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C’erano una volta, Chiesa e Massimiliano Allegri. E no, non parliamo di una partita della Juventus, di questa stagione, di ciò che sarà. Semplicemente di Enrico e Max, ai tempi di quando erano calciatori estremamente talentuosi, cioè ai tempi degli anni Novanta.

E ai tempi di Sampdoria (per Chiesa) e Pescara (per Allegri), che insieme non hanno mai giocato e che invece contro l’hanno fatto parecchie volte. Soprattutto una loro gara è passata alla storia: stadio Marassi, SampdoriaPescara del 1993. Precisamente, 9 maggio.

Una giornata come un’altra, il titolo già finito tra le mani del Milan di Capello – per la seconda volta consecutiva – e le due squadre che si giocavano tre punti di cui importava il giusto. Del resto, la Samp stava provando a rinascere dopo le ceneri dello scudetto e della finale di Wembley, ma anche dall’addio di Luca Vialli, che aveva lasciato orfano e solitario Roberto Mancini, unico dieci a trascinare una squadra ancora forte, però ferita e disillusa.

C’era Sven Goran Eriksson sulla panchina blucerchiata: vuole portare i suoi almeno in Coppa Uefa, ma è parecchio complicata.

Una partita storica

Insomma: le premesse per vedere qualcosa d’importante c’erano tutte. Per assistere una gara storica, no, non esattamente almeno. La Samp di Mancini scende in campo e fa subito la partita. Passaggi, impostazione, pressione: sembra quella delle grandi notti, la vittoria non può sfuggire. Nove minuti dal calcio d’inizio e proprio Bobby-gol insacca senza patemi. 1-0 per i liguri, che subito si attivano per arrotondare il risultato, per non lasciare nulla d’intentato.

Pian piano, nei pressi della porta difesa da Pagliuca, si annidano però sempre più insetti. Nel turbinio della partita, il portiere non le nota: è concentrato, farebbe passare tutto ma non di certo l’attenzione sulla gara.

Anche per questo, quando Allegri scarica un piattone al volo nel sette, scatenando un piccolo vortice giallo, Pagliuca quasi non ci fa caso. Pensa sia semplicemente qualcosa di passaggio, comunque ininfluente. Soprattutto davanti alla delusione della rete appena incassata.

Così va avanti per tutto il primo tempo: la Samp attacca, Pagliuca è fuori dai pali, il ronzio è un rumore di sottofondo nel calore dello stadio, da cui piovono cori, critiche, applausi, espressioni tipiche.

Al fischio dell’arbitro, tutti velocemente negli spogliatoi. Si riprenderà dopo quindici minuti. Oppure no.

Chiamare i rinforzi

No, non subito almeno. Perché stavolta Pagliuca ha visto tutto, e in realtà ha pure realizzato: si tratta di api.

L’ha capito in un istante, dopo essersi toccato la nuca e sentito finalmente il ronzio. Inizia subito a sbracciarsi e a chiamare l’attenzione del fischietto di gara, il signor Bolognino.

Che valuta, capisce e intima a Pagliuca di fermarsi: con i guanti, il portiere cercava infatti di prendere l’alveare incastrato nella parte alta della porta e di romperlo, o in qualche modo di fermare l’avanzata delle special guests di Marassi.

Come fare? Beh, come ‘non’ fare. Perché al Ferraris si prova di tutto: prima due tifosi scendono in campo e provano a scuotere e prendere l’alveare, ma senza successo.

Poi chiamano i vigili del fuoco: valutano la situazione e decidono di non intervenire. Alla fine? Qualcuno sente un apicoltore esperto, il primo e il più facilmente raggiungibile. A portare via lo sciame, uno scarpino chiodato e del miele. Che si allontanava da Marassi, portando dietro di sé una nuvola incredibilmente gialla.

La partita riprende dopo tempo, tanto tempo. Concludendosi alle 19.30 e con i gol di Mancini e Allegri.

Eriksson non avrà il successo sperato, ma almeno Pagliuca ne era uscito indenne.

P.S.: l’uomo in grado di chiudere prontamente la questione divenne ovviamente celebre. Trattasi di Stefano Repetto, presto diventato “l’uomo che sussurra alle api”. L’ispettore ha raccontato a Repubblica nel 2013: “Dopo trent’anni ho imparato a parlare con loro, e soprattutto conosco i trucchetti per convincerli a obbedirmi”.

Fino a qualche anno fa aveva rivelato di avere ancora quelle api. O meglio: le eredi. “L’intervento che ricordo con più piacere è quello al Ferraris. Quelle api regina non ci sono più. Sono morte. Ma le ricordo con affetto perché con me vivono le trisnipoti”.