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Sta per scoccare il minuto 116 quando Jesus Navas guida un difficile pallone dalla destra del campo, rientrando verso il centro, per poi scaricarlo maldestramente, inciampando, al compagno di squadra e di reparto Andres Iniesta. Iniesta, come fosse la cosa più facile da fare in quella circostanza, tocca il pallone di tacco senza guardare, pescando Fabregas alle sue spalle.

L’azione si sviluppa sulla sinistra con Fernando Torres. Nel frattempo, con le squadre allungate e stanche da una competizione mondiale protrattasi fino alla fine dei tempi supplementari, Iniesta ha trovato la forza di portarsi dentro l’area di rigore Orange. Una carambola proietta il pallone al limite dell’area sui piedi educatissimi di Cesc Fabregas, che vede e serve Don Andres con un tocco preciso. Iniesta controlla il pallone, che si allunga leggermente, ma riesce ugualmente a colpirlo con forza e precisione, battendo il portiere avversario e bucando la rete.

Sotto le stelle di Johannesburg, in Sudafrica, Iniesta si toglie la maglietta della Spagna. Ce ne è un’altra da mostrare al mondo intero, che recita: Dani Jarque siempre con nosotros, Dani Jarque sempre con noi. Iniesta l’ha scritta con un pennarello indelebile, e quelle lettere masticate dal labile tessuto della canotta rendono il messaggio ancor più incisivo.

Dani e Andrès

Lo ha voluto scrivere lui stesso, senza affidarsi a grafici o designer di sorta. Una scritta semplice, impressa col dolore e la morte nel cuore del fuoriclasse catalano. Lui, Iniesta, classe 1984. L’altro, l’amico di una vita, Dani Jarque, classe 1983, che si è spento appena un anno prima, il 9 agosto del 2009, durante un ritiro a Coverciano.

“Un giorno arrivò Puyol e mi disse che De La Pena l’aveva informato della morte di Dani (Jarque, ndr). L’unica cosa che chiesi in quel momento fu se la cosa fosse confermata. Non potevo crederci. La notizia della morte di un mio così caro amico mi ha gelato il cuore. Vissi il peggior stato d’animo possibile”.

In un’intervista rilasciata a Marca prima dell’uscita della propria biografia, Don Andres confessò di esser caduto in depressione dopo la morte dell’amico. Entrambi erano nati a Barcellona. Entrambi avevano fatto la trafila dalle giovanili della propria squadra. Iniesta con il Barcellona, prima giocando per la squadra B (tre anni), poi nelle giovanili, dal 1996 al 2000, prima di esordire in prima squadra e diventare un caposaldo del centrocampo blaugrana, con cui avrebbe scritto la storia di questo sport.

Il suo esodo, dopo 16 anni di Barcellona, al club nipponico del Vissel Kobe, suona da questo punto di vista destinale. “È possibile che vi accontentiate di vivere accettando un mondo in cui lo spirito è morto?”, scriveva con parole ribollenti di sangue Yukio Mishima, il più grande intellettuale giapponese del Novecento.

Sembrano righe indirizzate a Don Andres, che il suo amico aveva perso per sempre. E che morto si sentiva dentro, nello spirito, nella carne, nelle gambe, che non ressero il peso della stagione 2009/2010, una delle peggiori di Iniesta con la maglia del Barcellona.

Il gol più importante, segnato assieme

Quel gol, segnato allo scadere contro l’Olanda, e quell’urlo, con le braccia allargate come a ritrovare idealmente l’abbraccio dell’amico Dani, ebbe del liberatorio per lui. “Ho pensato a Dani e alla mia famiglia, è incredibile il modo in cui abbiamo vinto. È il successo del lavoro e non vedo l’ora di tornare in Spagna per farlo con tutta la popolazione”.

Un grande abbraccio, che va da Dani Jarque, stroncato da ciò che gli diede la vita, il cuore, alla Spagna tutta, passando per la famiglia – quella di cui faceva parte anche Dani Jarque, fratello non di sangue, ma di scelta, di Don Andres. Jarque era appena diventato capitano dell’Espanyol. La loro amicizia era schiva, umile, lontana dai riflettori. Era proprio per questo una vera amicizia. Un’autentica fratellanza.

Alla morte dell’amico, dell’amato amico, Iniesta aveva dichiarato di sentirsi «un’altra persona. Non mi divertivo più a fare le cose che facevo prima, sentivo che attorno a me le persone non contassero nulla, non avevo più sentimenti né passioni. Ero vuoto dentro. Sentivo di non poter più andare avanti, ogni cosa pesava. Fu lì che capii di dover vedere qualcuno per uscirne. La cosa più importante è stata non aver mai perso la (sacra) scintilla».

La stessa che nella notte sudafricana, durante la partita più importante della sua vita, lo consegnò alla storia di questo sport – consegnando al contempo ad essa l’amico Dani Jarque, presente con lui in quel gol insieme a milioni di spagnoli in tutto il mondo. Iniesta coltiverà un vitigno, produrrà dell’ottimo vino e gli darà un nome che non abbisogna di ulteriori spiegazioni: minuto 116. Per bere in eterno all’amico Dani Jarque.