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Il 4 dicembre del 2011 muore Socrates, il Dottore del calcio mondiale. Riduttivo ai limiti del ridicolo, come ogni altro nome che si presti al titolo di “etichetta”, dottore non specifica affatto, né dà un’idea anche vaga, di chi e che cosa sia Socrates. Sul chi, la risposta è piuttosto facile: nato a Belém nell’anno 1954, Socrates nel ’76 inscrive il proprio nome quale capocannoniere del Campeonato Paulistao (quello che si gioca tra i club più forti e prestigiosi di San Paolo), con la maglia del Botafogo-SP. Nel ’77 si laurea in medicina – all’età di 23 anni.

Socrates, leader di una democrazia

Abbiamo appena detto qualche cosa sul chi della persona Socrates, che vediamo affacciarsi impellente il che cosa. Qui le cose si fanno assai più complesse. Partiamo dalla data con cui abbiamo aperto il pezzo. 4 dicembre 2011. Il Corinthians affronta il Palmeiras – sua storica rivale, tra l’altro – in una partita che può voler dire titolo. In mattinata si è spento Socrates, bandiera del Corinthians, capitano del Brasile più forte di ogni tempo (quello del Mundial ’82 di Spagna dove è l’Italia ad eliminarla) e leader, soprattutto, della celebre quanto troppo poco spesso chiacchierata democrazia corinthiana.

Ci interessa relativamente osservare che la vittoria del Corinthians, in quel grigio e piovoso pomeriggio di dicembre, faccia il paio con le dichiarazioni – profetiche – che nel 1983 Socrates gettava nelle mani della storia: «Vorrei morire il giorno in cui il Corinthians vincerà il campionato». Ci interessa fino a un certo punto, dicevamo, perché all’agiografia Socrates – nomen omen – avrebbe volentieri preferito il discorso politico.

Durante il minuto di silenzio di quel 4 dicembre 2011, qualcosa di incredibile ed irripetibile accade sulle tribune gremite del Pacaembu. I giocatori del Corinthians alzano il pugno destro al cielo, arrivano a frantumare le nuvole e, come riflettendo un fulmine rimbalzato su uno specchio, squarciano il firmamento per raggiungere il Dottore. Insieme agli 11 pugni dei giocatori in campo, ci sono quelli della panchina corinthiana e, udite udite, quelli degli oltre 40.000 spettatori, in un mix di lacrime e sudore, calcio e politica, passione e dolore, che commemorano come meglio non si potrebbe l’ultima parola di Socrates, quella che viene dalla storia.

Le origini della Democrazia Corinthiana

La dittatura brasiliana inizia nel 1964. Socrates ha appena 10 anni, e alcuna competenza politica. Ma ha un ricordo vivido come una rivoluzione silenziosa. Il padre, lettore accanito, preleva alcuni libri dalla propria libreria, li porta all’aperto e li brucia collettivamente, alimentando, oltre al caldo tipico di quelle regioni sudamericane, anche i dubbi del piccolo Socrates.

Il padre, ai propri figli, non nasconde nulla. La dittatura è reale e alcuni libri sono proibiti. A raggiungere le fiamme dell’eternità sono le pagine di autori come Marx, Gramsci, presumibilmente. Quando, tanti anni più là, Socrates si trasferisce alla Fiorentina (1984), stupisce cronisti, giornalisti e compagni di squadra: il suo italiano è perfettamente chiaro. Gli chiedono come abbia fatto ad impararlo tanto velocemente. Tanto Gramsci, dice lui.

Dei sei fratelli con cui condivide le mura di Belém, due portano il nome della classicità proprio come “Socrate(s)”: Sofocle e Sostene. Non si tratta di due nomi casuali. Proprio come il nome di Socrates, anche Sofocle e Sostene richiamano un clima culturale, e nello specifico quello dell’antica Grecia, di chiaro stampo democratico o, poiché è difficile parlare di reale democrazia per l’antica Grecia, quantomeno di ideale democratico. Dei sette figli, però, solo uno sarà realmente in grado di cambiare la storia. Il suo nome è Socrates.

In un clima dittatoriale che ha ridotto i brasiliani a pedine di un gioco che non sono loro a giocare, nasce la democrazia corinthiana. Tutto inizia quando il Corinthians, e siamo all’inizio degli anni ’80, cambia il proprio presidente, votato all’unanime nel nome di Waldemar Pires. La scelta dei soci – come altre società brasiliane, anche il Corinthians regola le proprie leggi e i propri membri interni per elezione democratica – cade su un personaggio che, nelle intenzioni di tutti, e in un momento storico molto delicato per il paese, sappia davvero parlare al popolo, attraverso la sua voce.

