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Carlo Pellegatti, storico giornalista del pianeta Milan, non ebbe dubbi: per Redondo il soprannome sarà “Rodolfo Valentino”. Il primo divo del cinema muto era l’esatto esempio per comprendere il centrocampista argentino. Bello e passionale, elegante ed efficace, grazioso nelle giocate e regista di una qualità infinita. Redondo non ha bisogno di tante altre presentazioni: chi lo ha visto giocare soprattutto con il Real Madrid, sa bene di che pasta era il sudamericano.

Eppure la sua avventura al Milan sarà piena di rimpianti, infortuni e troppi mesi passati ai box in attesa di una condizione accettabile. Un colpo basso per il Diavolo e un dispiacere per i tifosi rossoneri che non lo hai hanno mai visto al top della sua forza. Appena 21 giorni dopo il suo acquisto, Fernando Redondo si farà male sui campi di Milanello, rientrando in rosa soltanto due anni e mezzo dopo. Una sfortuna dietro l’altra, come non si era mai vista.

Da Madrid a Milano

Fernando Redondo viene acquistato dal Milan, l’estate successiva al centenario del club. La Lazio ha appena tolto dal petto del Diavolo lo scudetto, superando in extremis la Juventus fermata dal Perugia e dalla pioggia del Curi. Il club meneghino ha chiuso al terzo posto da campione uscente, ma il distacco dalla vetta è troppo eccessivo secondo la dirigenza rossonera. Berlusconi apre il portafoglio e Galliani fa all-in su Redondo. Il centrocampista classe 1969 è un vecchio pallino del “Condor” e dopo diversi anni corona il sogno. L’1 agosto del 2000 l’argentino è ufficialmente un giocatore del Milan.

Costato 35 miliardi e nonostante i 31 anni, li vale tutti quei soldi. Il tifo rossonero si scalda all’improvviso. Redondo è stato protagonista della grande cavalcata del Real Madrid poche settimane prima, verso la conquista dell’ottava Champions League della storia della “Casa Blanca”. In finale, il Real distrugge i connazionali del Valencia di Cuper per 3-0. Redondo è uno dei perni di quel Real e si rende protagonista nei quarti di finale di una giocata epica ad Old Trafford contro il Manchester United. Una giocata che vale la standing ovation di tutto lo stadio.

L’Argentino però a fine stagione paga la rivoluzione del neo presidente Florentino Perez e viene ceduto a sorpresa. Il Milan lo accoglie a braccia aperte, con capitan Maldini e il fido Costacurta a fare gli onori di casa. Spetterà a loro aiutare nell’ambientamento il giocatore argentino, le cui qualità non si discutono. Insomma, l’ennesimo colpo della ditta “Berlusconi-Galliani-Braida” infiamma l’estate la prima estate del nuovo millennio.

Maledetta buca

Fernando Redondo si cala subito alla perfezione nella mentalità del club. Non fosse altro, perché è reduce da una serie di stagioni con un altro club vincente come il Real Madrid. Ma nonostante le buone intenzione, la sorte ci si mette di mezzo il 21 agosto. Sul prato di Milanello la truppa di Zaccheroni si sta allenando in vista dell’imminente inizio del campionato, quando l’argentino mette male il piede su una buca e si accascia dolorante. Tutti pensano alla classica slogatura della caviglia.

E invece l’esito della radiografia non ammette appelli. Rottura del crociato anteriore. Significa almeno sei mesi di stop che incredibilmente si trasformano in due anni e mezzo di calvario. Si avete letto bene. Soltanto 30 mesi dopo, Fernando Redondo riuscirà a debuttare in maglia rossonera. Una prima operazione non andata a buon fine, una seconda operazione con qualche complicazione, una riabilitazione che assomiglia alla “Via Crucis” e infine la luce in fondo al tunnel. Quasi alla soglia dei 34 anni l’argentino può fare il suo debutto con il Milan. In tanti avrebbero gettato la spugna. Lui no, perché come il vero Rodolfo Valentino, è un passionale e ribelle allo stesso tempo.

Amato nei club, osteggiato in Patria

Per capire bene il personaggio e la figura di Fernando Redondo, bisogna fare un salto temporale fino al 1990. Il centrocampista ha soli 21 anni, ma è già nel giro della nazionale. Con la sua qualità ha incantato Maradona, il quale obbliga Biliardo a convocarlo per il Mondiale italiano. Ma a Italia ’90, Redondo non ci sarà. Per lui lo studio e la scuola vengono prima e così, vuol terminare gli studi in Economia e Commercio all’Università. Ci sono delle priorità nella vita rispetto al calcio: l’università è una di queste.

