Vai al contenuto

A sorpresa, ma anche no, i Friedkin hanno esonerato José Mourinho dal ruolo di allenatore della AS Roma. Al di là delle possibili ironie, si tratta del sesto esonero in carriera (il terzo consecutivo) per un allenatore che non per questo smette di essere un vincente, ma che negli anni ha dimostrato notevole bravura anche nel farsi licenziare. Sempre a peso d’oro, naturalmente.

Ogni esonero fa storia a sé e si porta dietro un corredo variabile di attese tradite, di rapporti deteriorati o mai decollati, di costi più o meno esorbitanti per il club. Ci sarebbero dunque diversi modi per classificarli: dal più al meno clamoroso, dal più o meno costoso e così via. Ci proviamo ordinandoli per “mourinhità”, ovvero per quanto siano attinenti-coerenti con il personaggio Mou.

5 – Tottenham Hotspur

Quello ricevuto dagli Spurs è stato l’ultimo esonero subito da José Mourinho prima della sua esperienza romana. Diciamo subito che al club presieduto da Daniel Levy le cose non sono mai realmente decollate. Arrivato a novembre del 2019 in sostituzione dell’esonerato Mauricio Pochettino, trova un club reduce da una pazzesca finale di Champions League, ma appena 15° in Premier League a 14 punti. Va ricordato comunque che Pochettino aveva fatto letteralmente i miracoli, avendo portato la squadra nella citata finale di Champions nonostante un mercato praticamente inesistente per l’altissimo impegno finanziario del club nella costruzione del nuovo stadio.

Ad ogni modo, si trattava di una rosa di alto livello, con fuoriclasse nel pieno del loro sviluppo come Harry Kane e Son Heung-min. Come spesso gli accade, Mourinho parte con i fuochi d’artificio, vincendo 2-3 in casa del West Ham e quindi 4-2 con l’Olympiakos in Champions, qualificando la squadra agli ottavi. A fine stagione, Mou riesce a risollevare il club, portandolo fino alla sesta posizione finale in campionato, che vale l’Europa League. In Champions esce invece agli ottavi, per mano del Lipsia. Il bilancio della prima stagione è pertanto positivo.

Inizia bene anche la stagione seguente, che però poi si incarta strada facendo. La squadra perde 10 partite in campionato, esce presto da Europa League e FA Cup, mentre prova a salvarsi in Coppa di Lega raggiungendo la finale. Tuttavia, dopo un deludente pareggio contro l’Everton, viene esonerato il 19 aprile con la finale Coppa di Lega da giocare pochi giorni dopo contro il Manchester City. Uno smacco, per uno come lui, da sempre considerato uomo da finali.

L’accordo economico con il Tottenham era da 15 milioni di sterline netti (poco più di 16 milioni di euro) a stagione, fino al 30 giugno 2022. A maggio, tuttavia, arriva la chiamata a sorpresa della Roma.

4 – Roma

Con un notevole colpo di teatro, José Mourinho sbarca nella Capitale, in un club da tempo depresso per le tante stagioni senza vittorie. Il portoghese strappa un accordo da top, che gli porta 7 milioni di euro netti a stagione, ma il contratto stipulato con il club giallorosso fa in qualche modo felice anche il Tottenham, che deve così pagare “solo” 9 dei 16 milioni di euro residui del contratto con Mourinho. Il popolo giallorosso si rinvigorisce assai, con l’arrivo dello Special One. L’innamoramento è forte e ricambiato, o almeno Mou è come sempre molto bravo a dire le cose giuste per ingraziarsi il favore del suo pubblico del momento.

L’arrivo di Mourinho comporta anche un salto di qualità sul versante del mercato. Infatti il club, che l’anno prima aveva fatto registrare un saldo negativo di meno di 25 milioni tra acquisti e cessioni, ne spende quasi 120 milioni in un colpo solo: Abraham (41), Kumbulla (26) e i vari Shomurodov, Vina, Ibanez e Rui Patricio, a fronte della partenza di veterani come Dzeko e Florenzi.

In campionato, a dire il vero, il salto di qualità non si vede così tanto. La squadra termina al sesto posto guadagnando l’Europa League, meglio del settimo posto dell’anno precedente con Paulo Fonseca, ma peggio del 5° del 2019/20 sempre con Fonseca in panchina.

