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Il mio ruolo in squadra è sempre stato quello di terzino, il difensore laterale, e anche ai Mondiali del 2006 giocavo da titolare in difesa.

La vittoria di quell’anno a Berlino ha segnato un traguardo importantissimo dopo quello del 1982, specie considerando che per tanti giocatori il torneo si era aperto in un momento difficile; siamo riusciti comunque a fare un cammino straordinario, a fare gruppo, e alla fine a trionfare.

A lungo si è parlato dei fattori che hanno portato l’Italia alla vittoria: secondo alcuni la solida difesa si è rivelata fondamentale, e sicuramente lo è stata, ma il lavoro di squadra a mio parere è sempre un aspetto cruciale. Certo, ci difendemmo benissimo, senza subire nemmeno una sconfitta in tutte e sette le partite – le uniche note dolenti furono un autogol e un rigore – ma tutta la squadra remava nella stessa direzione, con lo stesso entusiasmo e la stessa voglia di farcela, e tutti e ventitré insieme alla fine abbiamo sollevato la coppa.

Non c’è bisogno di dire che è stata un’emozione incredibile, e un ricordo che porterò sempre con me.

Il lavoro di squadra è anche ciò che permette a ciascun giocatore di tenere a bada la tensione durante partite importanti come quelle del Mondiale, quando l’adrenalina è sempre altissima. È il sostegno dei compagni e dell’allenatore e l’energia dei tifosi sugli spalti che fa superare le difficoltà e spinge a concentrarsi sull’obiettivo, lasciando fuori tutto il resto.

La possibilità di non essere sempre al massimo, di non riuscire a dare il 100% a livello fisico e mentale, esiste per tutti, anche per i professionisti, ma penso che il bello del calcio sia proprio la possibilità di rifarsi: c’è sempre un’altra partita, un’altra gara in cui dare di più, un’altra occasione per dimostrare la propria tenacia e la propria bravura. A tutti può capitare di inciampare lungo il percorso, ma il grande giocatore sa che non bisogna perdersi d’animo e che c’è sempre la possibilità di provarci ancora: c’è sempre spazio per migliorare, giorno dopo giorno.

La paura di sbagliare va quindi allontanata. L’avversario, per quanto forte, non va mai temuto, ma piuttosto rispettato: non bisogna credersi superiori a lui, bensì valutare serenamente i propri punti di forza e fare affidamento su di essi – e sulla forza del gruppo – per avere la meglio. Per tornare al Mondiale, la finale contro la Francia, quel 9 luglio 2006 fu una partita giocata da due squadre di pari livello: arrivammo infatti al pareggio, e la vittoria si decise solo ai rigori, ma alla fine fu nostra.

Penso che un tranquillo ottimismo sia la chiave per riuscire in qualsiasi ambito. Non bisogna lasciare che la paura di fallire prenda il sopravvento, ma pensare positivo, consapevoli che un errore non è comunque la fine del mondo e non comporta la fine della propria carriera, ma anzi che da esso si può (e si deve) sempre imparare qualcosa.

Nella vita di tutti i giorni, lontano dal terreno di gioco, le cose sono naturalmente un po’ diverse; personalmente, però, apprezzo sempre una sfida, cerco di arrivare preparato e di essere sempre ottimista, anche davanti al fallimento: è un ostacolo da superare, ma non va mai sprecato se si è disposti a trasformarlo in esperienza.

Questo mi porta a pensare alla mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali di quest’anno. Mi è dispiaciuto vedere la Nazionale tagliata fuori per la seconda volta consecutiva: considerato che l’Italia è tra quelle che hanno vinto più Mondiali nella storia, la nostra squadra dovrebbe essere sempre presente. Credo tuttavia che i giovani giocatori azzurri, campioni uscenti di un Europeo vinto meritatamente, abbiano solo bisogno di fare esperienza, di giocare e di crescere: dobbiamo essere disposti ad aspettare e ad avere fiducia in loro.