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Un atto d’amore. E di fede. Tutta rossonera. Quando nel dicembre del 1985, Daniele Massaro fu approcciato dalla Juve dell’Avvocato Agnelli, si ritrovò davanti al più classico bivio di una vita: prendere quel treno che ti porta lontano dalla tua essenza – per quanto bello, sfarzoso, pieno di sogni da cassetto -, oppure aspettare che arrivi davvero il tuo momento. Magari a tinte diverse: quelle che hai voluto, immaginato e seguito per tutta la vita.

Ecco, Daniele fu bravo, ma anche fortunato: ci vuole una bella dose di destino per trovare due treni così e prenderli già in giovane età. Era un predestinato, quello sì: anche se quando il Milan lo prese dalla Fiorentina sembrava solo una pedina di scambio, un favore fatto ai viola per arrivare poi a Paolo Monelli. Di quest’ultimo, poche tracce. Di Massaro, una storia di vittorie. Pure in nazionale.

L’amore per il Milan

Perché si parte sempre così, dai sogni enormi dei piccini. Un paradosso vero e proprio, ma non diverso da quello che si trovò a vivere Massaro: alla Juve, lo voleva proprio Michel Platini, che a sua volta aveva parlato con l’Avvocato Agnelli indicandolo come l’elemento che avrebbe fatto fare il salto di qualità ai bianconeri. Nei primi mesi del 1986, una telefonata cambia i colori e il corso della storia: è Adriano Galliani.

“Da bambino desideravo vestire la maglia rossonera più di ogni altra cosa al mondo”

Daniele Massaro

Berlusconi aveva appena acquistato il Milan e il Dottore sarebbe stato l’amministratore delegato. “Vuoi…”: neanche il tempo di finire la domanda, Daniele era nato milanista e gli sembrò una freccia scoccata dall’arco del destino. Era in scadenza di contratto, poi. E rassicurò Galliani: non c’era Juve che tenesse, c’era solo il Milan di Sacchi a spalancargli le porte di una carriera in cui c’era da tenere duro e vincere tanto.

Sì, perché i momenti difficili non mancarono di certo: quando arrivò Sacchi, quel mondo fatato si fece pieno di insidie. Disse immediatamente a Massaro: “Tu nella mia squadra non giocherai mai”. Sarebbe finita lì per tutti, con cessione e rimpianti. In realtà, e questo valga come lezione di vita, un’alternativa nel buio c’è sempre: è quella di muoversi e di non restare fermo, a piangere di se stessi.

Le cose andarono diversamente: il rapporto tra Sacchi e Massaro ancora oggi è splendido e vivo. E pensare che nel tipo di calcio che aveva in mente l’ex ct, disse che avrebbe potuto fare solo l’attaccante. Dodici anni dopo, lo portò al Mondiale.

Qualsiasi ruolo e un solo nome: «Provvidenza»

Per il Milan ha fatto tutto: il difensore, il mediano, l’attaccante. Era il gancio del gruppo, il traino delle serate difficili. L’uomo a cui appigliarsi quando il mare in tempesta – e ce n’era pure per una delle squadre più forti della storia – inizia a farti girare, sballottolandoti su sentieri pericolosi e soprattutto sconosciuti. Si metteva lui davanti, e il gruppo dietro. A testimonianza, il record di ‘numeri indossati‘ quando c’era ancora la disposizione della squadra in campo: gli mancava davvero solo di fare il portiere, in quei nove anni di rossonero conditi da 208 presenze e 50 gol. Vincendo tutto. Facendosi chiamare ‘Provvidenza’, per il suo contributo meraviglioso e decisivo.

Decisivo anche in quell’estate del 1994, nella quale tutti lo ricordarono per quel rigore sbagliato in finale dei Mondiali. Come Baggio e Baresi, sì. E poco prima trovò Taffarel a sbarrargli la migliore occasione dell’Italia in quei 120 minuti di affanno e speranze. Quell’anno era arrivata la finale di Coppa dei Campioni, la vittoria di cui forse va più fiero: l’aveva vinta contro un Barcellona storico e profondissimo, e in campionato aveva già punto l’Inter per tre volte. Ecco, l’Inter: Pellegrini gli offrì il doppio dello stipendio, “ma non sarei mai passato dall’altra parte.

In Asia

Se glielo chiedete, Massaro non ha dubbi: è stato lui il primo italiano a scoprire il sushi. O meglio: l’ha fatto prima della città di Milano, che pure non è poco. Il motivo? Nell’anno dopo la delusione Mondiale, annuncia il passaggio nella J-League: è il secondo dopo Totò Schillaci. Un’esperienza di vita che fece felici tutti, compresa la famiglia.

Celebre una battuta sulle Umeboshi, le famose prugne che aiutano lo stomaco: “Cinque anni di Sacchi e quattro di Capello. Poi arrivo il Giappone, mangio per un mese le prugne e non ho più la gastrite”. Aveva talento, però. Anche occhio per le situazioni. Non sono un caso la lunga carriera e l’amore incondizionato dei tifosi: anzi, sono virtù per pochi.