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Ma allora, è vero o non è vero? La storia di Leo Messi e del suo provino al Como resta con un punto interrogativo enorme alla fine della frase. In realtà, scavando tra Italia e Argentina, è arrivata solo una testimonianza. Autorevole, però unica. E allora, tanto vale iniziare con le parole di Enrico Preziosi, oggi patron del Genoa, allora numero uno proprio della società comasca. “Venne da noi per un provino: aveva 15 anni e lo scartammo”. Verità o falso? Indaghiamo assieme.

Incongruenze

6 Palloni d’Oro, 10 Ligas spagnole, 8 Supercoppe e 6 Coppe di Spagna. In Europa: 4 Champions League, 3 Supercoppe Uefa e 3 volte è stato Campione del mondo per club. Gli manca il Mondiale con la sua Argentina: ha vinto un’edizione Under 20, un oro olimpico. Però il sogno dell’intero Paese, quello finalmente di poter trasporre la figura di Leo a quella di Diego Maradona, non è ancora realizzato in maniera unanime. Anzi. Eppure, cos’altro dovrebbe dimostrare? Forse d’aver giocato con il Como. Scherziamo, per carità. Anche perché adesso iniziano le vere incongruenze.

Partiamo dalla prima parte del racconto di Preziosi. 15 anni, per il giovane Messi ai presunti tempi del Como. Dunque, considerata la data di nascita, Leo si sarebbe recato in Italia nel 2002. Falso e con tanto di prove allegate: come mostra il suo primo tesseramento per la Federazione spagnola, l’argentino è arrivato in Catalogna nel 2000 per un provino (anche questo controverso) e lì vi è rimasto. Carmelo Gentile, ai tempi del racconto di Preziosi direttore sportivo del Como, aveva già risposto: “Come ha fatto a venire al Como per un test? Ogni tanto salta fuori questa storia ma non ne sappiamo nulla. Nel 2000 era già a Barcellona”.

Ah, a proposito della sua prima ‘prueba‘ con i blaugrana. La storia, certificata, parla di questo ragazzino di 13 anni, 1.40 metri d’altezza, lanciato in un campo d’allenamento con giocatori di tre anni più grandi. Lio riuscì a superarli in più di un’occasione, ma nessuno prese immediatamente la decisione definitiva. Per questo motivo, Rexach (direttore sportivo) organizzò una partita tra due squadre giovanili: lì si convinse del talento totale di Messi. Raccontò in seguito: “Doveva star qui 15 giorni, alla fine restò un mese“.

Il discorso di fondo

In quel 7 aprile 2010, quando Preziosi raccontò il suo errore a Sky, Leo avrebbe vinto campionato, Supercoppa di Spagna, Supercoppa Uefa e Coppa del Mondo per club. Si apprestava a vincere un altro Pallone d’Oro e veniva eliminato solo dall’Inter di Mourinho in semifinale di Champions League. Facile capire quanto fosse altisonante anche solo pensare di nominarlo. “Non si decise di prenderlo per varie situazioni del Como: ogni tanto si fa qualche errore, neanche lo ingaggiammo”, aggiunse poi il vecchio patron. Pronto a sferrare un nuovo attacco ai suoi vecchi collaboratori: “I fenomeni ci sono sempre, allora non ero io il fenomeno, era qualcun altro, però va bene così. Molto spesso sono i direttori sportivi che si occupano dei ragazzi giovani, che decidono di ingaggiarlo o no. Non è per scaricare la colpa, ma è stato così. Avevamo una persona che lo seguiva, avevamo parlato con la famiglia, era molto entusiasta di venire in Italia, però poi non se n’è fatto niente”.

Oh, da persone vicine al Barcellona, da più fonti di fiducia praticamente attaccate a casa Messi, nessuno ha mai confermato nulla: Leo non è mai stato su Como, figuriamoci se vi è rimasto 15 giorni per poi farsi scartare. In realtà, un’altra pista condurrebbe non solo a un difetto di ‘melagomania’ dell’attuale numero uno del Genoa, quanto alla sua voglia di esemplificare una vecchia battaglia del sistema calcio: la fiducia nei giovani, sconosciuta. “Si è pensato di non prenderlo anche per quell’approccio che noi abbiamo, con un po’ di disinteresse a seguire i ragazzi giovani. Quasi nessuno prende giocatori così, pensando di fare tutta la trafila per farlo diventare un giocatore importante e poi fargli un contratto da professionista”.

Poco male per Leo: si è ritrovato ben presto sul tetto di Spagna, d’Europa, del mondo. E l’ha fatto da assoluto protagonista. A partire dal 2000 (altro che 2002), con un’unica maglia: quella del Barcellona. Loro sì, hanno avuto fiducia nella Pulga.

Vicino all’Italia, ma…

Eppure, Lionel nel suo destino ha avuto un bel pezzo d’Italia. Non solo per le vacanze in Sardegna e in Toscana: il suo legame con il nostro Paese è forte e probabilmente (in parte) l’ha reso ciò che è oggi. Il pezzo più importante dello scacchiere di un club stratosferico come il Barça. Ecco, ricordate il suo debutto coi grandi? Trofeo Gampér, lui a un passo dal firmare con l’Espanyol. Al Camp Nou, Frank Rijkaard lancia questo piccolo portento argentino con il solo pensiero di preservare i propri fenomeni in vista dell’imminente inizio della stagione. Davanti a Leo, una delle Juventus più forti. Probabilmente di sempre.

Leggerezza e qualità si vedono al primo tocco, anche Fabio Capello – non noto certamente per la sua capacità di sorprendersi – spalanca la bocca e fa una battuta all’allenatore olandese: ‘Ma se non lo utilizzate, perché non lo date a noi?’. Lo voleva in prestito: ma se Capello mette gli occhi su un tuo giocatore, il suo valore è naturalmente destinato ad alzarsi. Da lì, il Barcellona decise di tenerselo stretto. La storia è nota: Messi cresce insieme a calciatori del calibro di Deco, Ronaldinho, Eto’o. Fanno la storia dello sport, non solo dei catalani.

Peccato per quel passaggio al Como, che senza prove concrete potremmo definire ‘mai accaduto’. Chissà se in futuro Leo si accontenterà di una villa sul Lago, o magari – perché no? – di andare a giocare lì vicino. C’è l’Inter a spingere, ormai da anni. Moratti l’ha detto: “Non è inverosimile”. Sognare si può: l’ha fatto pure Preziosi.