato che le vetture avevano raggiunto anche i 1400 cavalli di potenza.

La ricerca, in questi anni, è concentrata nella ricerca della defluizione dell’aria nel modo meno turbolento possibile.

Negli anni 90′, poi, arriva la significativa innovazione del muso alto, che permette un maggiore afflusso di aria nel fondo scocca. Fu la Benetton, nel 1995, a fare scuola in questo senso, prima che nel 1998 la McLaren sperimentasse il muso “semi-basso”.

Da quel momento gli studi aerodinamici si concentrano su particolarità come sospensioni , deviatori i flusso e paratie degli alettoni: ci si sposta dalla pista alla galleria del vento, sintomo del fatto che l’aerodinamica continua ad essere una scienza in evoluzione.

Negli anni 2000, e sino ad oggi vi è uno studio continuo di piccoli effetti che possano fare la differenza, come i già citati deviatori di flusso e ali che garantiscano il sostegno del carico deportante, al fine di ottenere una maggiore sicurezza, oltre ad un effetto aerodinamico favorevole.

Cambiano materiali e metodi di studio, basti pensare a Mercedes e Red Bull che hanno destinato allo studio dell’aria un’intera sezione di ingegneri, con i deviatori posti alle uscite dei radiatori che generano una corretta canalizzazione dell’aria. Molti componenti, poi, sono realizzati in fibra di carbonio, molto meno resistente all’aria rispetto ai metalli usati in precedenza.

La gara contro l’aria non si ferma mai: vedremo nei prossimi anni quali metodi le scuderie introdurranno.