Tuttavia, la Roma si fa strada nella nuova competizione inventata dalla UEFA, la Conference League, arrivando a vincere la finale di Tirana.
Il fatto di sollevare finalmente un trofeo è qualcosa che gasa tremendamente i romanisti. La soddisfazione è legittima, visto che l’ultima vittoria della Roma era stata la Coppa Italia 2008, 15 anni prima, mentre per trovare un successo europeo bisognava risalire alla Coppa delle Fiere del 1961. Mourinho si conferma grande condottiero nelle competizioni come le coppe europee, e da lui ci si aspetta qualcosa in più anche in campionato.

L’anno secondo dell’imperatore Mourinho a Roma è però all’insegna della mediocrità: i giallorossi terminano settimi, poi sesti ma solo in virtù della penalizzazione inflitta alla Juventus. In Europa arriva un’altra finale, stavolta di Europa League e stavolta persa, con il Siviglia, in una notte carica di polemiche.

Proprio le polemiche e le proteste sono il tratto distintivo di Mourinho alla Roma. Già nella sua prima esperienza italiana, in una Inter dominatrice in lungo e in largo, il tecnico portoghese aveva capito che, in Italia, gli faceva gioco interpretare l’uomo anti-sistema. Un ruolo ovviamente per le telecamere e i media, perché nella realtà lo Special One sapeva e sa benissimo di essere del tutto organico, a quel sistema che dice di voler combattere.

Il gioco delle parti gli ha progressivamente preso la mano, le espulsioni e le giornate di squalifica sono state davvero tante e spesso gli sono servite per provare a mascherare da vittimismo delle carenze nelle performance dei suoi.
Inoltre, nella seconda stagione romanista e soprattutto in quest’ultima, si sono moltiplicate le dichiarazioni su inadeguatezza della rosa per puntare a obiettivi più alti. Eppure, il monte stipendi della Roma è andato crescendo fino a diventare, nel campionato attuale, il terzo dopo Juventus e Inter. In questo senso, gli ingaggi di Lukaku (7 milioni) e Dybala (6) sono senza dubbio da top club.

Se tutto questo fosse stato accompagnato da performance almeno vigorose, lo Special One sarebbe ancora al suo posto. Invece si è assistito a una sorta di escalation degli orrori, prima uno scialbo derby di Coppa Italia perso quasi senza lottare, quindi la débâcle in campionato contro il Milan, che va molto al di là del punteggio (3-1).

Nel mezzo, qualche altro coup de théâtre come la obiettivamente esilarante conferenza stampa in portoghese, in risposta alle consuete polemiche e alla multa comminatagli per avere accusato l’arbitro Marcenaro di non avere la “stabilità emotiva” per arbitrare match di quel livello. Match poi vinto, ma tutti ricorderanno solo la surreale sequela di risposte di Mourinho nella sua lingua madre.

3 – Real Madrid

A Madrid, José Mourinho arriva subito dopo aver raggiunto l’apice con l’Inter. Mossa lungimirante la sua, ma soprattutto mossa nata dalla corte spietata di Florentino Perez. Corte che si traduce in un assegno da 15,3 milioni di euro a stagione, cifra che lo decreta tecnico più pagato al mondo. La squadra è stellare, da Casillas a Cristiano Ronaldo, da Sergio Ramos a Kakà, ma a questi si aggiungono Ángel Di María, Mesut Özil e Sami Khedira. Nonostante ciò, nel Clasico arriva una umiliante “manita”, un 5-0 che alla fine risulterà decisivo anche per la Liga, vinta dai Blaugrana di Guardiola. La stagione si conclude con la vittoria dell’ennesima Copa del Rey e con la semifinale di Champions, ancora out per mano degli odiati rivali del Barcellona.

L’anno seguente arriva la riscossa, con la Liga stravinta alla quota record di 100 punti. La stagione era iniziata tuttavia all’insegna del nervosismo, con la rissa in finale di Supercoppa spagnola con tanto di dito infilato in un occhio al povero Tito Vilanova, vice di Guardiola e poi morto tragicamente pochi anni dopo per un male incurabile.
E poi c’è il neo-Champions League, con la corsa che si arresta nuovamente in semifinale. Stavolta è il Bayern Monaco a esporre il semaforo rosso, superando i Blancos ai calci di rigore, ma cresce nella dirigenza madrilena il malessere per la maledetta “decima”. Nonostante i copiosi investimenti, il conto di Champions League vinte è fermo a 9 dal 2002.