Waldemar Pires ha un’intuizione geniale. Dopo essersi consultato con altri membri del club, decide di chiamare un sociologo che, dopo aver incontrato i giocatori, permetterà loro di cambiare le regole dello spogliatoio. Come? Attraverso una democrazia.

Socrates e compagni, soprattutto Zè Mario e Casagrande, non potrebbero che essere più d’accordo con questa idea (davvero rivoluzionaria). Le cose, d’ora in avanti, stanno così: ogni decisione societaria, ogni aspetto, più o meno tecnico, del club, ivi compresi orari degli allenamenti, decisioni sugli acquisti, sul prezzo dei biglietti, etc., dovrà essere democraticamente vagliato non solo dai membri più “alti” – visto che non esistono questo è già un ossimoro – del club, ma da tutti i suoi componenti, soprattutto i giocatori.

Gli effetti della Democrazia Corinthiana

Socrates ha sempre visto il calcio come una grande macchina autoritaria, all’interno della quale i giocatori sono come schiavi dell’enorme giro di interessi e denaro che su di loro – e sulla di loro ignoranza – si regge. Il calciatore, insomma, non deve pensare, deve solo giocare. Come mai, però, il regime non fa nulla per fermare Socrates e compagni? Semplice: il Corinthians è una squadra troppo forte per essere oscurata. Vincerà il campionato nel 1982 – tra l’altro contro la squadra della medio-alta borghesia, il San Paolo – come nel 1983. C’è dell’altro. Socrates, oltre ad esserne il capitano, è anche capitano della Selecao, della Nazionale Brasiliana. Non può essere oscurato, non può essere eliminato.

Le riunioni a cui prendono parte i giocatori del Corinthians nel proprio spogliatoio sono qualcosa di molto più pericoloso e grande di una semplice chiacchierata tra calciatori. Non si parla mai di tattica, di calcio e di campo. Nelle lunghe discussioni, di anche sette o otto ore consecutive, si progetta qualcosa di impensabile, di inaudito. Si progetta la rivoluzione, per scacciare la dittatura e restaurare la democrazia.

All’esterno, la gente inizia a seguire il Corinthians più per la sua impronta sociale e politica che non per le faccende di campo – le quali però si badi bene sono cruciali ai fini dell’attenzione mediatica. Ignacio Lula Da Silva, futuro presidente e amico di Socrates, chiacchiera spesso col fuoriclasse brasiliano. Qualcosa di grande sta per accadere, e qualcosa di grandioso infatti accade.

Il 16 aprile del 1984 un milione e mezzo di brasiliani sfilano per le strade di San Paolo chiedendo a gran voce l’elezione diretta, in quella che rimane tutt’oggi la più grande manifestazione della storia del Brasile. Socrates, prendendo la parola come un Lenin qualunque, ma senza la veemenza della rivoluzione, piuttosto si direbbe con la clemenza del saggio ateniese, dichiara:

«Se questo decreto non passerà, lascerò il Paese».

Socrates, 16 Aprile 1984

Il decreto non passa, e Socrates, scegliendo sconfortato, sconfitto, una delle tante destinazioni che quella dichiarazione aveva aiutato ad incrementare nel numero, vola a Firenze per giocare nel campionato più bello del mondo, dove rimane fino al termine del 1985 e dove, anziché essere accolto a braccia aperte, incontrerà molte inimicizie, molte bagarre – dovute senza dubbio alla radicalità del personaggio, che però troverà un grande amico in Antognoni, il capitano viola.

Socrates tornerà in Brasile dove finirà la propria carriera lontano dal Corinthians, la cui democrazia si era nel frattempo dispersa e frantumata. Flamengo e Santos, la squadra per la quale tifava fin da ragazzino, lo accoglieranno a braccia aperte. In attesa dell’anno luminoso, il 1989, quello in cui Socrates si ritira e insieme la democrazia torna in Brasile. Come se la dittatura, che ha tormentato dall’inizio alla fine la carriera di questo straordinario intellettuale del pallone, avesse voluto arrendersi solo al ritiro del proprio grande nemico. Di lui Pelé, dirà, a livello tecnico: «Il giocatore più intelligente nella storia del calcio brasiliano». Poteva spingersi più in là, O Rey. Perché Socrates non è solo calcio.