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C’è un racconto di Gigi Riva uomo, c’è un racconto di Gigi Riva calciatore.

Il solo fatto che il primo per alcuni versi riesca a oscurare il secondo – considerato tutto quello che ha prodotto, il secondo – è un chiaro indizio di quanto Rombo di Tuono abbia lasciato dietro di sé, accanto a sé, davanti a sé. Un’eredità indefinibile e infinita, un libro colmo di capitoli diversi eppure legati da un filo robusto e squadrato, come quella mascella che ha fatto il giro degli stadi del mondo intero.

È stato un dirigente sportivo, per molti anni il calciatore simbolo dell’Italia e del movimento italiano. Ha legato la sua vita al Cagliari e alla Nazionale. È diventato un monumento nel 1968, quando vince il primo Europeo della storia d’Italia; si è fatto quasi immortale nel 1970, a un passo dal sogno Mondiale. Nel mezzo, e subito dopo, gol e ambizioni, grandi traguardi e grandi rifiuti. Gigi Riva è un uomo come non lo sarà probabilmente mai nessun altro, ecco perché tramandarlo è un esercizio semplice e necessario.

Dai monti al mare

Intanto, perché “Rombo di Tuono“? Gianni Brera l’aveva chiamato così per la potenza del tiro e perché davanti al portiere le statistiche erano spaventose. Brera lo preferiva a chiunque altro, ma non solo perché faceva sempre gol. Brera lo amava per il suo carattere schivo eppure tenero, per il suo essere un uomo da mille volti e mille vite, eppure costantemente coerente con se stesso.

Un equilibrista fuori dal campo, senza tutta la fatica di tenere un mondo in piedi. Ci voleva talento, ad esser Riva. E ci voleva coraggio – e ce ne volle parecchio – a correre da Leggiuno a Mombello, dove mosse i primi passi da calciatore. Era l’Italia degli anni Sessanta appena sbocciati. Gigi era un sedicenne e sedicente calciatore. Che in due anni mise insieme 66 reti.

Lo chiamavano il Forchetta, subito passò al Legnano. A 18 anni, aveva già presenze e 5 gol in Serie C. E il Cagliari, che era a Legnano di base nei periodi in cui c’erano le trasferte, lo notò e lo portò in Sardegna. 37 milioni di lire: una cifra importantissima, superata solo da Dall’Ara e dal Bologna (che arrivò a quota cinquanta). Nulla da fare: è il primo intrecciarsi tra la storia di Gigi e quella della Sardegna, dove giocò subito il campionato cadetto del 1963-1964.

Gol dopo gol. Otto nella prima stagione, che vale la promozione. Otto anche nella seconda, la prima in Serie A che vale una salvezza complicata.

Nel 1966, anno del Mondiale e delle prime convocazioni, Riva s’infortuna gravemente: sembra finita, e invece è appena iniziata. Tipica del suo carattere, un uomo alla costante ricerca di fame e sorpresa. Soprattutto con se stesso. Nel 1968, vince l’Europeo con l’Italia. Nel 1970 è scudetto – sì, scudetto – con il Cagliari. L’unico nella storia del club rossoblù. L’unico in grado di poterlo fare, Riva.

Anni di lotte e infortuni

Sembra l’inizio di qualcosa di enorme, gigantesco. Del Cagliari al centro dell’universo calcistico euroepo. E invece la sorte si frappone tra il sogno dei sardi e la qualità straordinaria di Gigi, un’unione pronta a riportare il Sant’Elia a un passo dalla doppietta scudetto e soprattutto da uno storico risultato in Coppa dei Campioni. Dopo la doppietta nella vittoria del Cagliari contro l’Inter – che poi vincerà il titolo italiano -, Riva va in Nazionale per affrontare l’Austria.

Norbert Hof, passato alla storia anche e in particolare per quest’episodio, gli fratturò il perone della gamba destra. Risultato: Riva fuori, Cagliari lontano dalla vetta ed eliminato dagli ottavi di quella che oggi chiamiamo Champions League.