In tutto ciò, cresce un malessere anche all’interno della squadra, per l’eccessivo difensivismo dello Special One. Mourinho risponde a questa sorta di insubordinazione, colpendo un giocatore simbolo come Iker Casillas, relegato in panchina durante la stagione 2012/13, l’ultima di José al Real Madrid. L’anno seguente, dopo essere finito secondo in Liga a un abisso dal Barcellona, e dopo aver perso la finale di Copa del Rey dall’Atletico di Simeone, termina l’avventura di Mourinho al Real Madrid. Tecnicamente non si tratta di un esonero, ma si dice che la separazione sia comunque costata tanto a Florentino Perez, circa 20 milioni di euro.

2 – Chelsea (episode #1 e #2)

Il Chelsea è l’unica squadra che ha cacciato Mourinho due volte (seppure tecnicamente si sia sempre dimesso), ma è anche quella con cui il portoghese diventò lo “Special One”, nonché ad oggi il tecnico più vincente nella storia del club.
Nell’estate 2004, fresco di Champions League conquistata con il Porto, José Mourinho viene chiamato da Roman Abramovich al Chelsea. La campagna acquisti è sontuosa: arrivano Drogba, Robben, Cech, Kezman, mentre dal Porto Mourinho si …porta Ricardo Carvalho e Paulo Ferreira. Arriva la sospirata Premier League, la prima nella storia per i Blues e il secondo titolo nazionale dopo un’attesa di 50 anni. José Mourinho diventa ufficialmente Special One, e bissa il titolo l’anno seguente.

Nel 2006/07 i rapporti tra Mou e il magnate russo iniziano a incrinarsi pesantemente, e una delle cause principali ha un nome e un cognome: Andriy Shevchenko. Il campione ucraino era stato l’acquisto-copertina dell’estate 2006, prelevato dal Milan per circa 45 milioni di euro. Ma c’è un piccolo problema: Mourinho non lo voleva. O meglio, come ammesso dello stesso allenatore portoghese qualche anno dopo, Sheva non era la sua prima scelta. Al Chelsea, l’ucraino non si ambienta mai del tutto, anche per via di diversi problemi fisici. Il malinteso su di lui e su altri argomenti di mercato è all’origine del divorzio. Che arriva, un po’ a sorpresa ma anche no, nel settembre 2007. Anche in questo caso non è un esonero, poiché è Mourinho a lasciare il Chelsea, ma non certo gratis. si calcola che Roman Abramovich abbia dovuto corrispondere al portoghese circa 25 milioni di euro, per liberarsene.

Ma poiché certi amori non finiscono eccetera eccetera, otto anni dopo lo stesso Abramovich pensa proprio a Mou per risollevare le sorti del club, all’alba della stagione 2013/14. Dopo un primo anno di ri-ambientamento, nella stagione seguente il Chelsea torna a vincere la Premier League.
C’è però un turning point, o meglio un evento esemplificativo di come, quando c’è José Mourinho di mezzo, i rapporti sono sempre sul filo, pronti a spezzarsi in qualsiasi momento. All’inizio della terza stagione del suo Chelsea-bis, Mou entra in fortissima polemica con Eva Carneiro, la responsabile dell’area medica del club. Oggetto del contendere: il troppo tempo impiegato – secondo il tecnico portoghese – dalla Carneiro a curare Eden Hazard, in una situazione in cui il Chelsea era già in inferiorità numerica contro lo Swansea, per l’espulsione del portiere Courtois. Ne nasce una querelle infinita, che arriva in tribunale e termina nell’estate 2016 con un accordo extra-giudiziale tra Carneiro e Mourinho. Che, nel frattempo, non era già da mesi l’allenatore del club.
A dicembre 2015 era infatti arrivata la seconda risoluzione consensuale del contratto, fra Mou e i Blues. Anche in questo caso, non gratis.

Si calcola che la seconda buonuscita di Mourinho sia costata ad Abramovich intorno ai 17 milioni di euro.

1 – Manchester United

L’esonero più “mourinhano” di tutti, però, è nettamente quello subito al Manchester United. Alla corte dei Red Devils, Mourinho arriva nell’estate del 2016, in sostituzione di un altro grande tecnico che aveva però fallito: Luis Van Gaal. Per l’occasione, la famiglia Glazer gli compra Pogba e Mkhitaryan per 150 milioni totali, sperando di tornare al successo soprattutto in Premier League, vinta l’ultima volta nel 2013 ancora con Sir Alex Ferguson in panchina.

