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Al grido di “combatterò”, Maurizio Sarri aveva chiesto ai propri tifosi di trasformare l’Olimpico in un catino ribollente di rabbia, amore e passione per rendere il favore al Feyenoord a distanza di due settimane dall’inferno del De Kuip – dove la Lazio, senza i propri tifosi al seguito, era crollata (3-1). Chi era presente ieri sera (poco più di 30mila i paganti) potrà raccontarlo ai nipotini: una serata del genere vale la pena di sposare alle volte un po’ di retorica. Le parole di Sarri, altro che inascoltate, hanno reso l’Olimpico – anche a metà del suo servizio – un tempio vivo e vivente. I tifosi della Lazio, specialmente nei primi 25’, hanno accompagnato il possesso palla dei propri ragazzi con cori e continui applausi nonostante le difficoltà della squadra, e fischiato con altrettanto ardore il fraseggio degli olandesi.

Che sono usciti alla distanza, come prevedibile d’altronde. La Lazio ha approcciato molto bene la partita, ha aggredito la squadra di Slot con quel dinamismo che all’andata aveva fatto la differenza per i padroni di casa: e infatti già dopo 45 secondi Niewkoop si beccava un’ammonizione su Zaccagni che gli era sfuggito alle spalle, dopo un dribbling dei suoi. Ma quel dribbling veniva dopo un pressing collettivo della squadra, chiamato da Provedel, iniziato dai difensori e rinforzato dalle gambe dei centrocampisti e degli attaccanti. Una parola sola: sacrificio. Di tutti, nessuno escluso. Dai tifosi a Sarri, da Sarri allo staff, dallo staff ai giocatori, la sensazione era quella di dover vivere la partita come una questione di vita o di morte.

La seconda stava per arrivare quando, intorno al 30’, Gimenez imbeccato da Stengs – ben tenuto da Hysaj, comunque, per tutta la partita – si presentava a tu-per-tu con Provedel, autore di una parata incredibile. Quello era il primo segnale – ne seguirà un altro, con tiro fuori di Paixao – di una difficoltà: quella della Lazio di tenere quel ritmo iniziale per più di 30’. Era capitato contro il Bologna, e prima ancora contro l’Atalanta. Al Dall’Ara era mancato il gol, contro la Dea no. E col Feyenoord? Stesso problema: se non segni, rischi. Ma stavolta, rischiando, la Lazio poi ha segnato.

Al minuto 46, primo di quattro di recupero, Vecino strappava una palla pericolosissima dai piedi di Timber, Luis Alberto la passava a Felipe Anderson che, visto il movimento a mezzaluna di Immobile sul filo del fuorigioco, lo serviva coi tempi giusti. Ciro, con tutta la pressione di questo Olimpico sulle spalle, in un momento per lui e la squadra “tutt’altro che facile” dirà a fine partita, scartava Bijlow e da posizione laterale infilava la porta ormai sguarnita, per poi volare sotto la Nord a prendersi l’amore dei tifosi. Non è un gol qualunque, neanche a livello statistico: si tratta infatti del 200° con la maglia della Lazio: dal 2016/17, Ciro è insieme ad altri quattro fenomeni (Lewandowski, Mbappé, Messi e Kane) l’unico ad esserci riuscito nei top-5 campionati. Per lui sono anche 11 gol in Champions in carriera, alla faccia di chi lo giudica troppo frettolosamente inadatto a contesti internazionali: significa un gol ogni 119’.

Significa soprattutto che la Lazio, nella ripresa, ha fatto poi quello che le riesce meglio: difendersi e provare a ripartire. Più che altro difendersi, perché il Feyenoord ha aumentato il ritmo, ha spinto il cuore oltre l’ostacolo ma l’ostacolo ha avuto più cuore ancora. Patric, Romagnoli, Hysaj, Pellegrini, Lazzari, e Provedel. Un muro invalicabile, fino al 96’, quando Auda da dentro l’area ha avuto l’ultima chance di testa: respinta dai guantoni del portiere biondo. I tre punti sono d’oro: la Lazio è seconda nel girone con 7 punti. L’Atletico ne ha 8, e sarà dunque costretto a vincere col Feyenoord – a Rotterdam – per mettere al sicuro la qualificazione. Gli olandesi di punti ne hanno 6, il Celtic appena uno. Inutile aggiungere altro: i biancocelesti devono vincere con gli scozzesi per credere ancora nella qualificazione. Ma con uno stadio così, niente è impossibile.