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Nel definire la legge (il Logos) che regola il divenire delle cose, Eraclito utilizza un termine decisivo: polemos (il bellum latino, il nostro conflitto).

La guerra, spiega il pensatore efesino, « di tutte le cose è padre e di tutte il re, e gli uni rivela dèi, gli altri uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi » (frammento 33). Guerra è però una traduzione fuorviante: Eraclito intende il conflitto insito alla natura delle cose. Si nasce, ma nella nascita c’è già la morte. Dal seme che muore in terra, si genera molto frutto.

Gli opposti costituiscono l’essenza delle cose. Di tutte le cose, anche di quelle più “effimere”.

Tifo, passione e logiche di mercato

Prendete la Premier League: l’unico campionato che – allo scoccare dei suoi primi 30 anni di vita – può fregiarsi del titolo di più bello del mondo (ciò che eravamo noi).

Quello dove giocano i calciatori più forti, dove allenano i più bravi allenatori del mondo. Quello, soprattutto, dove l’esperienza football – che qui ha avuto la sua genesi tanti e tanti anni fa – è ancora un’esperienza collettiva, culturale, un fatto più quotidiano che unico.

In Inghilterra si nasce, si cresce e si gioca a calcio. Soprattutto, però, fin da piccoli, ci si abitua ad un’idea che dalle nostre parti pare quasi sovversiva: il calcio è quello che si vede dal vivo, non dalla tv.

Paradossalmente, ma è un paradosso solo apparente, in Inghilterra è presente al contempo la più alta percentuale di tifosi allo stadio e la più remunerativa ricompensa derivante dai diritti tv per i club.

Il motivo? Stadi all’avanguardia, che trasudano calcio e che del calcio – dalla televisione – fanno innamorare. Eppure, ed ecco il polemos eracliteo presente in tutte le cose, anche la Premier – o meglio i suoi tifosi – ha i suoi lati più oscuri.

L’aumento del prezzo dei biglietti dalla scorsa all’attuale stagione ne è un esempio crudo e incontrovertibile.

Prendete i tifosi del Crystal Palace, tra i più attivi a livello di tifoseria organizzata in Inghilterra, che hanno scritto recentemente in uno striscione apparso a Selhurst Park: « If you saw the game through our eyes, all tickets would be subsidised twenty’s plenty ». O quelli del Liverpool, che sono passati dall’esporre l’emblematico striscione « football without fans is nothing » ad esporre « supporters not costumers ».

I costi degli abbonamenti

Alcuni dati emersi da un’indagine di Bloomberg ci aiutano a fare chiarezza sul tema. Prima però è necessario tenere presente un altro dato, che dall’ottima analisi di cui sopra non emerge in quanto non questionato: la percentuale di proprietà straniere in Inghilterra.

Dei 20 club di massima serie, solo 6 hanno una proprietà interamente britannica (contando Farshad Moshiri, iraniano proprietario dell’Everton che ha acquisito la cittadinanza britannica). Un dato che, rispetto ai numeri che stiamo per mostrarvi, non è indifferente: quasi tutte le proprietà straniere ragionano infatti con canoni esterni alla cultura del luogo, ivi compresi i prezzi dei biglietti.

Oltre la metà delle società inglesi (11 su 20) di Premier ha alzato il prezzo degli abbonamenti rispetto alla stagione passata. Gli esempi meno virtuosi in questo senso sono quelli di Arsenal e Tottenham, due delle sei squadre londinesi presenti in Premier League.

La proprietà Gunners ha fissato il costo minimo dell’abbonamento a 1080 € (2133 per il settore più costoso dello stadio). Sono numeri altissimi, ma non diversi da quelli che nel nostro campionato vedono protagonista uno dei tre club (oltre a Udinese e Sassuolo) con lo stadio di proprietà (la Juventus, che dal modello anglo-americano di sport ha preso molto se non tutto negli ultimi anni, dal rebranding alla gestione aziendale): per vedere la Vecchia Signora tutta la stagione in Tribuna Est Centrale primo anello si dovranno sborsare 2460/2560 €.

Nel caso del Tottenham l’aumento rispetto all’anno precedente è stato più contenuto (41 € in più nel caso dell’Arsenal, in media): l’aumento minimo costa 940 €, 14 € in meno rispetto all’ultima edizione precedente la pandemia (19/20). Attenzione, però: il prezzo per l’abbonamento più costoso nel più moderno impianto della Premier League (nonché l’ultimo in ordine di tempo) arriva a toccare i 2350 € (117 euro a partita, in media).

Il calcio a Londra, insomma, in attesa di vedere i prezzi degli abbonamenti del Chelsea, costa parecchio. Almeno per i big club. A Manchester e Liverpool va diversamente, con le due società che hanno mantenuto inalterati i prezzi rispetto alla stagione 19/20, con il costo minimo di un abbonamento a 620 €. Nel caso dello United, verrebbe da fare una battuta, è forse già troppo. Ma al di là degli scherzi, è lodevole la policy dei due storici e rivali club della Premier.

Sempre a Manchester, sponda blues, emerge la bontà degli emiri, che chiedono appena 404 € per un abbonamento nell’area più economica dell’Etihad. Il Southampton, addirittura, ha tagliato di 164 € il precedente abbonamento arrivando a quota 465 €. L’abbonamento più economico di tutta la Premier appartiene però al West Ham United, 345 €.

Ad alta quota, oltre alle già citate, il Fulham (altra squadra di Londra) che chiede fino a 1231 euro per il posto migliore dello stadio (un gioiellino che ha sfidato e vinto l’usura del tempo, il Craven Cottage). Meno cari il Nottingham e il Brentford, che per i posti più costosi chiedono 633 € e 585 € rispettivamente.

Un gioco globale

Tutto quello che abbiamo detto va considerato in un quadro di riassestamento del sistema calcio inglese dopo il terremoto portato dalla pandemia – che ha tolto quasi tre miliardi di euro ai club e alla lega. Lodevole, in questo senso, la decisione presa all’unanimità dalle società di Premier di piazzare un tetto massimo di 30 sterline per i sostenitori ospiti.

Dinamiche, queste, che tengono ancora distante – per quanto similare sotto altri mille aspetti – la Premier dall’NBA. Ciò che accomuna le due leghe è invece la questione legata ai diritti tv e al marketing, come detto in apertura.

La qualità si paga, e si paga bene. Dalla cessione dei diritti tv sono entrati quasi sei miliardi di euro per i prossimi sei anni. Cifre monstre che fanno il paio col report Money Football League pubblicato a febbraio da Deloitte, nel quale sono apparsi dieci club di Premier nelle prime 20 posizioni dei club che producono più ricavi al mondo.

Dove? Soprattutto in America e ad Oriente, con Singapore in testa. Insomma, se al momento i tifosi inglesi possono respirare, non è detto che potranno farlo tra cinque anni.

Molto dipenderà dal post-pandemia. Tutto dalla volontà dei club di non disperdere un patrimonio culturale e sociale, ciò che rende agli occhi del mondo la Premier il campionato più bello.