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Dall’inizio del lockdown ad oggi, l’industria globale dei videogiochi non ha mai smesso di crescere.

Secondo i dati di Klecha & Co., investement bank paneuropea indipendente e specializzata sul tech, il settore del videogame in tutte le sue varie forme e prodotti oggi vale 336 miliardi di dollari. Nell’ultimo anno pre-Covid, cioè nel 2019, il fatturato complessivo era stato di 219 miliardi. Nei quattro anni successivi il settore è quindi cresciuto del 50% e si stima che la crescita continuerà con un tasso del 9,2% a valore almeno fino al 2027, quando il business videoludico potrebbe arrivare a 552 miliardi di dollari. (fonte ilsole24ore.com)

Volendo fare il paragone con il cinema, un settore per certi aspetti affine, la distanza è abissale: nel 2022, i ricavi dell’industria cinematografica mondiale si sono fermati a quota 68 miliardi di dollari.

I mercati più importanti per i videogame sono naturalmente quelli del Far East, ma ancora di più quello nordamericano. Quest’ultimo non tanto per il numero di giocatori (solo il 7% a livello global), quanto piuttosto per la spesa (26%, primo posto), una parte della quale è legata agli investimenti portati avanti dalle startup.

Il dato non sorprende, perché gli USA sono all’avanguardia quando si tratta di creare opportunità per le aziende in fase di sviluppo, se ci sono buone idee. Un po’ meno altri Paesi; tra questi va purtroppo annoverato anche il nostro.

In Italia, il giro d’affari dell’industria videoludica è stato di 2,2 miliardi alla fine del 2022 (fonte IIDEA). Un dato accettabile, soprattutto perché registra solo un -0,5% di fatturato in un periodo economico difficile per il Belpaese, ma che di fatto è costituto per la maggior parte dal segmento software (81,5%). Se invece si parla di videogiochi sviluppati, l’Italia ha ancora molto terreno da recuperare.

E’ quello che è emerso durante il Press start to play, evento dedicato al mondo videoludico all’interno del Trieste Science + Fiction Festival (27/10-01/11/2023). Il dibattito ha visto la partecipazione di varie figure, la maggior parte in rappresentanza di piccole/medie realtà indie attive nella creazione di videogame. Inoltre, hanno preso parte all’incontro anche esponenti dell’industria del cinema italiano, a creare uno spazio ampio di comunicazione tra settori diversi dell’intrattenimento.

A designare il quadro generale della situazione italiana è stato però Davide Mancini, Developer Relations Manager di IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association). Il portavoce dell’associazione di categoria ha subito chiarito che il nostro Paese si trova in un momento chiave per quanto riguarda l’industria del videogioco.

Da un lato, ci sono alcuni elementi positivi da non sottovalutare. Innanzitutto, l’Italia che produce videogame regge. Anzi, cresce se si guardano i dati di fine 2022. Il fatturato indica un +30%, mentre il numero delle persone impiegate nel settore è aumentato del 50%. Quest’ultima crescita rappresenta un dato particolarmente interessante, perché si tratta per la maggior parte di aziende che da piccole (4-5 persone) sono passate a medie (10+). Il problema è che il 40% dei 150 milioni di euro di fatturato – cifra ancora modesta per un Paese come l’Italia – lo fanno poche grandi aziende, quali Milestone, Kunos Simulazioni, 34BigThings etc.. Per tutte le altre si tratta ancora di “navigare a vista” e di sperare i prodotti finiscano nel mirino di qualche grosso publisher internazionale.

A vantaggio dell’Italia, secondo Davide Mancini, c’è però una situazione congiunturale potenzialmente favorevole.

Innanzitutto, l’industria dei videogame ha ampi margini di crescita e questo significa costi di produzione ancora abbordabili, a fronte di una grande creatività che va oltre i classici e consolidati videogame di motor racing (Assetto Corsa, Valentino Rossi The Game e via dicendo). E poi la guerra in Ucraina sta creando difficoltà agli studios indipendenti dell’area ex-Unione Sovietica, motivo per cui tanti publisher adesso tornano a cercare idee e prodotti a Ovest.

Lo dimostrano gli ottimi risultati ottenuti dagli eventi fieristici dedicati ai videogame in Italia. Parliamo della Milan Games Week ma soprattutto del First Playable, vero e proprio punto d’incontro tra publisher internazionali, fondi di investimento e sviluppatori italiani. Il First Playbale di Pisa è stato un grande successo, a dimostrazione che esiste un interesse per le aziende italiane che operano nel settore dei videogame.

Le quali, a loro volta, sono sempre più presenti anche nelle convention estere, investendo di tasca propria cifre spesso consistenti. Ma le spese, i costi sono il primo di una serie di problemi che limitano la crescita dell’industria videoludica in Italia.

Lo hanno detto in coro in vari sviluppatori presenti in sala: i soldi che lo Stato destina all’industria italiana dei videogame sono ancora pochi. Ad oggi ci sono ancora 12 milioni di euro a disposizione del settore, per un totale di 21 milioni erogati nel post-pandemia. Il cinema ne ha a disposizione 60.

Questi fondi sono nella forma del Tax Credit, cioè la possibilità di accedere a un credito fiscale pari al 25% dei costi di produzione per singolo prodotto, con un tetto massimo erogabile all’azienda di un milione di euro. In mezzo c’è però tanta burocrazia e soprattutto la difficoltà per gli studios più piccoli di accedere al Tax Credit, perché il più delle volte un semplice prototipo non viene coperto dai fondi statali. Questo si trasforma in un loop negativo, perché il Tax Credit finisce per favorire soprattutto le aziende già consolidate.

Infine, nel dibattito finale è emerso un ulteriore problema, quello delle scuole specializzanti. In Italia ce ne sono poche (una, la Event Horizon School, era rappresentata a Trieste dal Project Manager Fabio Cristi, ex Milestone e Digital Bros) e gli studios faticano a trovare giovani qualificati. Quando poi succede che i talenti migliori vanno all’estero perché la paga più alta, il quadro del problema è completo.

Scarsità di fondi, burocrazia e fuga di cervelli: anche l’industria dei videogame, nonostante abbia come riferimento un mercato globale, non è immune alle difficoltà tipiche del nostro Paese.

Ci sono soluzioni? E ancora, i videogame italiani sono realmente appetibili all’estero? Sono interrogativi ai quali cercheremo di dare una risposta prossimamente, nell’intervista esclusiva con Davide Mancini.