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È da poco stata annunciata la data di lancio di God of War Ragnarök, il sequel di quel God of War del 2018 che i fan chiamano anche God of War 4 e che ha spostato le avventure di Kratos dall’antica Grecia del Monte Olimpo alla Scandinavia mitologica.

Il 9 novembre di quest’anno il titolo uscirà sia per PlayStation 4 che 5. Rumors di settore dicono inoltre che proprio oggi, venerdì 15 luglio, lo sviluppatore potrebbe regalare una sbirciatina al gameplay, in occasione del via libera ai preordini. Più avanti potrebbe esserci un ulteriore aggiornamento (visivo) sul gioco e su The Last of Us Parte 1. (fonte www.everyeye.it)

Staremo a vedere. Nel frattempo facciamo brevemente il punto su cosa hanno rappresentato e come sono stati accolti i capitoli precedenti.

God of War (2005). Credits Santa Monica Studio/Sony

LA PRIMA ESALOGIA

Il primo capitolo della saga, God of War (2005, PlayStation 2) arriva sugli scaffali dei negozi in modo abbastanza silenzioso, con un artwork di copertina degno di un B-movie ma con un’accoglienza – della critica prima e poi del pubblico poi – praticamente da dieci su dieci.

È un gioco in terza persona con telecamera in prospettiva fissa, un hack and slash non tecnico o complesso ma così ricco, potente e spettacolare da togliere il fiato. La trama ci porta a vestire i panni di Kratos che, da generale spartano al servizio forzato di Ares, si trova a vestire egli stesso i panni di Dio della Guerra.

God of War 2 (2007, PlayStation 2) trasforma un’opera autoconclusiva in una serie. Si tratta di un sequel semplice ma efficace. Da un lato il titolo ricalca gli elementi di quello precedente ma rendendo tutto “più grosso”, arrabbiato e violento; dall’altro la scrittura e i dettagli di lore sono più preziosi, inseriti in un’atmosfera epica e molto teatrale. A livello di narrazione, continua la vendetta di Kratos ai danni degli Dei Greci, che lo porterà in God of War 3 (2010, Playstation 3) a sterminarli tutti e distruggere il Monte Olimpo. Fine della storia.

God of War: Chains of Olympus (2008, PlayStation Portable), God of War: Ghost of Sparta (2010, PlayStation Portable) e God of War Ascension (2013, PlayStation 3) infatti sono tutti capitoli prequel che aggiungono dettagli ad una narrazione già conclusa.

God of War (2018). Credits Gamosaurus

GOD OF WAR IL REBOOT SEQUEL

God of War (2018, PlayStation 4) solleva inizialmente alcuni dubbi, sia nei trailer, sia nelle fasi di early game. Prima la telecamera dietro la spalla e un combat system che appare privato della sua natura, poi la calma e la pacatezza con cui il titolo muove i primi passi, fanno erroneamente pensare che del God of War originale sia rimasto poco.

A gioco finito, e a distanza di 4 anni, sappiamo bene che non è stato così. God of War edizione 2018 è infatti un titolo maturo, che si prende il suo tempo per presentare il nuovo mondo in cui agisce un Kratos più vecchio. Al tempo stesso, non gli manca l’epicità e la potenza dei titoli precedenti.

Per quanto riguarda il gameplay, la visuale in terza persona permette agli sviluppatori di creare un combat system moderno, dotato di personalità propria e le cui influenze saranno riscontrabili in titoli successivi. I combattimenti – con armi vecchie e nuove – presentano sia sfide 1 vs 1 che contro nemici numerosi, ma il tutto in chiave più tecnica. La open map e gli skill tree non trasformano il gioco in un classico gdr open world. Le side quest sono davvero pochissime ma scritte con immensa cura e dedizione. L’alberatura delle abilità non permette di creare vere e proprie build, ma semplicemente di scegliere quale mossa sbloccare per prima potenziando una determinata arma.

Dal punto di vista visivo, il titolo è ancora oggi assolutamente apprezzabile. Il merito è soprattutto dell’art direction e della grafica che regala magnifiche animazioni facciali ai personaggi. C’è però una cosa che va rimarcata, perché potrebbe interessare non solo gli appassionati di videogiochi. God of War reboot è un lunghissimo piano sequenza che inizia già nel menù principale e finisce solo con i titoli di coda. La camera è quasi sempre vicina ai personaggi, all’altezza del loro punto di vista. I movimenti di macchina sono pacati e l’inquadratura ruota solo nel momento esatto in cui sarà necessario mostrare i volti. Non è un vezzo tecnico: è una regia semplice ma eccezionalmente curata e adatta a raccontare un videogioco, che mantiene il giocatore sempre coinvolto e vicino ai personaggi.

Per quanto riguarda la trama, questo titolo esplora e reinterpreta la mitologia norrena. Kratos, infatti, rifugiatosi a Nord in compagnia del figlio, dovrà portare le ceneri della moglie defunta a Jötunheim, la terra dei giganti. Durante questo viaggio i due incontreranno e si scontreranno con diverse divinità scandinave. Il finale rivela che il Fimbulvinter, l’inverno lungo tre estati che anticipa il Ragnarök (l’apocalisse norrena), è appena cominciato.

VERSO IL RAGNAROK

Se a qualcuno i trailer di God of War Ragnarök suggeriscono che il gioco sarà molto simile al capitolo precedente, non si tratta di una sensazione errata. D’altronde, la saga è stata “appena” rinnovata da cima a fondo pur in chiave crossgen. Ma l’amore e la cura che sono stati riposti in God of War (2018) a livello di scrittura e di programmazione, fanno sperare in un altro titolo di spessore, che difficilmente deluderà le aspettative.

Per esserne sicuri, però, bisogna attendere il 9 novembre di quest’anno.

Si ringrazia Nicola Benetton per la consulenza tecnica

Immagine di testa God of War Ragnarök (credits POPSPACE.IT)