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Se negli ultimi anni il calcio femminile ha visto una vera e propria esplosione di popolarità e partecipazione, la storia di questa disciplina ha origini lontane.

Un percorso quanto mai travagliato e difficile, ricco di ostacoli e muri di preconcetti da abbattere, in Italia come nel resto del mondo, che sembra però aver trovato il giusto lieto fine.

La nascita del calcio femminile

L’inizio del secolo scorso non era certo un tempo in cui le donne potessero facilmente prendersi il giusto spazio, nemmeno in ambito sportivo. Il calcio poi era considerato lo sport “maschio” per antonomasia e nell’Inghilterra patria del pallone, il calcio femminile non era minimamente contemplato.

Almeno fino all’arrivo della prima guerra mondiale, momento in cui per ovvie ragioni terre e fabbriche si svuotarono di tutti gli uomini abili, lasciando così una piccola finestra di possibilità per le donne rimaste a casa, che dovettero non solo farsi carico della famiglia ma anche sostituirli nel lavoro e nello sport.

Proprio in quegli anni, era il 1916, alla “Dick, Kerr & Co. Factory” di Preston, nacque quella che è a tutti gli effetti la prima squadra di calcio femminile al mondo, soprannominata le “Signore del Kerr” proprio in virtù della fabbrica di provenienza.

Per tutta la durata della guerra quelle pioniere diedero vita a interessanti e combattutissime partite (generalmente tra fabbriche diverse), sia nel resto del paese che in alcune esibizioni internazionali. Una fonte di ispirazione che diede in qualche modo vita a un primo cambiamento radicale, frenato al cessare della guerra da provvedimenti che ne bandivano ogni possibilità, ma utile comunque come primo esempio da portare avanti non appena ce ne fosse stata la possibilità.

La situazione dell’Italia

In Italia il primo segnale ufficiale per il calcio femminile arrivò soltanto nel 1933, quando venne creato il “Gruppo Femminile Calcistico” in quel di Milano. Un tentativo però bloccato sul nascere dalla politica di quegli anni, decisamente restia a vedere donne in sottana sui campi da calcio.

Bisognerà aspettare quindi fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, per vedere un secondo approccio alla disciplina. Siamo infatti nel 1946, quando a Trieste vennero formate ben due squadre femminili (la Triestina e la San Giusto), che per qualche giocarono qualche partita in giro per lo stivale. Lo scopo era anche in quel caso più politico che sportivo (si cercava di ri-portare in auge un sentimento patriottico verso Trieste, allora nelle mani inglesi e americane), ma servì in ogni caso a dare il via a nuove possibilità.

Come quella portata avanti dalla baronessa Angela Attini di Torralbo, che intorno al 1950 creò la prima Associazione Italiana Calcio Femminile in quel di Napoli, capace per tutto il decennio di dare una spinta decisiva a quello che sarebbe stato poi il futuro di questa disciplina.

Quel Bologna vs Inter al femminile

Nel 1964 il calcio italiano diede vita a quello che è a tutt’oggi il primo e unico spareggio scudetto del campionato di Serie A, disputato tra il Bologna e l’Inter (con la vittoria dei felsinei).

Un momento epico per lo sport italiano che non a caso ha catalizzato a tal punto l’attenzione di tutti, tanto da essere preso come scusante per un’iniziativa che si rivelò poi decisiva per lo sviluppo del calcio femminile.

L’anno seguente infatti, siamo nel 1965, Valeria Rocchi (calciatrice) con il supporto dell’allora presidente dell’Inter Angelo Moratti, decide di organizzare una ri-evocazione al femminile di quello spareggio.

Le squadre di Inter e Bologna a dire la verità, erano composte entrambe da studentesse milanesi (compagne e amiche della figlia di Valeria), ma l’eco mediatico della partita andò oltre ogni previsione, tanto da consentirne un’ulteriore replica in toni ancora più ufficiali e con ancora più seguito.

Alle cronache il risultato sportivo, con il Bologna che vince la prima partita e l’Inter che ribalta il tutto nella seconda, ma più di tutto a contare è proprio l’effetto positivo di questi incontri, capaci di scatenare un seguito non solo di pubblico e di sostenitori, ma anche un numero spropositato di richieste di partecipazione che portarono alla creazione di diverse squadre in tutta la penisola.

Il primo campionato italiano

Ed ecco allora che da lì a qualche anno, nel 1968 nasce la Federazione Italiana Calcio Femminile, che riesce subito a mettere in scena il primo campionato italiano ufficiale. Due gironi da cinque squadre ciascuno (Real Torino, Genova, Ambrosiana, Pro Loco Travo, Viareggio, Roma, Cagliari, Fiorentina, Napoli e Lazio) che portarono a Genova il primo scudetto ufficiale.

Ma non solo, perchè contemporaneamente venne portato avanti anche un campionato parallelo di alcune società che non avevano aderito alla F.I.C.F. preferendo rimanere sotto la U.I.S.P. e giocare a parte. Altre cinque squadre (Bologna, Inter Vimodrone, Juventus, Parma e Abano) che videro i felsinei aggiudicarsi il torneo.