Sembra la fine, soprattutto per quegli anni: i giocatori, anche i più forti, non rientravano mai al meglio, di sicuro non con numeri record e non subito. Ecco: riprese a giocare, Riva, nel 1971 e fu poca roba.

Ma nella stagione successiva segna 21 gol in 30 partite, portando di nuovo il Cagliari in alto, al quarto posto. Sembra l’inizio della riscossa, e anche il mercato – che lui aveva sempre bloccato – iniziò nuovamente a interessarsi alle sue prestazioni: lo chiamò il Milan, si interessò l’Inter. Fu però la Juventus la squadra più vicina a Rombo di Tuono, offrendo addirittura un miliardo di lire al Cagliari. Riva non ne voleva sapere. Cagliari era casa sua. Ed emozioni e carriera sarebbero terminate lì. Certo, non immaginava in così poco tempo.

A 32 anni, nel pieno dell’attività – e di gol, tanti gol – Riva è il capitano e la bandiera del Cagliari. In una giornata fredda e uggiosa, con quel clima che certe notti scende solo su Milano, Gigi scatta per prendere il pallone e sente un dolore tremendo all’adduttore. Lo sa: è uno strappo muscolare. Non sa quanto grave, ma il colpo della sfortuna l’ha preso dritto in faccia e il suo volto tradisce preoccupazione.

Nonostante vari tentativi di recupero, il rinnovo di un altro anno di contratto, Riva non scende più in campo, decidendo per il ritiro a 32 anni con 156 gol in Serie A e 289 presenze accumulate. Anche in Nazionale sarà da record: il 31 marzo del 1973, con un poker al Lussemburgo, raggiunse Meazza al primo posto della classifica marcatori. Il 29 settembre, proprio a Milano, oggi lo stadio dedicato a Peppino, segnò alla Svezia e portò il record a 35 reti in appena 42 incontri.

L’altro Riva

E questo, tutto questo, è una storia incredibile e ascrivibile a quel passato in cui brillava tutto fuorché i suoi occhi. È che Riva è sempre stato un anarchico delle emozioni: non andava a comando, non calcolava i momenti, semplicemente rispondeva alle folate di vento temprando animo e spirito.

Per questo, dopo il ritiro forzato, non si fermò certo a piangere i rimpianti: era subito diventato la voce dei Mondiali, insieme a Enrico Ameri. E poco prima, nel 1976, aveva aperto una scuola calcio e si era ritrovato in mezzo a tanti ragazzi, sulle saline di Molentargius.

No, non era tornato nelle zone di Varese: aveva scelto di vivere ancora a Cagliari, per sempre in Sardegna. E proprio per i rossoblù è ed è stato presidente: un tempo effettivo, oggi solo onorario (per volere di Giulini).

Nel 1990, il destino gli ha regalato la possibilità di recuperare un Mondiale perduto: insieme a Boniperti ha accompagnato la Nazionale nel Mondiale di casa, poi in quello negli Stati Uniti. È stato team manager, anello di congiunzione tra i giocatori – e in quanti gli hanno voluto tanto bene e gliene vogliono ancora, vedi Roby Baggio, Gigi Buffon, Francesco Totti – e una dirigenza spesso sorda ai richiami differenti di una Nazionale. Nel 2006, dopo 16 anni di onorata carriera, la Germania e Lippi sono funzioni perfette di un’equazione che Riva rende corretta. Il gruppo è solido. Il percorso è quasi netto. La Coppa del Mondo torna in Italia.

Fino al 2013, fino alla finale dell’Europeo malamente persa con la Spagna, Gigi Riva ha accompagnato l’altro grande, immenso amore, oltre Cagliari. Si separava dalla Sardegna solo per Coverciano e l’ha fatto fino al 2013. “Troppo in là con l’età”, si diceva. Ma non è un caso che l’azzurro abbia vissuto il suo periodo più complicato senza una guida come lui. Saggio e paterno, duro di montagna e calmo come certi giorni di mare. Semplicemente, l’attaccante più forte che il nostro Paese abbia mai prodotto.