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A Wembley, si sa, nascono miti enormi. L’abbiamo provato sulla nostra pelle soltanto qualche mese fa, quando l’Italia di Mancini è andata oltre meriti e possibilità, alzando al cielo un Europeo che col senno di poi ci è sembrato ancor più strepitoso.

L’abbiamo percepito nel 1992, con la Samp a un passo dal sogno più grande e con la nascita del Barcellona di Cruijff. È l’effetto di certi stadi. O forse di uno solo, probabilmente il più importante al mondo.

Si trova a Londra, si trovava tra due piccole torri nella sua penultima e immortale versione. E si trovava esattamente lì dove doveva trovarsi, quel 12 maggio del 1993.

Londra città del destino di Parma e Anversa, a loro modo due storie diverse, due cuori diversi di due paesi oltremodo differenti. E si trovavano lì per consacrare un racconto che attendevano da tempo di concretizzare. Come? Con una Coppa delle Coppe.

Da una parte, il Parma, fortissimo eppure privo di una gioia che ne certificasse i miglioramenti; dall’altra, l’underdog di turno, l’Anversa di Walter Meeuws con un percorso agevolato dalla sorte ma anche dal talento dimostrato. Partita dopo partita.

I percorsi di Parma e Anversa

Il Parma era allenato da Nevio Scala e aveva esordito con una gara già di per sé complicata: non per l’avversario, quanto per il giro d’Europa. Intanto, la prima con gli ungheresi dell’Ujpest, battuti con un risultato complessivo di 2-1. Poi il Boavista: 2-0 in trasferta dopo lo 0-0 in casa. Pure qui: che fatica.

Ai quarti di finale arrivò lo Sparta Praga, che nella partita precedente aveva battuto il Werder Brema, tra i favoritissimi. A vincere la difesa. Nel senso: dopo il 2-0 per il Parma in trasferta, al Tardini è nuovamente 0-0. E così si va, fino alla semifinale più temibile e poi più temuta: quella contro l’Atletico Madrid. All’andata è un trionfo di solidità e ingegno: 2-1 per il Parma, davanti a un Calderòn stracolmo. Al ritorno, i Ducali soffrono e conquistano, pur con una sconfitta. 1-0 per l’Atletico, ma in finale vanno gli emiliani.

E l’Anversa? Beh, certamente più agevole il percorso, per quanto la forza della squadra belga è stata sempre quella di tenersi a galla nelle circostanze più complicate.

Esempio: prima partita, contro i nordirlandesi del Glenavon. Pareggiano entrambe le partite 1-1 e superano gli avversari soli ai rigori. Agli ottavi, 4-2 all’Admira (Austria) in trasferta e 4-2 subito dall’Anversa in casa. Alla fine? Supplementari, gol di Czerniatynski e passaggio del turno. Sempre superato con difficoltà, prima con la Steaua Bucarest poi con lo Spartak Mosca. Sembrava, insomma, un progetto del destino. Finalizzato alla vittoria.

Le formazioni

Ma quel Parma era forte, fortissimo. E soprattutto di una compattezza straordinaria. Davanti a Ballotta, Scala aveva il capitano Minotti: dava indicazioni a tutti e stringeva quando il momento si faceva catartico. Al suo fianco, Grun e Apolloni, che davano licenza a Benarrivo (a destra) e Di Chiara (a sinistra) di correre e osare.

A centrocampo, Zoratto muoveva i fili del gioco, con Osio pronto a buttarsi dentro e Cuoghi da numero 10. Il meglio era riservato all’attacco: prima Melli, poi Brolin. Era tutta una grande speranza, quella adagiata sulle loro spalle. Con un plus da non sottovalutare: mancava Faustino Asprilla, capocannoniere della squadra.

L’Anversa rispondeva con giocatori tutto sommato poco conosciuti: solo tre stranieri in un undici tendenzialmente tutto belga. In porta c’era però un grande campione come Stevan Stojanovic, protagonista della Stella Rossa da Coppa dei Campioni; alcuni nomi sono passati poi alla storia: Broeckaert, Severeyns, lo stesso Czerniatynski. Giocatori di livello che giravano attorno a Peter Lehnoff, talento da 10. Con un 4-4-2 molto italiano, l’Anversa provava a giocarsela a viso aperto. Ma non troppo.

La partita

Come poteva andare? Ci mise poco, la partita, a dare una traccia di sé: dopo appena 9 minuti, il Parma andò subito in vantaggio e l’urlo aveva i colori della fascia e del capitano. Lorenzo Minotti sfruttò un’indecisione di Stojanovic ed eccolo lì, il vantaggio. Con un tiro al volo sotto la traversa. Due minuti più tardi, la risposta: proprio Severeyns, di diagonale, imbucò alle spalle di Ballotta. Tutto da rifare. Tutto rifatto.

Dopo 25 minuti, un infortunio portò Zoratto a chiedere il cambio: al suo posto entrò Pin, e in qualche modo diede subito la scossa. Due minuti più tardi, il Parma iniziò un’azione diventata storica: Melli, al 30′, staccò di testa il biglietto del 2-1, ancora una volta non di certo impeccabile la retroguardia belga.

La ripresa inizia con lo stesso copione: Parma in attacco, Anversa in difesa, con la speranza di liberare Jakovljevic e Segers sulle fasce. Nulla. Proprio nulla. Mentre tutto si trascinava verso la fine della partita, fu Stefano Cuoghi a scattare sul filo del fuorigioco e a battere Stojanovic per il 3-1 finale.

La coppa, gialloblù, era già tra le mani di Capitan Minotti.