Insomma un principio un po’ confusionario che però fece capire quanto fosse ampio l’interesse in merito e quante le possibilità di portare avanti al meglio una serie di campionati tutti al femminile.

L’ingresso nella F.G.I.C.

Anni in cui si susseguono le nuove associazioni e le rispettive adesioni, che portano nel 1972 al primo campionato unificato e poi nel 1974 alla prima effettiva Serie A del calcio femminile (sotto la denominazione della Federazione Italiana Giuoco Calcio Femminile).

Dodici squadre con due retrocessioni (anche se la situazione precaria di diverse società vedeva spesso la riammissione di almeno una delle due), che vennero portate a 16 nel 1986 con la definitiva adesione alla F.I.G.C. e l’inizio di quella che possiamo definire la prima era calcio femminile.

Le realtà locali del calcio femminile

Tra gli anni ottanta e novanta il calcio italiano ha vissuto un momento magico, protratto poi fino all’inizio degli anni duemila. La Serie A era davvero il campionato più bello del mondo, dove i migliori campioni venivano a giocare e i club italiani vincevano fior di trofei in tutta Europa.

Nel corrispettivo femminile invece, a farla da padrona erano quasi sempre le singole realtà locali, che di volta in volta riuscivano a spingere al meglio la disciplina e creare un gruppo vincente che a sua volta faceva da traino per il settore.

Gli investimenti del resto non erano ancora molto alti, per cui con i giusti imprenditori e tanta passione si poteva creare una squadra competitiva ai massimi livelli. Che è quello che successe per esempio a Trani a inizio anni ottanta, quando i marmifici della zona fecero da base per costruire una squadra vincente dove spiccavano nomi eccellenti come quello di Carolina Morace. Di lì a qualche anno infatti arrivò il primo scudetto, dei tre consecutivi dal 1984 al 1986.

Discorso simile per la Reggiana Refrattari Zambelli, che proprio grazie agli investimenti dell’industriale Renzo Zambelli riuscì a conquistare per ben tre volte lo scudetto nei primi anni novanta.

Ma come detto più di tutto contava riuscire a promuovere il movimento di calcio femminile nelle varie cittadine, così da poter contare sempre su un bacino di nuove atlete e del seguito del pubblico.

Successe a Sassari per esempio, con la Torres capace di portarsi a casa tre campionati tra il 1994 e il 2001, per poi dominare ripetutamente con altre quattro vittorie dal 2010 al 2013 (salvo poi sparire per problemi economici e ricominciare dalle serie minori).

Ma anche a Verona, con diverse società capaci di aggiudicarsi lo scudetto (prima il Verona Gunther nel 1996, poi la doppia vittoria del Foroni Verona e la tripla consecutiva del Bardolino Verona tra il 2006 e il 2009) a dimostrazione di un ricco movimento di base.

Questo almeno, prima della vera e propria esplosione di questi ultimi anni.

Il calcio femminile moderno

Trani, Giugliano, Reggio Emilia, Torres, Modena, Monza, Lecce, Brescia. Il calcio femminile sembrava aver vissuto in provincia per quasi tutta la sua vita (fatta ovviamente eccezione per le vittorie di Milan e Lazio, rimaste quasi sempre sulla cresta dell’onda, ma spinte anche in quei casi più da singoli imprenditori che da un movimento diffuso).

Di fatto, lo sport del pallone al femminile era relegato a spazi e considerazioni di secondo (o terzo) piano, lontano dal grande pubblico così come dai grandi investimenti e tanto meno da un riconoscimento definitivo di qualità. E questo malgrado la nazionale italiana fosse comunque riuscita a ottenere un ruolo di prestigio nel panorama internazionale, grazie a prestazioni di rilievo (seconde agli Europei nel 1993 e nel 1997 tra le altre cose) e alla visibilità di una Carolina Morace, a lungo paladina del movimento tanto da essere la prima donna in Europa ad allenare anche una squadra maschile professionista.

Poi però qualcosa è cambiato. E paradossalmente proprio nel momento di massimo splendore della disciplina. Gli ultimi due campionati del Mondo vinti dagli USA hanno dato la spinta definitiva al movimento, che gode oggi di un seguito in costante aumento e una considerazione rilevante al punto che anche in Italia è stato finalmente riconosciuto il “professionismo” al femminile in campo calcistico (in vigore dal primo lugliuo 2022).

Una rinnovata esposizione che ha portato nuovi investimenti e l’entrata in gioco dei “top club” italiani, in primis la Juventus che più di ogni altra negli ultimi anni ha messo insieme un gruppo di grande qualità pescando il meglio delle nostre ragazze ma anche qualche fuoriclasse europea.

L’esito è che dal 2017 a oggi ha vinto ininterrottamente il campionato di Serie A, trainando però anche altri competitor come Milan, Fiorentina, Roma, Inter, Sassuolo, Napoli, Sampdoria e Lazio (tutte nell’ultimo campionato di Serie A) a doversi rafforzare per poter competere.

Insomma la strada per la parificazione forse sarà ancora lunga, ma quella per lo spettacolo e della qualità, è già cominciata da tempo.