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Minuto 22 del Derby di Manchester, 23 ottobre 2011. Mario Balotelli ha appena segnato il gol che porta in vantaggio i Citizens e, come esultanza, decide di alzare la maglietta fino al mento, mostrando una scritta ai compagni, agli avversari, all’allenatore Roberto Mancini e a tutti gli appassionati di calcio in generale, che come noi non potranno dimenticare quel gesto così iconico. Su di essa sta scritto: ‘why always me?’. Balotelli non lo sa, ma qualcuno a Manchester sente puzza di bruciato: il clima in città è cambiato, e le gerarchie mancuniane sono pronte per essere ribaltate.

Il City vincerà quel derby 6-1, sei a uno, sei gol contro uno, ad Old Trafford, sotto lo sguardo incredulo di Sir Alex Ferguson, portandosi al contempo a +5 dai Red Devils in testa al campionato. Dopo quella partita, niente è stato più lo stesso, nonostante fino a marzo – derby di ritorno vinto ancora una volta dal City 1-0 – lo United sarebbe rimasto primo in classifica nel testa-a-testa con quelli che lo stesso Sir Alex aveva osato definire (qualche anno prima) ‘noisy neighbours’.

È con queste premesse, dal sapore della leggenda, che il Manchester City di Roberto Mancini si presenta all’ultimo appuntamento del campionato di Premier League 2011/12 con i favori del pronostico, per scrivere la storia del club e della competizione. L’avversario alla 38esima giornata è il Queens Park Rangers, storico club di Londra che si trova al 17esimo posto in classifica e deve ancora salvarsi – gli basterebbe un punto per avere la meglio del Bolton 18esimo. Assai diversa è la situazione del City, come detto. Gli Sky Blue sono a 86 punti e hanno otto gol di differenza reti con i vicini dello United, a 86 punti anche loro. Tradotto: il City deve vincere con qualsiasi risultato per alzare al cielo la Premiership dopo 44 primavere (cioè dal 1967/68).

Il primo tempo

Il clima all’Etihad è elettrico. I 48.000 presenti, compreso il nutrito spicchio di tifosi del QPR, avvertono nell’aria la stessa intensità provocata nel suono dalla corda tesa di un antichissimo violino. La musica c’è, ma è imprevedibile. Eppure il City gioca come sa. Fin dalle primissime battute di gioco, un dettaglio trionfa sugli altri: le due squadre sono sbilanciatissime. Il City è tutto all’attacco, il QPR tutto dietro. Più che un incontro di Premier sembra una partita di Subbuteo. Il City con enorme pazienza fa girare il pallone, e soprattutto David Silva sembra la chiave di gioco fondamentale per scardinare la difesa dei londinesi. Kenny comunque c’è, quando chiamato in causa. Almeno fino al 39’. Zabaleta, formidabile e instancabile terzino destro del City, scarica il pallone su David Silva al limite. Il Mago spagnolo serve d’esterno Tourè, a due passi da lui. Yaya, a sua volta, serve dolcemente l’argentino che calcia come viene. Il tiro non è angolato ma molto forte, quanto basta per piegare le mani di Kenny che goffamente si accorge di aver spinto lui, praticamente, la palla sul palo interno – e poi dentro la porta. L’Etihad respira, e il suono degli oltre 40.000 tifosi blue è più un grido di rabbia nervosa che di gioiosa esultanza.

Mentre tutti esultano, Yaya Tourè va da Mancini parlandogli concisamente. Non sta bene, deve uscire. Al suo posto Nigel De Jong. Finisce così il primo tempo, senza ulteriori sussulti. Mancini si sposta il ciuffo bianco con fare nervoso, perché forse vede i giocatori troppo rilassati. La sua pluriennale esperienza gli suggerisce di tenere alta la tensione dei suoi, ma certe cose non le decidi tu. Saperle e saperle comunicare è cosa ben diversa. Sugli altri campi intanto, il Bolton sta vincendo 2-1 contro lo Stoke, condannando di fatto il QPR alla serie cadetta inglese. Il Manchester United, dal canto suo, sta vincendo 1-0 contro il Sunderland: decide un gol di Rooney dopo 20’. Tradotto: se tutto rimarrà come è ora, il City sarà campione di Inghilterra.

