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Lasciando da parte le polemiche sull’organizzione, sulle leggi locali, sulle interferenze del governo qatariota nella politica europea, sulle modalità dell’assegnazione della Coppa del Mondo al Qatar, dal punto di vista sportivo il Mondiale 2022 ci ha regalato uno spettacolo incredibile, al punto che è stato veramente difficile stilare un 11 dei giocatori flop della kermesse.

Ci siamo concentrati maggiormente sui giocatori da cui ci si aspettava qualcosa di più conoscendoli meglio per via della loro militanza in Italia o nei maggiori campionati europei, anche se in genere chi ha fallito ha fallito da squadra e le responsabilità dei singoli sono passate in secondo piano.

Ecco quindi quella dopo attenta analisi che abbiamo identificato come la flop 11 del Mondiale 2022.

La flop 11 del Mondiale di Qatar 2022

La flop 11 del Mondiale di Qatar 2022
La flop 11 del Mondiale di Qatar 2022

Al Sheeb (Qatar)

Pronti, via e la partita inaugurale si trasforma da festa ad incubo per il Qatar. Nessuno si aspettava miracoli dalla nazionale padrona di casa ma le papere di Al Sheeb hanno subito gettato il Qatar in uno stato di insicurezza e paura che ne ha segnato il resto del torneo. Saad Al Sheeb, che vantava il titolo di miglior portiere nella vittoriosa Coppa d’Asia del 2019, si è poi accomodato in panchina per le successive due partite, ma ormai il danno era fatto e il Qatar è crollato sotto la pressione.

Denzel Dumfries (Olanda)

Una prestazione superlativa contro gli Stati Uniti a fronte di altre quattro partite gravemente insufficienti. Tutta l’Olanda non ha certo brillato e se non fosse stato per i lampi di Cody Gakpo difficilmente avrebbe superato la fase a gironi, ma proprio da un giocatore come Dumfries ci si aspettava molto di più. In avanti è spesso impreciso ma soprattutto in copertura ha collezionato figuracce, anche contro giocatori modesti come quelli del Qatar. Nella partita più importante, contro l’Argentina, provoca il rigore del momentaneo 2-0 albiceleste e riesce a farsi espellere durante i calci di rigore per comportamento antisportivo.

Nikola Milenkovic (Serbia)

Parte bene con un primo tempo contro il Brasile di buon livello, ma naufraga nella ripresa quando i verdeoro aumentano i ritmi. Contro il Camerun è disastroso: causa due gol degli africani sbagliando clamorosamente la linea del fuorigioco ed è costantemente fuori tempo. Contro la Svizzera è sempre incerto e chiude con una rissa con Xhaka.

Fabian Schar (Svizzera)

Gioca contro la Serbia una partita attenta ma sempre abbastanza in affanno, per poi essere completamente travolto dalla coppia Joao Felix-Gonçalo Ramos contro il Portogallo. In confusione totale, incapace di contenere fisicamente i due portoghesi e di leggerne in anticipo le intenzioni, dura solo un tempo prima di abbandonare il campo per problemi fisici.

Joakim Maehle (Danimarca)

Il terzino dell’Atalanta ha sulla coscienza il gol che sancisce la sconfitta contro l’Australia, nell’unica gara che fino a quel momento aveva giocato a buon livello. La Danimarca in toto è stata una grande delusione del Mondiale, ma Maehle in particolare è stato protagonista in negativo sia per quanto riguarda i buchi difensivi che le occasioni sciupate. Il suo momento migliore è stato un salvataggio involontario contro la Francia sulla conclusione di Tchouameni.

Matías Vecino (Uruguay)

Corre tanto ma produce poco, pochissimo nei primi due deludenti match dell’Uruguay. In fase offensiva è clamorosamente impreciso, in mezzo al campo recupera palloni ma poi non sa bene come gestirli. Si riprende un po’ nell’inutile vittoria contro il Ghana, quando comunque era partito dalla panchina e ha giocato solo per l’infortunio di Bentancur.

Ilkay Gundogan (Germania)

Inizia benissimo il Mondiale, giocando in maniera quasi impeccabile contro il Giappone e segnando anche dal dischetto. Quando esce la Germania crolla e viene sconfitta. Ci si aspetterebbe che nei successivi match decisivi prenda in mano la squadra legando centrocampo e attacco come fa nel Manchester City, ma invece sia contro la Spagna che contro il Costa Rica gioca in maniera scolastica e non accende mai la luce. La Germania ha avuto mille altri problemi, vero, ma lui non aveva nessuna soluzione.

Aaron Ramsey (Galles)

Un tempo con la maglia del Galles si rigenerava, invece in questo Mondiale Ramsey è stato un vero e proprio fantasma. Invisibile nella sconfitta contro l’Iran, impalpabile nel pareggio contro gli Stati Uniti, giusto nel primo tempo contro l’Inghilterra ha dato qualche segno di vita. Non ci si aspettava chissà che dal Galles, ma che quantomeno le sue stelle facessero atto di presenza.

Kevin De Bruyne (Belgio)

Il Belgio è stata forse la delusione più grossa del Mondiale, sia per i risultati che per il gioco espresso, e uno dei motivi principali è stato il rendimento decisamente al di sotto degli standard di uno dei migliori assist-man del mondo. Spento, non produce verticalizzazioni o suggerimenti per i compagni. A questo si uniscono dichiarazioni assolutamente disarmanti sul valore della squadra e dei compagni e l’idea che il primo a non crederci fosse proprio lui.

Romelu Lukaku (Belgio)

Gioca pochissimo e in condizioni fisiche a dir poco approssimative, ma gli errori nel finale contro la Croazia che condannano il Belgio sono talmente grossolani da risultare quasi comici. Risente non solo dei malanni del suo fisico, ma anche di quelli di uno spogliatoio spaccato e di un gruppo ormai stanco e disilluso dalle troppe mancate vittorie. 

Cristiano Ronaldo (Portogallo)

Va bene l’essere entrato nella storia per essere andato a segno in 5 mondiali differenti, ma le note positive di Cristiano Ronaldo si fermano qui. Impalpabile in campo quando ha giocato, fastidioso e dannoso per la squadra quando è stato escluso, chiude probabilmente la sua carriera ad alti livelli in maniera ignobile.

Mette chiaramente sé stesso davanti alla squadra, cosa ancor più imperdonabile a 37 anni e con la fascia di capitano al braccio. Il fastidio che provoca nei compagni di squadra è quasi tangibile, e stride ancor di più vedendo le immagini dell’eterno rivale Messi circondato dall’amore degli argentini.

CT: Luis Enrique (Spagna)

La Spagna non ha mai giocato male, figuriamoci, ma una squadra di calcio deve fare gol e il compito di un allenatore è anche quello di disporla in campo affinché raggiunga lo scopo. Insistere sull’assenza di un centravanti di ruolo quando Morata è stato l’uomo che ha portato la Spagna agli ottavi e l’incapacità di cambiare modo di giocare nel momento in cui serviva fare gol sono stati dei limiti palesi della squadra che probabilmente dal punto di vista tecnico era la migliore presente in Qatar.