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C’era moltissima curiosità su questo primo mondiale invernale, che ha devastato le abitudini un po’ imbolsite – e ingolfate da un numero inaccettabilmente alto di partite ogni anno, in buona parte brutte – del nostro calendario calcistico stagionale. La risposta è stata netta, e per certi versi fornisce già una chiave di lettura possibile a tutte le altre domande che sto per pormi in questo articolo.

Qatar 2022, un esperimento riuscito

La risposta è stata che sì, sospendere la routine dei campionati per due mesi è qualcosa che non si era mai visto, ma non è poi la fine del mondo. Soprattutto se, come si è poi visto, ciò permette di dar vita a una edizione della Coppa del Mondo in cui i giocatori non sono mediamente sfiniti o fradici come in genere capita nella calendarizzazione classica. Un torneo breve come un mondiale o europeo necessita sempre di una buona dose di aleatorietà, perché dire culo potrebbe sembrare irrispettoso. Nel caso di Qatar 2022 abbiamo avuto globalmente le più meritevoli arrivate in semifinale, e la mancanza di alcune delle più attese (Spagna, Germania, in parte Inghilterra) è molto più dovuto a peccati propri che a mera sfortuna.

Dunque, nonostante i mille rivoli di criticità, da quelle vere (le mazzette, i diritti umani violati) a quelle presunte (i campionati nazionali falsati per piegarsi alle logiche dei potenti etc etc), abbiamo appena assistito a un mondiale che è stato forse il miglior surrogato possibile del panorama tecnico offerto oggi dal pianeta-calcio. Ma la domanda seguente è: a Qatar 2022 si è visto anche qualcosa di nuovo?

Abbandonare una volta per tutte i cliché, anche nel calcio

La risposta sintetica sarebbe NO, ma siamo qui proprio per rifletterci su, insieme. E a ben vedere, c’è un messaggio di fondo che rimane il medesimo: abbandonare i cliché, liberarsi dei luoghi comuni. Eravamo inclini a condannare a priori il mondiale, qualcuno persino aveva suggerito la necessità di boicottarlo, ma tutto va visto coi propri occhi e valutato con la propria sensibilità.

L’allergia ai luoghi comuni è dunque una buona chiave di lettura per guardarsi indietro e capire che tipo di spettacolo ci ha offerto il calcio, in questa occasione. Le 64 partite di Qatar 2022 ci hanno restituito un calcio che non ha inventato nulla di particolare, ma nella sua continua evoluzione riporta periodicamente alla luce alcuni aspetti, mandandone in soffitta altri. L’aspetto più importante nel calcio non è mai stato quello di inventare, ma di saper copiare. O meglio, in genere vince chi meglio adatta moduli e idee alle caratteristiche dei propri giocatori, anche se sono idee e moduli altrui. Al contrario, chi si lascia irretire dai dogmi, ne pagherà probabilmente dolorose conseguenze.

Il possesso palla ossessivo è trapassato

Per esempio, avevamo intuito un po’ tutti che una insistita e marcata tendenza al mantenimento del possesso della palla, senza che questa sia accompagnata da una adeguata ricerca di avanzamento fisico della sfera stessa, possibilmente verso la porta avversaria, avesse fatto il suo tempo. Il fracaso della Spagna a Qatar 2022 ha cementato questa sensazione, che però deve portare solo a condannare l’eccesso e non il principio. In fin dei conti, le squadre giunte almeno ai quarti di finale avevano quasi tutte un possesso uguale o superiore al 60%. Solo il Marocco ha una percentuale di possesso nettamente più bassa (37%), ma ciò non significa affatto rinunciare a giocare, come forse qualcuno potrebbe erroneamente pensare.

Polonia vs Marocco: due modi diversi di essere passivi

Ciò che conta è l’atteggiamento, unito alle caratteristiche della rosa e alla loro giusta motivazione. In tal senso vale la pena fare un confronto tra due squadre che lasciano il predominio del possesso agli avversari, ma con modalità e risultati che non potrebbero essere più differenti: Polonia e Marocco.

Il CT polacco Michniewicz è forse quello uscito peggio dai mondiali, proprio perché l’impostazione della sua squadra è apparsa non adeguata ai tempi. La Polonia ha fatto muro, ma impostando un baricentro troppo basso che ha isolato il suo unico fuoriclasse, lasciato al proprio destino, e incoraggiato avversarie più forti e propositive all’assalto. Probabilmente, non fosse stato per il miracoloso Szczęsny, non avrebbero nemmeno superato il girone.

Dall’altra parte c’è il Marocco di Regragui, che ha fermato la Spagna pur lasciandole il 77% di possesso palla. Questo è accaduto perché il CT nordafricano ha impostato linee di difesa e centrocampo meravigliosamente strette e coordinate tra loro, ma senza arretrare troppo. Il lavoro di aggressione e paziente cucitura del gioco di Amrabat e compagni non serviva solo a distruggere il gioco avversario, perché l’uscita del Marocco con la palla era un vero spettacolo. Per certi versi (pur trattandosi di epoche e squadre non troppo paragonabili) l’avanzata dei marocchini una volta riconquistata palla, ricordava quella del primo Vicenza di Guidolin. Poi certo, se avessero avuto anche qualcuno con una discreta capacità di buttarla dentro, staremmo forse parlando di un altro finale.