La scelta fa imbestialire Maradona che per molti anni non rivolgerà nemmeno la parola a Fernando, mentre tutta la nazione prende male la sua decisione di saltare il Mondiale. Un affronto troppo grande. Redondo ci sarà nella spedizione americana di 4 anni dopo ad USA ’94, risultando uno dei migliori in campo. Salterà invece il Mondiale del 1998 al termine di una lite con il CT Passerella. L’ex difensore di Fiorentina ed Inter ha stilato un codice etico per coloro che spiccheranno il volo verso la Francia nel giugno del 1998.

Fra le varie regole, Passerella, da buon sergente di un’epoca che non esiste più, impone il taglio dei capelli a coloro che solitamente hanno una chioma lunga. I capelli lunghi sono una delle tante mode dei ruggenti anni ’90 e nella nazionale argentina sono tanti i giocatori che portano i capelli lunghi. Redondo non ci sta e contesta la norma del suo CT. I due arrivano allo scontro e il buon Fernando si rifiuta di prendere parte al Mondiale in terra transalpina.

Se già prima non era amatissimo in Patria, figuratevi a ridosso di quel Mondiale come poteva essere alta la tensione fra lui e i tifosi della nazionale. Uno strappo irrecuperabile. Eppure, nonostante l’animo ribelle, Fernando Redondo è un ragazzo dal cuore d’oro. Molto attivo nella benficienza, tanto da creare fondazioni per aiutare bambini e famiglie in difficoltà. Ma il gesto più clamoroso lo compie durante la convalescenza al Milan. Un giorno si presenta nell’ufficio di Galliani e dice:

«Dottore, io non so quando potrò tornare a giocare. Ma lo farò prima o poi. Però vorrei che fino al mio debutto, bloccasse lo stipendio mensile che mi spetta. Non sono soldi che mi merito stando fermo

Redondo verso Galliani

Mai prima di allora un giocatore aveva mai fatto una cosa del genere. Galliani rimase sbalordito davanti alla richiesta dell’argentino. Lo accontentò solo in parte, visto che una norma della lega proibisce ai giocatori di giocare a gratis. Lo metteranno al minimo salariale previsto dai regolamenti: in lire era di 1.500.000. Dopo questo gesto così incredibile, il popolo rossonero lo ama ancor di più e lo aspetta a gloria nella scala del calcio.

La fine di un calvario

Fernando Redondo nei 2 anni e mezzo di infortunio non si perde mai d’animo e il 7 dicembre 2002, Carlo Ancelotti al minuto 84 di Milan – Roma lo lancia nella mischia. Al momento dell’ingresso in campo, i 90 mila di San Siro (compresi i tifosi giallorossi) regalano una standing ovation da brividi al centrocampista argentino. Un boato di applausi concessi in passato a stelle del calibro di Rivera, Van Basten, Gullit, Baresi e ai due Maldini. Come Rodolfo Valentino si prende la scena da divo.

Il calvario è alle spalle, anche se serve tempo per vederlo giocare con disinvoltura in campo. Giocherà in Champions contro il suo Vecchio Real (vittoria per 1-0), nella sconfitta indolore contro il Celta Vigo e aiuterà il Milan ad acciuffare la qualificazione nei quarti di finale contro l’Ajax. Tre giorni dopo la vittoria della Champions League contro la Juventus, Carlo Ancelotti lo mette in campo nella finale di ritorno di Coppa Italia ancora contro la Roma. Prestazione altisonante per l’argentino e Coppa in bacheca per il Diavolo.

Nella stagione seguente alternerà presenze a panchine. Alla soglia dei 35 anni e con due anni di inattività forzata, Redondo non può sempre essere in campo. Nonostante questo fa parte della squadra che conquista lo scudetto e saluta a fine stagione il Diavolo, così come il calcio giocato. La sua ultima gara coincide anche con l’addio al calcio di Roberto Baggio: a San Siro va in scena Milan – Baggio, l’ultima passerella del Divin Codino nella festa scudetto dei rossoneri.

Così con gli occhi puntati sul fenomeno di Caldogno, Fernando Redondo, saluta il suo pubblico quasi in silenzioso rispetto. In punta di piedi, come aveva fatto il grande Rodolfo Valentino.