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Al di là dei meme che sono partiti implacabili, le parole di Stefano Pioli sui primi 7 minuti del derby Milan-Inter sono una implicita spiegazione di quanto è accaduto ieri a San Siro, un “dimmi che hai sbagliato senza dire che hai sbagliato”. Un approccio errato alla partita, ma anche una lezione ignorata dai quarti di finale, hanno ampiamente compromesso le chance di finale del Milan. E l’Inter deve maledire solo se stessa, se in finale di Champions ci è ancora soltanto con un piede, e non già con tutti e due.

Milan-Inter, cosa abbiamo visto ieri

Quella che segue è una serie di considerazioni sull’atteso Derby di Champions League, che ha visto l’Inter maramaldeggiare nel primo tempo, salvo poi non riuscire a chiudere definitivamente il discorso qualificazione con 90 minuti di anticipo.

Pioli e l’approccio errato: perché col Napoli sì e con l’Inter no?

Contro molte previsioni della vigilia, il Milan aveva superato il Napoli nei quarti di finale di Champions League grazie a un approccio umile, alla consapevolezza della forza dell’avversario che andava affrontato in maniera cauta. Ne sono nate due prestazioni intense ma sempre accorte, che hanno avuto come obiettivo principale quello di guastare le fonti di gioco e di pericolo dei partenopei (si pensi all’eccellente lavoro fatto da Calabria, Krunic & co su Kvaratskhelia), per poi provare a far male. Oltretutto ieri, rispetto ai quarti, al Milan mancava Leao, dunque una buona fetta di chance di creare superiorità numerica e occasioni da gol. Eppure Stefano Pioli ha scelto lo stesso un approccio differente, alto, quasi sprezzante del pericolo. E, purtroppo per lui, è stato punito subito.

“L’Inter ha fatto gol alla prima palla inattiva, dopo 7 minuti sono entrati nella nostra area”, ha detto Pioli in conferenza stampa.

Dichiarazioni leggermente diverse da quelle presenti sui meme, ma che non cambiano la sostanza: il tecnico aveva scelto la squadra alta per tenere lontani gli avversari dalla propria area. Un errore, a carte viste, ma che forse si poteva prevedere. Singolarmente, molti giocatori dell’Inter sono forti nell’uno contro uno, dunque puntare apertamente sui duelli individuali, senza dare priorità alla copertura, comportava rischi altissimi.

Non avremo mai la controprova, ma è facile immaginare che una squadra corta e compatta come quella scesa in campo contro il Napoli non avrebbe mai preso il secondo gol, e probabilmente non si sarebbero create le condizioni neanche per il primo.

Chi marca chi? Il patatrac che indirizza la semifinale

Il Milan marca a zona sui calci piazzati, ok. Che si sia o meno d’accordo con questo tipo di impostazione, essa prevede degli automatismi. Sul calcio d’angolo da cui è nato lo 0-1, Krunic è su Bastoni, Giroud copre il primo palo, mentre Kjaer e Theo sono in zona Lautaro a centro area piccola e Calabria e Tomori seguono Dzeko e Dumfries che partono da dietro. L’olandese va verso il secondo palo portandosi Tomori.

Lautaro, a secco di gol ma autore di una partita fatta di eccellenti dettagli, taglia verso il dischetto portandosi via Kjaer. Il danese valuta in ritardo che è il caso di mollare l’argentino, ma si accorge che nel frattempo su Dzeko ci sono i 177 centimetri di Davide Calabria. Il bosniaco poi ne sa una più del diavolo, in tutti i sensi stavolta, ed è abilissimo a sfruttare il mismatch, prendere posizione e insaccare. Ecco, se difendi a zona sui calci d’angolo è difficile accettare che a marcare l’attaccante avversario più alto, possente ed esperto ci sia un terzino brevilineo e non uno dei due centrali.

Inter vertical

Non passano neanche tre minuti ed abbiamo la seconda spiegazione del perché approcciare la partita come ha scelto di fare il Milan sia stato un mezzo suicidio. Seppur con caratteristiche diverse da quelle del Napoli, l’Inter è una squadra iper-offensiva. Quella di Inzaghi è una squadra che ama tremendamente verticalizzare, ci si diverte proprio, anche perché con questo tipo di calcio esalta alla perfezione le caratteristiche dei suoi singoli.

Non è un caso che, a fine partita, l’Inter abbia dominato con 125 passaggi in meno effettuati rispetto ai suoi avversari (368 contro 493). Questo perché i nerazzurri sono ormai addestrati a recuperare palla, cercare l’uomo da lanciare e posizionare gli uomini per la transizione offensiva.