Parola d’ordine: verticalità

La vera carta vincente di questo mondiale è sembrata il ritorno a un calcio più verticale, che non si rifugia troppo nell’ingannevole certezza di uno sterile mantenimento del pallone, ma cerca sempre di trasformarlo in un’occasione di far male agli avversari. Forse non è un caso che Argentina e Francia siano le squadre che sono più ricorse ai cosiddetti “direct attacks” nel corso del mondiale, ovvero di azioni in cui più del 50% dei passaggi avviene in avanti.

Il centravanti esiste ancora

Con l’eliminazione della Spagna e della Germania, si è fatto un gran casino sulla morte del cosiddetto falso nueve. Ma è davvero così? Alla fine stiamo parlando di due nazionali di grande tradizione, che nelle loro ultime versioni hanno ripetutamente rinunciato alla figura del centravanti classico, preferendo appunto giocatori con caratteristiche più “moderniste”. Asensio e Ferran Torres per la Spagna, Havertz e il vecchio Müller per la Germania. I problemi nascono quando subentra l’esigenze di occupare l’area, perché si è in svantaggio o perché un match non si sblocca. Rinunciare ai finalizzatori puri toglie efficacia percentuale agli attacchi e – dall’altra parte – esalta lavoro e umore delle difese avversarie.

Ma il nueve dell’Argentina è vero o falso?

Ma quindi ha vinto il centravanti classico? Guardando la formazione dell’Argentina nelle ultime partite, si vede che la posizione teorica di centrattacco è stata occupata da Julian Alvarez. Un metro e 70 per scarsi 70kg, non certo uno di quelli che si immaginano fare a sportellate con la difesa avversaria, ma non si può negare che il 22enne del Manchester City sia un attaccante vero. Intelligente, abile nel fraseggio e negli assist, capace di scambiarsi posizione con compagni di reparto divini come Messi e Di Maria, ma soprattutto che sa essere letale uomo d’area. Si torna al punto di prima, ovvero di trovare il modo più adatto per fare rendere al meglio le caratteristiche dei calciatori che si hanno.

I nuovi (e rari) centravanti

Il problema del centravanti è semmai che è diventato una specie di panda. Se si eccettuano l’eterno, meraviglioso ma ormai logoro Giroud e il prode Harry Kane, che però nell’ultima Inghilterra è sembrato più un regista offensivo alla Dzeko che il letale finalizzatore che conosciamo, l’unica novità in tal senso di Qatar 2022 è stata Gonçalo Ramos. Proprio lui, l’erede-usurpatore di Cristiano Ronaldo, autore di una tripletta all’esordio da titolare in un mondiale. Il 21enne del Benfica ha tutto – fisico, buoni fondamentali, fiuto del gol – per diventare uno dei centravanti di riferimento dei prossimi anni. Ma è una mosca bianca.

Vlahovic praticamente non si è visto (e la pubalgia non è certo un alibi, semmai una reale preoccupazione per la Juve), Richarlison non è proprio una vera prima punta anche se può adattarsi, Fullkrug lo è eccome, ma con un margini di miglioramento che sembrano risicati. E poi sì, c’è anche il coreano Cho Gue-Sung che ha fatto intravedere bei movimenti, ma andrebbe rivalutato in un contesto più competitivo rispetto alla K League.

Addio lancio lungo?

Direttamente collegato ad alcuni dei temi che abbiamo trattato, c’è quello di un classicone di un certo football tutto lotta e gomiti alti. Parliamo del lancio lungo, che in questo momento storico sembra opzione tattica estremamente marginale. Il tema è ovviamente legato anche alla presenza di un punto di riferimento forte davanti, ma non solo. L’evoluzione che la famigerata “costruzione del basso” ha portato anche a chi non la persegue è un apprezzamento della manovra che tenga il più possibile la palla a terra. Così, se si eccettuano situazioni particolari (come gli assalti finali di squadre in svantaggio), sempre meno squadre ricorrono alla palla lunga.

Non sorprende dunque leggere che l’Argentina campione è stata anche la squadra con il minor numero di passaggi lunghi completati a partita (17,6). Per contro, le nazionali che più ne hanno fatto uso sono state tra le più deludenti delle 32 presenti alla fase finale di Qatar 2022: la Danimarca (70 passaggi lunghi tentati a partita) e il Galles (69).

Più dribbling, grazie

Un ultimo aspetto va sottolineato, ed è molto importante se è vero che la spettacolarità del calcio è la migliore garanzia per la sua sopravvivenza e la sua longevità. Ok, abbiamo ancora davanti agli occhi una finale spettacolare come forse non se ne sono mai viste, ma sarebbe ingannevole prenderla a manifesto tecnico del mondiale. C’erano due dei migliori giocatori della storia uno di fronte all’altro. Di più, c’erano due squadre che hanno accettato consapevolmente di allungarsi non nei minuti conclusivi, ma già fin dal primo tempo. E si sa, con le squadre lunghe gli allenatori rischiano gli infarti ma sono le situazioni in cui è più facile che nascano errori e prodezze: in una parola, spettacolo.

Però la verità è che il mondiale di Qatar 2022 ha confermato una tendenza preoccupante nel calcio: non si salta più l’uomo. E non lo dice uno affetto da inguaribile nostalgismo, ma i crudi numeri. A Russia 2018, erano 11 su 32 le squadre con più di 10 dribbling riusciti a partita. A Qatar 2022 sono state solo 2, e per giunta eliminate nella fase a gironi: Germania e Canada, in buona parte per merito di Jamal Musiala, Alphonso Davies e Tajon Buchanan. Se rivogliamo un football più divertente, occorre ripristinare una sana propensione al rischio, ma soprattutto tornare a lavorare tanto sulla tecnica fin dalle scuole calcio.