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Il fascino di storie di sessant’anni fa. E un pizzico di nostalgia, certo per chi le ha vissute, curioso per chi non ha potuto. Il calcio sempre lì, a fare da sfondo a un periodo particolare, fatto di boom ma anche di paura, fatto di limiti e prontamente tutti superati. Dove una notizia che oggi troverebbe lo spazio di 24 ore su un portale, ieri diventava l’oggetto del racconto di tutti. O almeno di una buona fetta di appassionati. Ecco: ricordate le figurine? Non gli sticker degli ultimi anni, ma quelle da collezione.

Quelle dalla foto seria, maglia messa a posto, colletto stirato ed espressione mai divertita, ma quasi sempre seria – guai a sorridere, alle volte. Erano – e sono state, e forse sono ancora – l’oggetto dei desideri di tantissimi bambini. Dagli anni Cinquanta in poi, il collezionismo sfrenato ha accompagnato tutti, chi più e chi meno.

E ci si divideva così: chi era in grado di finire la collezione, chi mollava dopo un po’. Prendiamo i primi: quante volte hanno avuto a che fare con un cimelio introvabile? Volpi e Poggi tra le più famose di sempre. Ma il loro “antenato”, in un certo senso, fu Pierluigi Pizzaballa. Più che discreto portiere, storia incredibile, passato alla leggenda come mito della domenica. Il motivo? Del suo volto, così poche tracce.

Un fenomeno di cultura di massa

Prima di fare un passo indietro, uno avanti ai giorni nostri: sapete quanto vale nelle aste online una figurina di Pizzaballa del 1963-1964, in maglia Atalanta?

C’è chi è arrivato anche a 800 euro, c’è chi ha ben passato quelle cifre e si è spinto oltre i 1000 euro. Insomma: c’è chi è disposto a spendere tanto per un oggetto certamente da collezione, ma non di un portiere storico e dalla traiettoria di carriera superlativa. Sì, perché Pizzaballa è stato un pezzo importante del calcio italiano: ha giocato alla Roma, nel (Fatal) Verona, tre anni al Milan e altri quattro – dopo i primi otto – all’Atalanta, squadra della sua Bergamo.

Ha vinto anche due Coppe Italia: la prima con la Dea nel 1962-1963, un trionfo. E poi il Premio Combi, destinato al miglior portiere nel 1965. Ha trovato una presenza e fortuna persino in Nazionale: era il periodo di Albertosi e di spazio proprio non ce n’era, ma nel secondo tempo di Italia-Austria, in quel 18 giugno del 1966, vestì la maglia azzurra per la prima e l’unica volta. Fu anche convocato per i Mondiali d’Inghilterra, come terzo portiere.

Non scese in campo, ma dava sicurezza e faceva gruppo. “Il calcio è un gioco di emozioni. Non ho mai pensato alla porta come un a posto di lavoro”, ha raccontato in una bellissima intervista. Quel suo non prendersi sul serio, misto al culto del lavoro e ai tratti bergamaschi, lo rendevano efficace e affidabile. Il massimo per un estremo difensore.

Ma come era nato questo fenomeno, poi tramandato per generazioni?

Pizzaballa non era un nome altisonante – un giornalista gli disse addirittura di cambiare nome, di cercarne uno d’arte, che quei suoi colleghi più forti avevano tutti cognomi più corti e quindi più facili da ricordare. “Perché dovevo cambiare? E poi come si faceva? Ce n’erano di portieri con i nomi lunghi. Uno si chiamava Liberalato e giocava nel Milan. Poi Anzolin, Albertosi non erano corti”, si difese Pizzaballa.

Erano gli anni di Sarti e Vieri, del primo Zoff e chiaramente di Albertosi. Ma anche di Pier Luigi, ben più di una figurina.

Svelato l’arcano

Per quanto importante, il nome di Pizzaballa non sembrava però poter essere alla base di una strategia di vendita di Panini. Semplicemente, doveva esserci un’altra motivazione: perché c’erano così poche figurine? Perché proprio non si riusciva a trovare, dal nord al sud, da est a ovest, in un’Italia che aveva il calcio come motore sentimentale delle proprie giornate?

Ecco: a svelare l’arcano ci pensò lo stesso Pizzaballa, il rarissimo cimelio, l’introvabile, il prezioso obiettivo di migliaia e migliaia di ragazzini.

Estate 1963: Pier Luigi era in un periodo complicato, si era appena fratturato il gomito e non poteva scendere ad allenarsi, e chissà quando sarebbe tornato a giocare.

Nel ritiro dell’Atalanta, arriva il fotografo della Panini: uno dopo l’altro, tutti i calciatori si lasciano immortalare per finire sull’album così prestigioso. Ma Pizzaballa era a casa, non era stato avvertito e quindi non raggiunse i compagni. Alla fine, il fotografo lasciò perdere e salutò tutti. “Se ne faranno una ragione”, pensò, immaginando le pagine della Dea senza il primo portiere.

Ecco: l’album uscì comunque e solo qualche mese dopo Panini dovette rimediare, riportando qualcuno solo per fotografare il portiere.

Morale della favola: quel ragazzo, cresciuto da papà fornaio e da mamma casalinga, otto fratelli, ex commesso di una drogheria, divenne l’oggetto dei desideri di tantissime persone.

E solo dopo mesi, iniziarono a uscire le poche figurine dell’introvabile. Finalmente con un volto. Per sempre con alone di mistero alle spalle, che ancora oggi alimenta il mito.