La prima stagione di Mou è molto positiva, come capitato spessissimo nella sua carriera. Il Manchester United vince Community Chield, Coppa di Lega e soprattutto Europa League, la prima nella storia del club. In campionato, invece, non si va oltre il sesto posto. Sembra comunque l’antifona per un bel ciclo e il ritorno in auge dei Red Devils, ma è solo un’illusione. Nonostante altri 165 milioni spesi per i vari Lukaku, Matic, Lindelof e Alexis Sanchez, nella seguente campagna estiva, la squadra non riesce a imporsi in Premier League, divenuta nel frattempo un feudo dei rivali cittadini del Manchester City. I Citizens stravincono, il Manchester United chiude secondo ma a un abisso (19 punti), e senza mai convincere del tutto. Oltre a questo, a venire meno è la capacità di Mou di tenere saldo il gruppo, che anzi gli si rivolta sempre di più contro. E arriviamo all’episodio che, forse più di ogni altro, demarca una separazione tra il Mourinho reale e la sua icona, alter-ego con diramazioni mediatiche e commerciali.

Nella fase a gironi di quella Champions League 2018/19, il Manchester United capita nello stesso gruppo della Juventus. Per il popolo bianconero lui è un nemico storico, legato indissolubilmente all’Inter del Triplete, quella che aveva costruito le sue fortune (anche) sui resti della Juve squalificata da Calciopoli. Nel match di andata, la Juve di Allegri aveva vinto a Old Trafford, uno 0-1 che stava strettissimo alla Vecchia Signora. Sembra bizzarro da dire oggi, ma quella Juventus aveva dominato i Red Devils in casa propria, non vincendo con uno scarto superiore solo per la serata di grazia del portiere De Gea.

Due settimane dopo, lo United rende visita alla Juve. Per Mourinho si tratta del primo match in casa della Juve dall’aprile 2010, quando guidava proprio l’Inter in odore di triplo trionfo. L’accoglienza è, come ampiamente prevedibile, quella di una selva dai fischi. Il tema tattico non si discosta da quello dell’andata: Juve arrembante, United che prova a difendersi. Dopo tanti vani assalti nel primo tempo, la Juve passa al minuto 65 con un euro-gol di Cristiano Ronaldo, che si avventa su un lancio lungo di Bonucci e, senza nemmeno far toccare terra alla palla, la scaglia con violenza alle spalle dell’incolpevole De Gea. Il gol sarebbe destinato a diventare uno di quei manifesti iconici di fine stagione, ma la Juve non raddoppia, spreca tanto e alla fine accade qualcosa di inimmaginabile: lo United prima pareggia con una punizione di Mata, poi addirittura vince grazie a un autogol di Bonucci allo scadere.

Al fischio finale, José Mourinho non si accontenta di avere giocato un altro scherzetto agli odiati rivali, ma va oltre: mette la mano all’orecchio come a sfottere il pubblico che per tutta la partita non ha smesso di fischiarlo e di intonare cori contro di lui. Un gesto divenuto istantaneamente un meme, sopravvissuto fino ai giorni nostri. La cosa incredibile è che tutto era avvenuto in una situazione in cui Mourinho aveva buona parte dello spogliatoio contro e in Premier League era già praticamente fuori dalla lotta per il titolo. Infatti, circa un mese più tardi, dopo un KO a Liverpool che mandava gli odiati Reds quasi 20 punti avanti in classifica, José lo Special One viene esonerato. La famiglia Glazer dovrà poi pagargli circa 19 milioni di euro di buonuscita.

Il vero grande talento dello Special One

Oggi tutti ricordano quell’orecchio teso con tanto di smorfia sfottente, pochi rammentano che era stato dominato e dopo poche settimane anche esonerato. E alla fine è forse proprio questa, la vera magia di Mr. Mou: saper portare tutti – pubblico, media, dirigenti, calciatori – esattamente dove vuole lui, dove più gli conviene, dove più ci guadagna. Se c’è un talento in cui José Mourinho è per distacco il migliore nella storia, è proprio questa abilità nella fascinazione, che gli permette sempre di uscire bene anche dalle situazioni più imbarazzanti.

José Mourinho e le buonuscite: un record difficilmente battibile

Chiudo con una battuta, ma non troppo. José Mourinho è un patrimonio del calcio e della comunicazione, spesso avanti anni luce rispetto a tutti gli altri. Ha vinto campionati e coppe nazionali in Portogallo, Inghilterra, Spagna e Italia. Ha vinto due Champions League, due Europa League e una Conference League. Ci sono pochissimi tecnici che hanno vinto più di lui, ma sicuramente nessuno è riuscito a guadagnare più di lui stando fermo. Pur trattandosi di cifre ufficiose, di sole buonuscite José Mourinho ha incassato – in carriera – circa 100 milioni di euro.