La ripresa

Più un secondo atto di un’opera teatrale che una partita di calcio, ammesso che le due cose spesso non coincidano. E la pièce impazza prima di quanto ci si potrebbe attendere: nel calcio, a differenza del teatro, il dramma non ha tempo né copione prestabiliti. Al terzo minuto di gioco, su una palla alta apparentemente controllabile, Joleon Lescott calcola male la traiettoria e colpisce goffamente di testa all’indietro, spianando la strada a Djibril Cissé che con un destro di prima intenzione buca i guanti di Joe Hart facendo esplodere il settore ospiti, lì sotto posizionato. 1-1, ed Etihad ammutolito. Passano sette minuti, e il dramma si fa ancora più intenso. Il protagonista del misfatto è quel Joey Barton già galeotto in passato. Il capitano del QPR bisticcia con Tevez, uno cattivo come lui ma assai più furbo dell’inglese. L’argentino cade al limite dell’area di rigore e l’assistente di Mike Dean lo richiama per dirgli qualcosa. Barton va espulso per condotta violenta, e così sarà. Prima di uscire dal campo, però, Joey avrà modo di buttare a terra Aguero con una ginocchiata da dietro, litigare con Kompany e infine con Mario Balotelli che non era neanche in campo in quel momento. Per il City, quell’episodio è una manna dal cielo.

O almeno, lo sarebbe se questo fosse teatro, di nuovo. Ma questo è football, bloody hell. Appena 10’ dopo, infatti, accade l’incredibile. Pochi secondi dopo un clamoroso salvataggio di Kenny su Aguero a 2 metri dalla porta, con tutto l’Etihad zompato sui seggiolini ad esultare, Armand Traoré si trasforma in Usain Bolt e dopo una meravigliosa cavalcata sulla fascia sinistra pesca Jamie Mackie al centro dell’area di rigore del City, evidentemente distratto dietro. Mackie può prendere la mira, solo soletto, e trafiggere Joe Hart con uno splendido stacco di testa aereo. Lo spicchio dei tifosi del QPR è in visibilio; il restante pubblico all’Etihad è sotto shock. Mancini si alza dalla panchina e anziché incoraggiare i suoi prova a scuoterli insultandoli: ‘F**k you, f**k you’, ripete col dito puntato verso il campo. Salta ogni schema.

Da lì in avanti, quella situazione ‘da Subbuteo’ di inizio gara si fa quasi parossistica. Si attacca ad una porta sola, ma quella porta non viene violata. Al 72esimo Kenny salva un colpo di testa di Tevez a botta sicura aiutandosi coi legni della porta, sei minuti dopo Aguero regala a Dzeko, subentrato, il pallone del 2-2, ma sul bosniaco Kenny è miracoloso e para di piede. Pochi secondi dopo entra in scena Supermario Balotelli. Un suo tiro minaccia Kenny, e dà avvio ad una serie infinita di corner senza troppi risultati.

Un finale incredibile

Sugli spalti le lacrime scandiscono il tempo: di tristezza quelle dei tifosi di casa, di gioia quelle degli ospiti. Pochissimi comunque abbandonato lo stadio, vicini al calcio nella sua più profonda essenza. E ne vengono ripagati. Al minuto 92 nessun tifoso del City crede più alle favole, né all’happy ending. Ma un colpo di testa di Edin Dzeko – al 18esimo calcio d’angolo utile per il City – tiene per gli artigli il crollo della storia. Il pubblico si rianima, ma non vuole illudersi: è a metà tra l’implosione e la morte. Che si consumano entrambe due minuti dopo.

93 minuti, 12 secondi. De Jong serve Agüero sulla trequarti. L’argentino scarica d’esterno per Balotelli, a due metri da lui, dritto per dritto sulla traiettoria del Kun. Siamo all’altezza della lunetta quando Balotelli decide di fare la storia. Controllo complesso, ma buono. Scarico per Agüero, che arriva come un treno. Il Kun non calcia, non sappiamo noi con quale residua lucidità dopo una partita e una stagione simili. Ma non calcia. Controlla il pallone dribblando un uomo steso dinnanzi a lui, e poi calcia di destro, secco. Sul primo palo. 93 minuti, 20 secondi sono passati dall’inizio di Manchester City-Queens Park Rangers, e il City è nuovamente in vantaggio. Ciò che rimane di quel gol va lasciato agli aedi (su tutti Martin Tyler) e ai rapsodi che hanno avuto la fortuna di raccontarlo.

Il New York Times descriverà quel finale come «il più improbabile e drammatico della Premier League da che se ne ha memoria». La BBC, riprendendo la sempreverde – ma sempre inesatta – metafora di maschera, descriverà quegli attimi come «memorabile pièce teatrale; la più drammatica conclusione della stagione di Premier League». Kompany, interrogato sulla felicità di quegli attimi, chiederà: «per favore, non più così». Qualche stagione dopo sarà lui a decidere la race-title con un destro incantevole da fuori area contro il Leicester. Il City di campionati ne vincerà altri 5 nei successivi 10 anni – e 6 nei successivi 11. Soprattutto, invertirà la rotta di quel duello col Manchester United che oggi, a distanza di appena un decennio e della prima Champions vinta dal City, sembra addirittura quasi incolmabile. Sì, ma per gli Sky Blue. Altro che ‘noisy neighbours’.