Così Barella si destreggia fra Krunic, Diaz e Tonali, vede Dimarco che detta il passaggio scattando a sinistra e lo serve. L’ex Parma è intangibile per Calabria e può mettere dentro senza opposizione. Lautaro fa la seconda cosa bella della sua partita, indietreggia come per controllare la palla, portandosi dietro Kjaer che lascia il centro dell’area sguarnito. In realtà il Toro ha già visto con la coda dell’occhio Mkhitaryan arrivare come un treno, vanamente inseguito da Tonali. L’argentino fa velo e mette l’armeno praticamente davanti a Maignan: 0-2.

L’altissimo numero di volte in cui i giocatori del Milan si sono fatti uccellare nel primo tempo, che non è finito con un passivo più pesante solo per sfortuna o inprecisione, ma anche per l’inspiegabile tuffo di Lautaro che inizialmente aveva indotto l’arbitro a fischiare rigore, ha indotto Pioli a far cambiare atteggiamento ai suoi nel secondo tempo.

Grinta e panchina, confronto impari

Ciò ha portato a vedere un Milan più orgoglioso, ma il primo tiro in porta dell’intera partita arriva a 10 minuti dal termine. Il rendimento della squadra sale perché sale quello di Tonali, il vero termometro dei rossoneri e a sua volta colpevole di un primo tempo insipido (e con responsabilità sul secondo gol).

Oltre all’atteggiamento, con il Milan disorientato e l’Inter che sembrava volersi mangiare il campo, a fare la differenza è stata la qualità della panchina. Inzaghi può permettersi di far riposare Brozovic, quest’ultimo non fa capricci ed entra fornendo il consueto contributo di sostanza. Con l’ingresso di Brozo, Calhanoglu va a fare la mezzala e il suo rendimento rimane sempre altissimo. Come si era già detto, l’Inter ha una qualità e una varietà di talento notevolissima, soprattutto in mezzo al campo.

Dall’altra parte, i panni di vice-Leao sono stati vestiti dal pure ottimo Saelemaekers. Il belga fa il suo, è anzi tra i meno peggio del Milan, e comunque il compitino di vice-Leao lo porta a casa con 5 dribbling riusciti (il migliore del match). Semplicemente, è troppo poco per impensierire la solidità di questa Inter, che ha pure trovato in Darmian un centrale “tardivo” molto efficace.

La differenza per il Milan l’avrebbero potuta/dovuta fare acquisti estivi come Origi e De Ketelaere, ma il primo è stato mezz’ora in campo senza lasciare il segno, il secondo il segno l’ha lasciato solo sulla panchina. Ed è anche difficile aspettarsi di più da Messias, che la sua favola l’ha già vissuta, anzi impersonata.

Altra differenza macroscopica di ieri è stata quella sul piano del dinamismo e della grinta, e questo al di là dei numeri che pure vedono l’Inter prevalere, ad esempio nei contrasti vinti (19 a 14). Intendo proprio un approccio di squadra, positivo e improntato al sacrificio. Si pensi che persino un calciatore che viene spesso considerato passivo e indolente, come Lautaro Martinez, è stato il giocatore con più contrasti vinti ieri: ben 5.

L’utilità di Gagliardini

Al 77′ Simone Inzaghi decide di richiamare in panchina Hakan Calhanoglu, al posto del quale entra in campo Roberto Gagliardini. Dopo appena 5 minuti di orologio, Nicolò Barella trova l’ennesima intuizione felice della sua partita, perché si porta dietro due uomini e con un’imbucata centrale serve Gagliardini. L’ex atalantino è sul semicerchio dell’area e davanti a sé ha solo Maignan, basterebbe un passo e un tiro per un 3-0 che chiuderebbe definitivamente ogni discorso-qualificazione. Invece il 29enne fa un po’ come il signor Giancarlo alla Ruota della Fortuna di Mike Bongiorno, che al vil denaro preferì la gloria imperitura.

Perché segnare il 3-0 e rendere inutile la gara di ritorno, quando puoi tenere ancora aperta la speranza dei cugini, e al contempo farci rispolverare un termine bellissimo quanto obsoleto, e molto caro al maestro Bruno Pizzul? Eccolo, invece di tirare Gagliardini CINCISCHIA, facendosi recuperare da Tomori.

Evviva, nel calcio c’è ancora un po’ di umanità e di poesia.