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Siamo così abituati a rivedere le immagini di Diego Maradona in azzurro Napoli o albiceleste Argentina, che ogni maglia diversa rappresenta ancora oggi un effetto particolare, una sorta di estraniamento di lusso. Come a dire: del Pibe si sapeva tutto, eppure è come se avesse vissuto tante vite in una di cui non ci è dato scoprire poi così tanto.

Maradona al Siviglia è stato un po’ questo: un rifugio mentre tutto correva velocissimo, soprattutto il suo primo declino. Eppure è stato tanto campo, una partita sontuosa contro il Real Madrid, gol ed emozioni e persino la speranza – poi illusione – di poter rivedere al massimo livello il giocatore più forte di tutti i tempi.

La fine di Diego coinciderà per sempre con i suoi 30 anni. E con il 17 marzo del 1991: sottoposto a un controllo anti-doping dopo un Napoli-Bari 1-0, due settimane dopo viene fuori la positività a metaboliti della cocaina. In serie: Maradona lascia Napoli tra l’1 e il 2 aprile, viene squalificato per 15 mesi (fino 30 giugno 1992), il 26 aprile viene arrestato a Buenos Aires per detenzione di droga, con mezzo chilo di cocaina nel suo appartamento. Difficile riprendersi da batoste simili.

Quando finisce un amore

Sono mesi di buio. E l’unica luce che può rischiararlo è quella in fondo al tunnel della droga: Maradona vuole ancora giocare a calcio, si sente sempre in grado di fare la differenza.

In quei mesi di squalifica, il Napoli detiene e mantiene il suo cartellino: c’è chi lo rivorrebbe indietro – è pur sempre Diego – come il presidente Ferlaino. Ma è una speranza vanificata anche dalle stesse dichiarazioni del diez: “Se non mi lasciano libero, mi ritiro dal calcio”. I partenopei non vogliono però regalare il cartellino: ha ancora un anno di contratto e l’estate del 1992 si annuncia caldissima per il ritorno in campo del Pibe.

Tutti lo cercano, nessuno lo vuole. O meglio: non vuole pagare il rischio. Scende in campo l’amico Blatter (che poi rinnegherà) e dunque la FIFA: tramite l’intercessione della Federazione, Maradona è libero dal Napoli e può firmare per il Siviglia. Ecco: come si è liberato? Da Blatter si passa a Matarrese, presidente FIGC: è lui a convincere Ferlaino a cedere il giocatore, dal momento che Maradona non sarebbe più tornato in Italia.

L’unica condizione posta dal numero uno napoletano era la garanzia di non vederlo ceduto a un’altra squadra europea. Tutto sottoscritto. Inserimento di clausola se non avesse onorato i patti. 7 milioni e mezzo di dollari (all’inizio il Napoli chiedeva 14).

Perché il Siviglia?

Ma perché Maradona, finalmente libero, sceglieva una squadra con poca storia e che non centrava almeno il quarto posto da oltre vent’anni? Semplice: per l’umanità e per i rapporti alla base. Uno in particolare: quello con Carlos Bilardo.

L’allenatore dell’Argentina campione del Mondo nel 1986 aveva voluto el Pibe in Spagna. Dopo sette anni alla guida dell’Albiceleste, Bilardo aveva provato la grande corsa in Europa ed era partito dai biancorossi andalusi. Non aveva una grande squadra: ma aveva Maradona. E tanto bastava a dare un tocco di prepotenza in più a un gruppo molto giovane e con buone individualità.

Dopo un altro iter burocratico pesantissimo, Maradona sbarca a Siviglia in condizioni molto difficili da raccontare: ha 12 chili in più, è provato in viso e si mostra come chi ha davanti a sé la sfida della vita e l’affronta dopo un anno di stravizi. Bilardo però non ha dubbi.

E alla squadra racconta il Diego che attende, non quello che si vede. La squadra? Recepisce. Gli affida la fascia di capitano, cambia l’orario degli allenamenti – al pomeriggio, altrimenti era dura svegliarsi – e Diego alla prima amichevole, dopo aver già schiantato la Mercedes la prima notte in città, porta il Siviglia alla vittoria contro il Bayern Monaco. Fatica a correre, ma è il migliore.

La prima partita di campionato arriva contro il Real Saragozza: gol su rigore. A dicembre, la partita-cartello: 2-0 e vittoria contro il Real Madrid con una prova senza senso per gli umani. Diego è l’anima del Siviglia e quello spogliatoio farebbe di tutto pur di accontentarlo. Aiuta e serve i compagni, li porta ovunque e organizza feste. Sembra tornato ai tempi giusti. Ma i (suoi) tempi giusti sono anche quelli del lato oscuro. Che busserà prestissimo.

L’altro Maradona

I numeri non racconteranno mai Maradona. Ma quelli al Siviglia hanno una duplice valenza: intanto dimostrano la qualità che non si smarrisce tra bagordi e occasioni perse; poi definiscono il peso specifico dell’argentino su una squadra buona, ma modesta. A fine girone d’andata, il Siviglia è quinto in classifica: Diego ha servito assist di ogni tipo, non è il massimo del professionismo, ma tira la carretta e sembra nuovamente tirato a lucido. Poi qualcosa s’incrina.

Nella pausa nazionali di febbraio, Maradona torna finalmente a vestire l’Albiceleste. Aveva promesso al board del Siviglia che ne avrebbe disputata solo una: ha sempre i minuti contati, questa sua nuova versione, e servivano per il rush finale in campionato. Nulla: Diego le gioca entrambe e mal tollera la rabbia della dirigenza.

Di tutta risposta, non si presenta più agli allenamenti, aumenta i giri della vita notturna e il club deve prendere addirittura un investigatore privato per capire cosa stesse combinando. Di tutto e di più: e gli costa pure una parte di stipendio.

Anche Bilardo scaricherà Maradona, nonostante i dodici assist e un ritorno quasi insperato. Anche i compagni lo faranno, finendo l’annata al settimo osto e fuori dalle coppe. In 26 presenze, Maradona avrà messo insieme anche 5 gol.